Dec.16, 2019
By Paul Krugman
Trade wars rarely have victors. They do, however, sometimes have losers. And Donald Trump has definitely turned out to be a loser.
Of course, that’s not the way he and his team are portraying the tentative deal they’ve struck with China, which they’re claiming as a triumph. The reality is that the Trump administration achieved almost none of its goals; it has basically declared victory while going into headlong retreat.
And the Chinese know it. As The Times reports, Chinese officials are “jubilant and even incredulous” at the success of their hard-line negotiating strategy.
To understand what just went down, you need to ask what Trump and company were trying to accomplish with their tariffs, and how that compares with what really happened.
First and foremost, Trump wanted to slash the U.S. trade deficit. Economists more or less unanimously consider this the wrong objective, but in Trump’s mind countries win when they sell more than they buy, and nobody is going to convince him otherwise.
So it’s remarkable to note that the trade deficit has risen, not fallen, on Trump’s watch, from $544 billion in 2016 to $691 billion in the 12 months ending in October.
And what Trump wanted in particular was to close the trade deficit in manufactured goods; despite giving lip service to “great Patriot Farmers,” it’s clear that he actually has contempt for agricultural exports. Last summer, complaining about the U.S. trade relationship with Japan, he sneered: “We send them wheat. Wheat. That’s not a good deal.”
So now we appear to have a trade deal with China whose main substantive element is … a promise to buy more U.S. farm goods.
Trump’s team also wanted to put the brakes on China’s drive to establish itself as the world’s economic superpower. “China is basically trying to steal the future,” declared Peter Navarro, a top trade adviser, a year ago. But the new deal, while it includes some promises to protect intellectual property, leaves the core of China’s industrial strategy — what’s been called the “vast web of subsidies that has fueled the global rise of many Chinese companies” — untouched.
So why did Trump wimp out on trade?
At a broad level, the answer is that he was suffering from delusions of grandeur. America was never going to succeed in bullying a huge, proud nation whose economy is already, by some measures, larger than ours — especially while simultaneously alienating other advanced economies that might have joined us in pressuring China to change some of its economic policies.
At a more granular level, none of the pieces of Trump trade strategy have worked as promised.
Although Trump has repeatedly insisted that China is paying his tariffs, the facts say otherwise: Chinese export prices haven’t gone down, which means that the tariffs are falling on U.S. consumers and companies. And the bite on consumers would have gone up substantially if Trump hadn’t called off the round of further tariff increases that had been scheduled for this past Sunday.
At the same time, Chinese retaliation has hit some U.S. exporters, farmers in particular, hard. And while Trump may quietly hold farm exports in contempt, he needs those rural votes — votes that were being put at risk despite a farm bailout that has already cost more than twice as much as Barack Obama’s bailout of the auto industry.
Finally, uncertainty over tariff policy was clearly hurting manufacturing and business investment, even as overall economic growth remained solid.
So Trump, as I said, basically declared victory and retreated.
Will Trump’s trade defeat hurt him politically? Probably not. Many Americans will surely buy the spin, and the trade war was never popular anyway.
Furthermore, voting mostly reflects the economy’s direction, not its level — not whether things are good, but whether they’ve been getting better recently. It may actually be good political strategy to do stupid things for a while, then stop doing them around a year before the election, which is a fair summary of Trump’s trade actions.
There will, however, be longer-term costs to the trade war. For one thing, the business uncertainty created by Trump’s capriciousness won’t go away; he is, after all, a master of the art of the broken deal.
Beyond that, Trump’s trade antics have damaged America’s reputation.
On one side, our allies have learned not to trust us. We have, after all, become the kind of country that suddenly slaps tariffs on Canada — Canada! — on obviously spurious claims that we’re protecting national security.
On the other side, our rivals have learned not to fear us. Like the North Koreans, who flattered Trump but kept on building nukes, the Chinese have taken Trump’s measure. They now know that he talks loudly but carries a small stick, and backs down when confronted in ways that might hurt him politically.
These things matter. Having a leader who is neither trusted by our erstwhile friends nor feared by our foreign rivals reduces our global influence in ways we’re just starting to see. Trump’s trade war didn’t achieve any of its goals, but it did succeed in making America weak again.
Come Trump ha perso la sua guerra commerciale,
di Paul Krugman
Le guerre commerciali hanno raramente dei vincitori. Tuttavia, qualche volta hanno dei perdenti. E Donald Trump si è chiaramente scoperto essere un perdente.
Naturalmente, non è questo il modo in cui lui e la sua squadra stanno rappresentando il tentativo di accordo che hanno raggiunto con la Cina, che pretendono sia stato un trionfo. La verità è che l’Amministrazione Trump non ha realizzato quasi nessuno dei suoi obbiettivi; fondamentalmente ha dichiarato vittoria mentre si infilava in una ritirata a capofitto.
E i cinesi lo sanno. Secondo il resoconto del Times, i dirigenti cinesi sono “esultanti e persino increduli” per il successo della loro strategia di negoziazione che non è scesa a compromessi.
Per comprendere ciò che è proprio andato storto, ci si deve chiedere che cosa Trump e compagnia stavano cercando di ottenere con le loro tariffe, e in che rapporto sta con quello che è effettivamente successo.
Prima di tutto e principalmente, Trump voleva tagliare il deficit commerciale degli Stati Uniti. Gli economisti più o meno all’unanimità lo considerano un obbiettivo sbagliato, ma nella testa di Trump i paesi vincono quando vendono di più di quello che comprano, e nessuno è destinato a convincerlo altrimenti.
Dunque è considerevole notare che il deficit commerciale, con la Presidenza Trump, è cresciuto anziché diminuire, dai 544 miliardi di dollari nel 2016 ai 691 miliardi di dollari nei dodici mesi che scadono ad ottobre.
E quello che Trump voleva in particolare era chiudere il deficit commerciale nei beni manifatturieri; nonostante la sua adesione di facciata ai “grandi agricoltori patrioti”, è chiaro che egli nutre in realtà disprezzo per le esportazioni agricole. La scorsa estate, nel lamentarsi delle relazioni commerciali statunitensi con il Giappone, aveva affermato con tono di scherno: “Noi gli spediamo grano. Grano. Non è un buon affare”.
Dunque, sembra adesso che abbiamo un accordo commerciale con la Cina il cui principale elemento sostanziale è … la promessa di acquistare maggiori beni agricoli statunitensi.
La squadra di Trump voleva anche mettere un freno alla spinta della Cina ad affermarsi come la superpotenza economica del mondo. Un anno fa Peter Navarro, consigliere di spicco sul commercio, dichiarò: “La Cina sta fondamentalmente cercando di rubare il futuro”. Ma il nuovo accordo, se contiene alcune promesse di protezione della proprietà intellettuale, lascia intatta l’essenza della strategia industriale cinese – quella che è stata definita la “grande rete di sussidi che hanno alimentato la crescita globale di molte società cinesi”.
Perché, dunque, Trump ha avuto paura sul commercio?
Ad un livello generale, la risposta è che stava soffrendo di illusioni di grandezza. L’America non è mai stata destinata ad avere successo nell’intimidire una vasta e orgogliosa nazione che è già, secondo alcuni criteri di misurazione, più grande della nostra – in particolare nel mentre contemporaneamente si aliena altre economie avanzate che potevano aderire alle nostre spinte per modificare alcune delle sue politiche economiche.
Ad un livello più dettagliato, nessuno dei pezzi della strategia commerciale di Trump ha funzionato come promesso.
Sebbene Trump abbia ripetutamente insistito che la Cina sta pagando il prezzo delle sue tariffe, i fatti dicono un’altra cosa: i prezzi delle esportazioni cinesi non sono calati, il che significa che le tariffe stanno gravando sui consumatori e sulle società statunitensi. E il morso sui consumatori sarebbe cresciuto sostanzialmente se Trump non avesse annullato la serie di ulteriori incrementi tariffari che erano stati messi in programma per la domenica scorsa.
Nel frattempo, le ritorsioni cinesi hanno colpito duramente alcuni esportatori statunitensi, in particolare gli agricoltori. E se Trump può spensieratamente nutrire disprezzo per le esportazioni agricole, ha bisogno di quei voti rurali – voti che sono stati messi a rischio nonostante un salvataggio delle aziende agricole che è già costato più del doppio del salvataggio dell’industria dell’auto di Barack Obama.
Infine, l’incertezza sulla politica tariffaria è venuta chiaramente danneggiando il settore manifatturiero e gli investimenti delle imprese, persino mentre la crescita economica complessiva è rimasta solida.
Come ho detto, dunque, fondamentalmente Trump ha dichiarato vittoria ed ha battuto in ritirata.
La sconfitta commerciale di Trump lo danneggerà politicamente? Probabilmente no. Molti americani sicuramente abboccheranno alla propaganda, e in ogni caso la guerra commerciale non è mai stata popolare.
Inoltre, i voti riflettono soprattutto la direzione dell’economia, non il suo livello – non dipendono dal fatto che le cose siano positive, ma dal fatto che esse stiano migliorando nel periodo più recente. Può effettivamente essere una strategia politica positiva fare per un po’ cose stupide e poi smettere di farle circa un anno prima delle elezioni, che è una sintesi imparziale delle iniziative commerciali di Trump.
Tuttavia, ci saranno costi a più lungo termine per la guerra commerciale. Da una parte, l’incertezza delle imprese provocata dai capricci di Trump non se ne andrà; dopo tutto, egli è un maestro nell’arte di rompere gli accordi.
Oltre a ciò, le pagliacciate sul commercio di Trump hanno danneggiato la reputazione dell’America.
Per un verso, i nostri alleati hanno imparato a non fidarsi di noi. In fin dei conti, siamo diventati un genere di paese che all’improvviso schiaffa le tariffe sul Canada – sul Canada! – con pretesti evidentemente fasulli di proteggere la sicurezza nazionale.
Per un altro verso, i nostri avversari non hanno imparato ad aver timore di noi. Come i nord coreani, che hanno adulato Trump ma hanno continuato a costruire bombe nucleari, i cinesi hanno preso le sue misure. Ora sanno che egli parla con veemenza ma brandisce un piccolo bastone, e torna sui suoi passi quando viene affrontato in modi che potrebbero danneggiarlo politicamente.
Queste sono cose che contano. Avere un leader che non gode della fiducia dei nostri amici di un tempo né intimorisce i nostri rivali stranieri, riduce la nostra influenza globale in modi che stiamo appena cominciando a realizzare. La guerra commerciale di Trump non ha ottenuto nessuno dei suoi obbiettivi, ma è riuscita a rendere l’America di nuovo debole.
By mm
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