Dec. 19, 2019
By Paul Krugman
Wednesday’s impeachment of Donald Trump was neither a surprise nor a turning point. We’ve known for weeks that the House would vote to impeach. We also know, as surely as we can know anything in politics, that a Republican-controlled Senate won’t convict Trump and remove him from office; it may not even pretend to consider the evidence. So it would be easy to be cynical about the whole thing.
But that’s not how it felt. For me, and no doubt for millions of my fellow citizens, Wednesday was a very emotional day — a day of both despair and hope.
The reasons for despair are obvious. We could so easily lose everything America is supposed to stand for. The birthplace of liberty may very well be just months away from abandoning all its ideals.
But there were also reasons for hope.
The enemies of freedom are, it turns out, as shameless and corrupt here as they are in nations, from Hungary to Turkey, in which democracy has effectively collapsed. But the defenders of American democracy seem more united and determined than their counterparts abroad. The big question is whether that difference — that true American exceptionalism — will be enough to save us.
Let’s back up and ask what we’ve learned about America over the past three years.
There was never any doubt that Trump would abuse his powers; he telegraphed his contempt for rule of law, his eagerness to exploit his office for personal gain, right from the start. For a while, however, it was possible to imagine that at least part of his party would stand up for democratic principles.
But it was not to be. What we saw Wednesday was a parade of sycophants comparing their leader to Jesus Christ while spouting discredited conspiracy theories straight from the Kremlin. And as they were doing so, the object of their adoration was giving an endless, rambling, third-world-dictator-style speech, full of lies, that veered between grandiosity and self-pity, interspersed with complaints about how many times he has to flush his toilet.
Republicans, in other words, are beyond redemption; they’ve become just another authoritarian party devoted to the leader principle. And like similar parties in other countries, the G.O.P. is trying to rig future elections through gerrymandering and voter suppression, creating a permanent lock on power.
But if Trump’s supporters look just like their counterparts in failed democracies abroad, his opponents don’t.
One of the depressing aspects of the rise of authoritarian parties like Hungary’s Fidesz and Poland’s Law and Justice has been the fecklessness of their opposition — disunited, disorganized, unable to make an effective challenge even to unpopular autocrats as they consolidated their power.
Trumpism, however, faced determined, united, effective opposition from the beginning, which has been reflected both in mass marches and in Democratic electoral victories. In 2017 there were only 15 Democratic governors, compared with 35 Republicans; today the score is 24 to 26. And last year, of course, Democrats won a landslide victory in House elections, which is what made the impeachment hearing and vote possible.
Many of the new Democratic members of Congress are in Republican-leaning districts, and some observers expected a significant number to defect on Wednesday. Instead, the party held together almost completely. True, so did its opponents; but while Republicans sounded, well, deranged in their defense of Trump, Democrats came across as sober and serious, determined to do their constitutional duty even if it involved political risks.
Now, none of this necessarily means that democracy will survive. Even as they have been losing elections, Republicans have been consolidating control over the courts and other national institutions. Democratic leaders in Congress have been unexpectedly, even shockingly impressive; the Democratic presidential field less so.
And the unity of purpose we saw Wednesday may not hold next November. If Democrats nominate a progressive like Elizabeth Warren or Bernie Sanders, will wealthy Democrats decide that defending democracy is less important than keeping their taxes low? If the party nominates a moderate like Joe Biden, will some Sanders supporters express their frustration the same way they did in 2016, by staying home or voting for a third-party candidate? Given the stakes, I’d like to dismiss such concerns, but I can’t.
Add in the extent to which next year’s election will be rigged in Trump’s favor, both by voter suppression and by the skew introduced by the Electoral College — and the even greater skew created by a Senate map that gives small, mostly conservative states as much representation as liberal states with many times their population — and it’s all too possible that Trumpism will still triumph.
What we learned Wednesday, however, was that those who define America by its ideals, not the dominance of a particular ethnic group, won’t give up easily. The bad news is that our bad people are as bad as everyone else’s. The good news is that our good people seem unusually determined to do the right thing.
I democratici ci possono ancora salvare,
di Paul Krugman
La messa in stato d’accusa di Trump di mercoledì non è stata né una sorpresa né un momento di svolta. Sapevamo da settimane che la Camera avrebbe votato per la messa in stato d’accusa. Sappiamo anche, certamente nei modi nei quali si sa ogni cosa in politica, che un Senato controllato da Trump non lo dichiarerà colpevole e non lo dimetterà dalla sua carica; esso non può neppure far finta di prendere in esame le prove. Dunque, sarebbe semplice essere scettici sull’intera faccenda.
Ma non è quello il modo in cui essa è stata percepita. Per me, e di sicuro per milioni di miei concittadini, mercoledì è stato un giorno molto emozionante – un giorno sia di sofferenza che di speranza.
Le ragioni della sofferenza sono evidenti. Potremmo facilmente perdere tutto quello per cui l’America si pensava si battesse. Il luogo di nascita della libertà potrebbe essere davvero in procinto di abbandonare tutti i suoi ideali nel giro di qualche mese.
Ma c’erano anche ragioni di speranza.
Si scopre che i nemici della libertà sono sfacciati e corrotti come nelle nazioni nelle quali la democrazia è effettivamente collassata, dall’Ungheria alla Turchia. Ma i difensori della democrazia americana sembrano più uniti e determinati dei loro omologhi all’estero. La grande domanda è se quella differenza – quel vero ‘eccezionalismo’ americano – sarà sufficiente a salvarci.
Facciamo un passo indietro e chiediamoci che cosa abbiamo imparato sull’America nei tre anni passati.
Non c’è mai stato nessun dubbio che Trump avrebbe abusato del suo potere; proprio sin dall’inizio egli fece trapelare il suo disprezzo per lo stato di diritto, il suo entusiasmo nello sfruttare la sua carica per vantaggi personali. Tuttavia, per un breve periodo, era possibile immaginarsi che almeno una parte del suo partito avrebbe preso posizione per i principi democratici.
Ma non doveva andare così. Quello che abbiamo visto mercoledì è stata una parata di leccapiedi che paragonano il loro leader a Gesù Cristo nel mentre vomitano inconsistenti teorie cospirative direttamente suggerite dal Cremlino. E nel mentre lo facevano, l’oggetto della loro adorazione era impegnato in un discorso sconclusionato, senza fine, in uno stile da dittatore del Terzo Mondo, pieno di bugie, che sbandava dalla grandiosità alla autocommiserazione, inframezzato da lamentele su quante volte egli deve tirare lo sciacquone del suo gabinetto.
In altre parole, i repubblicani sono irrecuperabili; sono diventati solo un altro partito autoritario fedele alla regola del capo. E come partiti simili in altri paesi, il Partito Repubblicano sta cercando di manipolare le elezioni future con il ricorso alla delimitazione truffaldina delle circoscrizioni elettorali ed alla cancellazione dei diritti dei votanti, blindando una dipendenza permanente dal potere.
Ma se i sostenitori di Trump sembrano proprio come i loro simili nelle fallite democrazie all’estero, così non appaiono i suoi avversari.
Uno degli aspetti deprimenti dell’ascesa di partiti autoritari come il Fidesz ungherese e il Legge e Giustizia polacco è stata l’inefficacia della loro opposizione – disunita, disorganizzata, incapace di costituire una sfida effettiva persino ad autocrati impopolari, nel mentre questi venivano consolidando il loro potere.
Il trumpismo, tuttavia, si è trovato di fronte una opposizione determinata, unita, efficace sin dagli inizi, la qual cosa si è riflessa sia in manifestazioni di massa che in successi elettorali dei democratici. Nel 2017 c’erano soltanto 15 Governatori democratici, a confronto dei 35 repubblicani; oggi il punteggio è 24 a 26. E l’anno passato, naturalmente, i democratici ottennero una vittoria schiacciante nelle elezioni per la Camera, la qual cosa ha reso possibile le audizioni e il voto per la messa in stato d’accusa.
Molti dei nuovi membri democratici del Congresso provengono da circoscrizioni di orientamento repubblicano, e alcuni si aspettavano che mercoledì ne venisse a mancare un numero significativo. Invece, il partito è rimasto quasi compatto. È vero, altrettanto hanno fatto gli oppositori; ma mentre i repubblicani sembravano, per dir così, agitati nella loro difesa di Trump, i democratici hanno dato l’impressione di essere sobri e seri, determinati a compiere il loro dovere costituzionale anche se esso comportava rischi politici.
Ora, niente di tutto questo significa necessariamente che la democrazia sopravviverà. Anche mentre venivano perdendo le elezioni, i repubblicani consolidavano il controllo sui tribunali e su altre istituzioni nazionali. I leader democratici nel Congresso sono stati inaspettatamente, persino in modo impressionante ammirevoli; il settore dei candidati alla Presidenza un po’ meno.
E l’unità di propositi che abbiamo constatato mercoledì, il prossimo novembre potrebbe non tenere. Se i democratici nominano un progressista come Elizabeth Warren o Bernie Sanders, i democratici ricchi decideranno che difendere la democrazia è meno importante che tener basse le loro tasse? Se il partito candida un moderato come Joe Biden, alcuni sostenitori di Sanders esprimeranno la loro frustrazione nello stesso modo in cui fecero nel 2016, restando a casa o votando per un candidato di un partito terzo? Data la posta in gioco, mi piacerebbe scartare queste preoccupazioni, ma non posso.
Aggiungo che, nella misura in cui le elezioni del prossimo anno saranno manipolate a favore di Trump, sia per la cancellazione di aventi diritto al voto che per lo stravolgimento indotto dal Collegio Elettorale – e dallo stravolgimento persino maggiore determinato da una mappa del Senato che dà a piccoli Stati in maggioranza conservatori la stessa rappresentanza degli Stati progressisti con una popolazione multipla – è anche troppo possibile che il trumpismo trionfi ancora.
Ciò che abbiamo appreso mercoledì, tuttavia, è stato che coloro che identificano l’America per i suoi ideali, non per il dominio di una particolare gruppo etnico, non si daranno facilmente per vinti. La brutta notizia è che i nostri cattivi soggetti sono cattivi come quelli di qualunque altro paese. La buona notizia è che la gente perbene sembra determinata in modo inconsueto a fare la cosa giusta.
By mm
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