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L’Australia ci mostra la strada per l’inferno, di Paul Krugman (New York Times, 9 gennaio 2020)

Jan 9, 2020

Australia Shows Us the Road to Hell

By Paul Krugman

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In a rational world, the burning of Australia would be a historical turning point. After all, it’s exactly the kind of catastrophe climate scientists long warned us to expect if we didn’t take action to limit greenhouse gas emissions. In fact, a 2008 report commissioned by the Australian government predicted that global warming would cause the nation’s fire seasons to begin earlier, end later, and be more intense — starting around 2020.

Furthermore, though it may seem callous to say it, this disaster is unusually photogenic. You don’t need to pore over charts and statistical tables; this is a horror story told by walls of fire and terrified refugees huddled on beaches.

So this should be the moment when governments finally began urgent efforts to stave off climate catastrophe.

But the world isn’t rational. In fact, Australia’s anti-environmentalist government seems utterly unmoved as the nightmares of environmentalists become reality. And the anti-environmentalist media, the Murdoch empire in particular, has gone all-out on disinformation, trying to place the blame on arsonists and “greenies” who won’t let fire services get rid of enough trees.

Climate optimists have always hoped for a broad consensus in favor of measures to save the planet. The trouble with getting action on climate, the story went, was that it was hard to get people’s attention: The issue was complex, while the damage was too gradual and too invisible. In addition, the big dangers lay too far in the future. But surely once enough people had been informed about the dangers, once the evidence for global warming became sufficiently overwhelming, climate action would cease to be a partisan issue.

The climate crisis, in other words, would eventually become the moral equivalent of war — an emergency transcending the usual political divides.

But if a nation in flames isn’t enough to produce a consensus for action — if it isn’t even enough to produce some moderation in the anti-environmentalist position — what will? The Australia experience suggests that climate denial will persist come hell or high water — that is, through devastating heat waves and catastrophic storm surges alike.

 

You might be tempted to dismiss Australia as a special case, but the same deepening partisan division has long been underway in the United States. As late as the 1990s, Democrats and Republicans were almost equally likely to say that the effects of global warming had already begun. Since then, however, partisan views have diverged, with Democrats increasingly likely to see climate change happening (as indeed it is), while Republicans increasingly see and hear no climate evil.

Does this divergence reflect changing party composition? After all, highly educated voters have been moving toward the Democrats, less-educated voters toward the Republicans. So is it a matter of how well informed each party’s base is?

Probably not. There’s substantial evidence that conservatives who are highly educated and well informed about politics are more likely than other conservatives to say things that aren’t true, probably because they are more likely to know what the conservative political elite wants them to believe. In particular, conservatives with high scientific literacy and numeracy are especially likely to be climate deniers.

But if climate denial and opposition to action are immovable even in the face of obvious catastrophe, what hope is there for avoiding the apocalypse? Let’s be honest with ourselves: Things are looking pretty grim. How dopoever, giving up is not an option. What’s the path forward?

The answer, pretty clearly, is that scientific persuasion is running into sharply diminishing returns. Very few of the people still denying the reality of climate change or at least opposing doing anything about it will be moved by further accumulation of evidence, or even by a proliferation of new disasters. Any action that does take place will have to do so in the face of intractable right-wing opposition.

This means, in turn, that climate action will have to offer immediate benefits to large numbers of voters, because policies that seem to require widespread sacrifice — such as policies that rely mainly on carbon taxes — would be viable only with the kind of political consensus we clearly aren’t going to get.

What might an effective political strategy look like? I’ve been rereading a 2014 speech by the eminent political scientist Robert Keohane, who suggested that one way to get past the political impasse on climate might be via “an emphasis on huge infrastructural projects that created jobs” — in other words, a Green New Deal. Such a strategy could give birth to a “large climate-industrial complex,” which would actually be a good thing in terms of political sustainability.

Can such a strategy succeed? I don’t know. But it looks like our only chance given the political reality in Australia, America, and elsewhere — namely, that powerful forces on the right are determined to keep us barreling down the road to hell.

 

L’Australia ci mostra la strada per l’inferno,

di Paul Krugman

 

In un mondo razionale, l’Australia che brucia sarebbe un punto di svolta storico. Dopo tutto, è esattamente il tipo di catastrofe che gli scienziati del clima ci avevano ammonito di aspettarci se non avessimo assunto iniziative per limitare le emissioni dei gas serra. Di fatto, un rapporto del 2008 commissionato dal Governo australiano aveva previsto che il riscaldamento globale avrebbe provocato un avvio prematuro, una fine più tardiva e una maggiore intensità delle stagioni nazionali degli incendi – a partire dal 2020.

Inoltre, per quanto possa sembrare brutale dirlo, questo disastro si presta bene ad essere rappresentato dalle foto. Non c’è bisogno di studiare con attenzione diagrammi e tabelle statistiche; è un rapporto dell’orrore raccontato da pareti di fuoco e da rifugiati terrorizzati accalcati sulle spiagge.

Dunque dovrebbe essere il momento nel quale finalmente i Governi pongono mano a sforzi urgenti per prevenire la catastrofe climatica.

Ma il mondo non è razionale. Cosicché il Governo antiambientalista dell’Australia sembra completamente immobile nel momento in cui gli incubi degli ambientalisti divengono realtà. E i media antiambientalisti, l’impero di Murdoch in particolare, cercano di incolpare i piromani e i ‘verdi’ che non vogliono consentire ai servizi antincendio di disfarsi di un numero sufficiente di alberi.

Gli ottimisti del clima hanno sempre sperato in un consenso generale sulle misure per salvare il pianeta. Il guaio nell’assumere una iniziativa sul clima, la narrazione era questa, era la difficoltà nel provocare l’attenzione della gente: il tema era complicato, mentre il danno era troppo graduale e troppo impercettibile. In aggiunta, i pericoli maggiori si addensavano in un futuro troppo lontano. Ma certamente, una volta che un numero sufficiente di persone fosse stato informato sui pericoli, una volta che le prove del riscaldamento globale fossero diventate abbastanza schiaccianti, l’iniziativa sul clima avrebbe cessato di essere un tema di parte.

La crisi climatica, in altre parole, alla fine sarebbe diventata l’equivalente morale della guerra – una emergenza che avrebbe trasceso le consuete divisioni politiche.

Ma se una nazione in fiamme non è sufficiente a produrre consenso ad agire – se non è neppure sufficiente a indurre qualche moderazione nelle posizioni antiambientaliste – che accadrà? L’esperienza dell’Australia indica che il negazionismo climatico persisterà qualsiasi cosa accada – ovvero, anche con devastanti ondate di caldo assieme a catastrofiche impennate delle tempeste [1].

Si potrebbe essere tentati di liquidare l’Australia come un caso particolare, ma il medesimo approfondirsi delle divisioni faziose è da tempo in pieno svolgimento degli Stati Uniti. Non più tardi degli anni ’90, era quasi egualmente probabile sentir dire da democratici e da repubblicani che il riscaldamento globale era già cominciato. Da allora, tuttavia, i punti di vista di parte hanno cominciato a divergere, con i democratici che sempre più frequentemente considerano il cambiamento climatico in corso (come in effetti è) e i repubblicani sempre più ciechi e sordi dinanzi a qualsiasi disgrazia climatica.

Questa divergenza riflette un mutamento nella composizione dei partiti? Dopo tutto, gli elettori con una istruzione superiore si stanno spostando verso i democratici, i meno istruiti verso i repubblicani. È dunque rilevante il modo in cui la base di ciascun partito è informata?

Probabilmente no. Ci sono prove sostanziali secondo le quali i conservatori con istruzione superiore e bene informati sulla politica è più probabile che neghino l’evidenza più degli altri conservatori, probabilmente perché è più probabile che essi sappiano cosa il gruppo dirigente dei conservatori vuole che credano. Soprattutto, è particolarmente probabile che i conservatori con elevata alfabetizzazione scientifica e abilità matematiche siano negazionisti in materia di cambiamento climatico.

Ma se il negazionismo e l’opposizione ad ogni iniziativa sono inamovibili persino a fronte di evidenti catastrofi, che speranza c’è di evitare l’apocalisse? Occorre essere onesti con noi stessi: il quadro appare abbastanza fosco. Tuttavia, darsi per vinti non è possibile. Qual’è la strada per progredire?

La risposta, abbastanza chiaramente, è che la persuasione scientifica si scontra con rendimenti bruscamente decrescenti. Molte poche persone tra coloro che ancora negano la realtà del cambiamento climatico o che almeno si oppongono a fare alcunché, saranno spostate da un ulteriore aumento delle prove, o persino da una diffusione di nuovi disastri. Ogni iniziativa che sarà messa in atto, dunque, dovrà fare i conti con una opposizione irriducibile della destra.

Questo significa, a sua volta, che l’iniziativa sul clima dovrà offrire benefici immediati ad un ampio numero di elettori, giacché le politiche che sembrano richiedere sacrifici generali – come le politiche che si basano principalmente sulle tasse sul carbonio – sarebbero gestibili soltanto con un genere di unanimità politica che chiaramente non siamo destinati ad avere.

Quale potrebbe essere una efficace strategia politica? Ho riletto un discorso del 2014 dell’eminente politologo Robert Keohane, che suggeriva un modo per superare l’impasse politica sul clima attraverso “una enfasi su ampi progetti infrastrutturali che creino posti di lavoro” – in altre parole, un New Deal Verde. Una tale strategia potrebbe dar vita ad “un ampio complesso industriale-climatico”, che effettivamente sarebbe una cosa positiva in termini di praticabilità politica.

Può avere successo, una strategia del genere? Non lo so. Ma sembra la nostra unica possibilità, data la realtà politica in Australia, in America e altrove – ossia, dato il fatto che forze potenti a destra sono determinate a farci continuare la corsa sulla strada per l’inferno.

 

 

 

 

 

 

 

[1] C’è un gioco di parole difficile da restituire, perché l’espressione “come hell or high water” – che traduciamo con ‘qualsiasi cosa accada’ – letteralmente significa “venga l’inferno o l’acqua alta’. Che è esattamente quello che sta accadendo, come si ricorda subito dopo.

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