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No, collaboratori di Trump, il, coronavirus non è positivo per l’America. Di Paul Krugman (da New York Times, 30 gennaio 2020)

 

Jan 30, 2020

No, Team Trump, the Coronavirus Isn’t Good for America

By Paul Krugman

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How frightened should you be about the coronavirus? I’m no epidemiologist, but what I’ve seen looks pretty scary. It doesn’t help that the Trump administration, as part of its general war against science and expertise, has seriously reduced America’s capacity to respond if we do face a dangerous pandemic.

It also looks quite possible that the virus will inflict a lot of economic damage — even if it doesn’t kill you, it might kill your job. And one special source of concern is that top officials in the Trump administration are talking nonsense about the economic threat.

So, about that economic threat: Many people are drawing parallels between the coronavirus and the 2002-3 outbreak of severe acute respiratory syndrome, or SARS, which also originated in China. Like the current outbreak, SARS led to the imposition of economically disruptive quarantines, which appear to have had a significant if temporary adverse effect on China’s economy, and a modest negative impact on the world economy as a whole.

We still don’t know whether the coronavirus is more or less dangerous than SARS. What we do know is that the global economic implications of a pandemic in China are likely to be much more severe now than they were then, for the simple reason that China is a vastly bigger player than it used to be.

 

In 2002 China was still in the early stages of its great economic surge; it accounted for only around 8 percent of global manufacturing value added, far less than the shares of the U.S., Japan and Europe. Today, however, China is the workshop of the world, accounting for more than a quarter of global manufacturing.

Now, you might think that this implies an upside to China’s troubles, that disrupting China’s vast manufacturing sector would offer opportunities to producers in other countries, including the United States. That is, you might think this if you knew nothing about 21st-century economics.

Sure enough, Wilbur Ross, the commerce secretary, appeared on Fox Business on Thursday morning to declare that he “didn’t want to talk about a victory lap,” but that the coronavirus “will help to accelerate the return of jobs to North America.” By saying this, he demonstrated a couple of things: (1) why Gail Collins’s readers voted him Trump’s worst cabinet member, and (2) why Trump’s trade war has been such a failure.

 

What Ross and his colleagues apparently still don’t understand — although some of them may be getting an inkling — is that modern manufacturing isn’t like manufacturing a couple of generations ago, when different countries’ industrial sectors were engaged in fairly straightforward head-to-head competition. These days we live in a world of global value chains, in which much of what any given nation imports consists not of consumer goods but of “intermediate” goods that it uses as part of its own production process.

In such a world, anything that disrupts imports — whether it’s tariffs or a virus — raises production costs, and as a result if anything hurts manufacturing. Indeed, a recent study by the Federal Reserve found that Trump’s tariffs, which were concentrated on intermediate goods, have reduced, not increased, manufacturing output and employment. Sure enough, while overall economic growth in 2019 was decent (not great), manufacturing is in a recession. (And the uncertainty created by the trade war may explain why business investment is down despite a huge cut in corporate taxes.)

As I said, some of Trump’s people seem to have gotten an inkling here. Last week the White House basically admitted that tariffs on steel and aluminum have done more harm than good, hurting industries that use these materials. But the administration’s answer isn’t a reconsideration of its policies — it is to impose more tariffs, on a wider range of products.

Which brings me back to the coronavirus. Let’s leave aside the public health issues — although the Trump administration has clearly left us much less prepared than we had been to deal with these issues if they become serious — and focus on the economics.

What we can say is that if the virus seriously disrupts Chinese production, its impact on the U.S. economy will be like an extreme version of Trump’s trade war, except without any compensation in the form of tariff revenue. And the two things we know about the trade war are that it has been an economic bust and that Trump’s officials still appear clueless about why it has been a bust.

Bear in mind that so far Trump has been remarkably lucky. Aside from Hurricane Maria — which he mishandled, and in which thousands of Americans died — he has faced essentially no crises, domestic or foreign, that weren’t of his own making. And he has surrounded himself with the gang that couldn’t think straight, which raises severe doubts about how well he would handle a crisis that he didn’t create himself.

If Wilbur Ross’s boneheaded remarks on Thursday are any indication — and I fear they are — the Trump administration is even less prepared to deal with the economic fallout from a possible pandemic than it is to deal with the public health crisis. Be afraid.

 

 

No, collaboratori di Trump, il, coronavirus non è positivo per l’America.

Di Paul Krugman

 

Quanto dovreste essere spaventati dal coronavirus? Non sono un epidemiologo, ma quanto ho visto sin qua è allarmante. Non aiuta che l’Amministrazione Trump, nell’ambito della sua guerra generale contro la scienza e la competenza, abbia seriamente ridotto la capacità dell’America di dare risposte se fossimo davvero di fronte ad una pericolosa pandemia.

Sembra anche abbastanza possibile che il virus provochi un grande danno economico – anche se non vi ammazza, ammazza il vostro posto di lavoro. E una fonte particolare di preoccupazione è che i massimi dirigenti dell’Amministrazione Trump stanno dicendo sciocchezze sulla minaccia economica.

Dunque, a proposito della minaccia economica; molte persone stanno formulando parallelismi tra il coronavirus e l’esplosione del 2002-2003 della grave crisi respiratoria acuta, o SARS, che anch’essa ebbe origine in Cina. Come nella attuale epidemia, la SARS provocò l’imposizione di quarantene economicamente dirompenti, che sembra abbiano avuto un significativo anche se temporaneo effetto negativo sull’economia cinese, e un modesto impatto negativo sull’economia mondiale nel suo complesso.

Ancora non sappiamo se il coronavirus sia più o meno pericoloso della SARS. Quello che sappiamo è che le implicazioni economiche globali di una pandemia è più probabile siano gravi oggi di quanto non lo furono allora, per la semplice ragione che la Cina è un protagonista molto più grande di quanto non fosse ai quei tempi.

Nel 2002 la Cina era ancora ai primi stadi della sua grande impennata economica; pesava circa l’8 per cento del valore aggiunto manifatturiero globale, assai meno delle quote degli Stati Uniti, del Giappone e dell’Europa. Oggi, tuttavia, la Cina è l’officina del mondo, rappresentando più di un quarto delle manifatture globali.

Ora, si potrebbe pensare che questo implichi un lato positivo nei guai della Cina, che il turbamento nell’ampio settore manifatturiero cinese possa offrire opportunità ai produttori di altri paesi, compresi gli Stati Uniti. O meglio, si potrebbe pensarlo se non si sapesse niente dell’economia del 21° secolo.

Di fatto, Wilbur Ross, il Segretario al Commercio, è apparso giovedì mattina a Fox News per dichiarare che egli “non intendeva parlare di un giro vittorioso”, ma che il coronavirus “contribuirà ad accelerare il ritorno di posti di lavoro nel Nord America”. Dicendo ciò, egli ha dimostrato un paio di cose; 1) perché i lettori di Gail Collins l’hanno votato come il peggior componente del gabinetto di Trump, e 2) perché la guerra commerciale di Trump è stata un tale fallimento.

Quello che in apparenza Ross e i suoi colleghi ancora non capiscono –  sebbene alcuni di loro possano averne avuto un qualche indizio – è che il manifatturiero odierno non è come il manifatturiero di un paio di generazioni fa, quando i settori industriali di diversi paesi erano impegnati in una competizione testa a testa abbastanza chiara. Di questi tempi viviamo in un mondo di catene globali del valore, nel quale buona parte di quello che ogni data nazione importa non consiste di beni per i consumatori, ma di beni “intermedi” che essa utilizza come componente del suo stesso processo produttivo.

In un mondo del genere, tutto quello che manda in disordine le importazioni – che si tratti di tariffe o di un virus – alza i costi della produzione e, di conseguenza, semmai danneggia il settore manifatturiero. In effetti, un recente studio della Federal Reserve ha scoperto che le tariffe di Trump, che erano concentrate sui beni intermedi, hanno ridotto, non aumentato, la produzione e l’occupazione manifatturiera. Di fatto, mentre la crescita economica complessiva nel 2019 è stata dignitosa (non eccezionale), il settore manifatturiero è in recessione (e l’incertezza creata dalla guerra commerciale può spiegare perché gli investimenti delle imprese sono in calo nonostante un gran taglio alle tasse sulle società).

Come ho detto, alcuni dei collaboratori di Trump, in questo caso, ne hanno avuto una qualche percezione. La scorsa settimana la Casa Bianca ha fondamentalmente ammesso che le tariffe sull’acciaio e l’alluminio hanno fatto più male che bene, danneggiando le industrie che utilizzano questi materiali. Ma la risposta della Amministrazione non è una riconsiderazione di queste politiche – e quella di imporre altre tariffe, su una gamma più vasta di prodotti.

Il che mi riporta al coronavirus. Lasciamo da una parte i temi della salute pubblica – sebbene l’Amministrazione Trump ci abbia chiaramente lasciato meno preparati allorché dovessimo affrontare tali questioni se diventassero serie – e concentriamoci sull’economia.

Quello che possiamo dire è che se il virus seriamente perturberà la produzione cinese, il suo impatto sull’economia statunitense somiglierà ad una versione estrema della guerra commerciale di Trump, con la differenza di nessuna compensazione nella forma di entrate tariffarie. E le due cose che sappiamo sulla guerra commerciale sono che essa è stata un disastro economico e che i dirigenti di Trump sembrano ancora non avere idea di perché è stata un disastro.

Si tenga a mente che sinora Trump è stato considerevolmente fortunato. A parte l’uragano Maria – che egli ha mal gestito, e nel quale sono morti migliaia di americani – egli in sostanza non ha affrontato alcuna crisi, interna o estera, che non derivasse da suo stesso operato. E si è circondato di una banda di individui che non potrebbero ragionare correttamente, individui che sollevano domande serie su come potrebbe ben gestire una crisi che non avesse creata lui stesso.

Se le sciocche osservazioni di Wilbur Ross di giovedì offrono un qualche indizio – e io temo che lo offrano – l’Amministrazione Trump è persino meno preparata a misurarsi con le ricadute economiche di una possibile pandemia che con una crisi della salute pubblica. C’è di che aver paura.

 

 

 

 

 

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