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Bernie Sanders non è un socialista, di Paul Krugman (New York Times, 13 febbraio 2020)

 

Feb 13, 2020

Bernie Sanders Isn’t a Socialist

By Paul Krugman

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Republicans have a long, disreputable history of conflating any attempt to improve American lives with the evils of “socialism.” When Medicare was first proposed, Ronald Reagan called it “socialized medicine,” and he declared that it would destroy our freedom. These days, if you call for something like universal child care, conservatives accuse you of wanting to turn America into the Soviet Union.

It’s a smarmy, dishonest political strategy, but it’s hard to deny that it has sometimes been effective. And now the front-runner for the Democratic presidential nomination — not an overwhelming front-runner, but clearly the person most likely at the moment to come out on top — is someone who plays right into that strategy, by declaring that he is indeed a socialist.

The thing is, Bernie Sanders isn’t actually a socialist in any normal sense of the term. He doesn’t want to nationalize our major industries and replace markets with central planning; he has expressed admiration, not for Venezuela, but for Denmark. He’s basically what Europeans would call a social democrat — and social democracies like Denmark are, in fact, quite nice places to live, with societies that are, if anything, freer than our own.

So why does Sanders call himself a socialist? I’d say that it’s mainly about personal branding, with a dash of glee at shocking the bourgeoisie. And this self-indulgence did no harm as long as he was just a senator from a very liberal state.

 

But if Sanders becomes the Democratic presidential nominee, his misleading self-description will be a gift to the Trump campaign. So will his policy proposals. Single-payer health care is (a) a good idea in principle and (b) very unlikely to happen in practice, but by making Medicare for All the centerpiece of his campaign, Sanders would take the focus off the Trump administration’s determination to take away the social safety net we already have.

Just to be clear, if Sanders is indeed the nominee, the Democratic Party should give him its wholehearted support. He probably couldn’t turn America into Denmark, and even if he could, President Trump is trying to turn us into a white nationalist autocracy like Hungary. Which would you prefer?

But I do wish that Sanders weren’t so determined to make himself an easy target for right-wing smears.

Speaking of unhelpful political posturing, the runner-up in New Hampshire has also been poisoning his own well. Over the past few days Pete Buttigieg has chosen to pose as a deficit hawk, thereby demonstrating that while he may be a fresh face, he has remarkably stale ideas.

Maybe Buttigieg is unaware of the growing consensus among mainstream economists that the deficit hysteria of seven or eight years ago was greatly overblown. Last year the former top economists in the Obama administration published an article titled “Who’s Afraid of Budget Deficits?” which concluded, “It’s time for Washington to put away its debt obsession and focus on bigger things.”

And where Sanders is playing right into one disreputable Republican political strategy, Buttigieg is playing into another: the strategy of hobbling the economy with fiscal austerity when a Democrat occupies the White House, then borrowing freely as soon as the G.O.P. regains power. If Democrats win, they should pursue a progressive agenda, not waste political capital cleaning up the G.O.P.’s mess.

Again, if Buttigieg somehow becomes the nominee, the party should back him without reservation. Whatever he may say about deficits, he wouldn’t do what Republicans do: use debt fears as an excuse to slash social programs.

So who will the Democrats nominate? Your guess is as good as mine. What’s really important, however, is that the party stays focused on its strengths and Trump’s weaknesses.

For the fact is that all of the Democrats who would be president, from Bloomberg to Bernie, are at least moderately progressive; they all want to maintain and expand the social safety net, while raising taxes on the wealthy. And all the polling evidence says that America is basically a center-left nation — which is why Trump promised to raise taxes on the rich and protect major social programs during the 2016 campaign.

But he was lying, and at this point everyone with an open mind knows it. So Democrats have a perfect opportunity to portray themselves, truthfully, as the defenders of Social Security, Medicare, Medicaid and the now-popular Affordable Care Act against Republicans who are more or less nakedly favoring the interests of plutocrats over those of working families.

This opportunity will, however, be squandered if the Democratic nominee, whoever he or she is, turns the election into a referendum on either single-payer health care or deficit reduction, neither of which is an especially popular position. Things will be even worse if the Democrats themselves degenerate into squabbles over either ideological purity or fiscal probity.

The point is that whoever gets the nomination, Democrats need to build as broad a coalition as possible. Otherwise they’ll be handing the election to Trump — and that would be a tragedy for the party, the nation and the world.

 

Bernie Sanders non è un socialista,

di Paul Krugman

 

I repubblicani hanno una lunga, disdicevole storia nel confondere ogni tentativo di migliorare la vita degli americani con i mali del “socialismo”. Quando venne proposto agli inizi Medicare, Ronald Reagan la chiamò “medicina socializzata” e dichiarò che avrebbe distrutto la nostra libertà. Di questi tempi, se vi pronunciate per qualcosa come l’assistenza all’infanzia, i conservatori vi accusano di voler trasformare l’America nell’Unione Sovietica.

È una strategia viscida, disonesta, ma non si può negare che qualche volta sia stata efficace. E ora il favorito della candidatura presidenziale democratica – non un favorito imbattibile, ma chiaramente la persona che al momento ha maggiori possibilità di riuscire a farcela – è qualcuno che fa il gioco proprio di quella strategia, dichiarando di essere in effetti un socialista.

Il punto è che Bernie Sanders non è in realtà un socialista, in ogni normale senso del termine. Non vuole nazionalizzare le nostre principali industrie e sostituire i mercati con la pianificazione centralizzata; ha espresso ammirazione non per il Venezuela, ma per la Danimarca. È fondamentalmente quello che gli europei chiamerebbero un socialdemocratico – e le socialdemocrazie come la Danimarca, di fatto, sono posti piacevoli in cui vivere, con società che sono, semmai, più libere che la nostra.

Perché dunque Sanders si definisce socialista? Direi che la cosa riguarda principalmente un modo di pubblicizzarsi, con un tratto di compiacimento per impressionare la borghesia. E questo autocompiacimento non era dannoso finché era solo un senatore di uno Stato molto progressista.

Ma se Sanders diventa il candidato democratico alla Presidenza, questa fuorviante auto definizione sarà un regalo alla campagna elettorale di Trump. Lo stesso accadrà per le sue proposte programmatiche. L’assistenza sanitaria con un unico centro di pagamenti è: a) una buona idea sul piano dei principi, e b) qualcosa che è molto improbabile avvenga nella pratica. Ma facendo di Medicare-per-tutti il punto centrale della sua campagna elettorale Sanders allontanerà l’attenzione dalla determinazione della Amministrazione Trump di eliminare la rete di sicurezza sociale che già abbiamo.

Solo per chiarezza, se Sanders in effetti sarà il candidato del Partito Democratico dovremmo dargli con tutto il cuore il sostegno. Probabilmente non potrebbe trasformare l’America nella Danimarca, e persino se lo potesse, il Presidente Trump sta cercando di trasformarci in una autocrazia di nazionalisti bianchi come l’Ungheria. Cosa scegliereste?

Ma gradirei molto se Sanders non fosse così deciso a rendersi un facile obbiettivo per le diffamazioni della destra.

Parlando di atteggiamenti politici che non aiutano, anche il secondo classificato nel New Hampshire sta avvelenando il suo pozzo. Nei giorni passati Pete Buttigieg ha scelto di atteggiarsi a falco del deficit, dimostrando così di essere magari una faccia nuova, ma di avere opinioni considerevolmente datate.

Forse Buttigieg non è al corrente del crescente consenso dei principali economisti sul fatto che l’isteria del deficit di sette o otto anni orsono era in gran misura esagerata. L’anno scorso i passati massimi economisti della Amministrazione Obama hanno pubblicato un articolo dal titolo “Chi ha paura dei deficit del bilancio?” che concludeva: “è tempo che Washington metta da parte l’ossessione sul debito e si concentri su cose più importanti”.

E laddove Sanders sta facendo il gioco di una malfamata strategia politica repubblicana, Buttigieg ne sta favorendo un’altra: la strategia di azzoppare l’economia con l’austerità della finanza pubblica quando un democratico occupa la Casa Bianca, e di indebitarsi liberamente appena il Partito Repubblicano riconquista il potere. Se i democratici vincono, dovrebbero perseguire una agenda progressista, non dilapidare il loro capitale politico risanando i disastri del Partito Repubblicano.

Di nuovo, se Buttigieg diventa il candidato, il partito dovrebbe andargli dietro senza riserve. Qualsiasi cosa egli dica sul deficit, non farebbe quello che fanno i repubblicani, non userebbe le paure sul debito come una scusa per abbattere i programmi sociali.

Dunque, chi candideranno i democratici? Le vostre congetture valgono quanto le mie. Quello che è davvero importante, tuttavia, è che il partito resti concentrato sui suoi punti di forza e sui punti di debolezza di Trump.

Perché il punto è che tutti i democratici che ottenessero la Presidenza, da Bloomberg a Bernie, sono almeno moderatamente progressisti; vogliono tutti mantenere o espandere le reti della sicurezza sociale, aumentando le tasse per i ricchi. E tutte le prove che vengono dai sondaggi dicono che l’America è fondamentalmente una nazione di centro sinistra – che è la ragione per la quale Trump promise di elevare le tasse sui ricchi e di proteggere i principali programmi sociali durante la campagna elettorale del 2016.

Sennonché stava mentendo, e a questo punto chiunque non abbia i paraocchi lo sa. Dunque i democratici hanno l’indiscutibile opportunità d presentarsi, onestamente, come i difensori della Previdenza Sociale, di Medicare, di Medicaid e della adesso popolare Legge sulla Assistenza Sostenibile, contro i repubblicani che stanno più o meno apertamente favorendo gli interessi dei plutocrati su quelli delle famiglie dei lavoratori.

Tuttavia, quella opportunità sarà sprecata se il candidato democratico, uomo o donna che sia, trasforma le elezioni in un referendum o sulla assistenza sanitaria con un unico centro di pagamenti o sulla riduzione del deficit, nessuna delle quali è una posizione particolarmente popolare. La situazione diventerà anche peggiore se i democratici degenerano sino a bisticciare di purezza ideologica o di responsabilità nella gestione delle finanze pubbliche.

Il punto è che chiunque ottenga la candidatura, i democratici hanno bisogno di costruire una coalizione vasta quanto è possibile. Altrimenti consegneranno le elezioni a Trump – e quella sarebbe una tragedia per il partito, per la nazione e per il mondo.

 

 

 

 

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