March 17, 2020
Back in 2009 the economists Carmen Reinhart and Ken Rogoff published a very good book with a brilliant title: “This Time is Different: Eight Centuries of Financial Folly.” They were, of course, being sarcastic: During every financial bubble, as debt rises to levels that historically have portended trouble, investors eagerly assure themselves and each other that old rules no longer apply, only to suffer ruin when the usual things happen.
This time, however, really is different. Economic data are only now beginning to show what the financial markets have already priced in, a dramatic slump over the next few months. But while the slump — the coronacession? — is definitely coming, it’s going to be different from previous recessions. Among other things, while we usually measure the success of economic policy by what happens to real G.D.P. — the total value of goods and services the economy produces, adjusted for inflation — this time G.D.P. will be both a poor measure of success and a bad target for economic policy.
To be sure, there will be many parallels with the financial crisis of 2008 and the Great Recession that followed. Now as then, financial markets are being disrupted, with crazy asset pricing driven by financial stress. Now as then, there will probably be a lot of gratuitous unemployment, as consumers curtail their purchases and workers lose their jobs — gratuitous unemployment in the sense that it could have been avoided if Congress and the Trump administration had moved quickly to provide adequate economic stimulus. (Spoiler: they won’t).
What’s different this time, however, is that some of the things we want to be doing, indeed must do if we don’t want hundreds of thousands of unnecessary deaths, will temporarily reduce G.D.P. And that’s OK.
Most obviously, we want and need sick or potentially sick workers to stay home, limiting the spread of the virus. Some of these homebound workers will be able to do their jobs remotely, but even in 2020 most jobs require physical presence. As a result, we’re going to lose the G.D.P. those workers could have produced. So be it. Production isn’t everything.
A slightly more problematic issue involves jobs lost because of the social distancing we need to slow Covid-19’s spread. People won’t and shouldn’t be going to restaurants, doing nonessential shopping, and so on; that leaves people who would normally be working at these establishments idle.
The reason this is slightly more problematic is that given time, service workers in the affected sectors could be re-employed in substitute activities: fewer servers, more people making deliveries. In fact, Amazon says it needs to hire 100,000 more workers to keep up with surging online demand. If extreme social distancing were to become the new normal, there’s no fundamental reason we couldn’t still have full employment; it would just require a different mix of jobs.
But that can’t happen overnight, and if we think the worst will pass in a few months, it actually makes sense for most workers in the afflicted sectors to stay where they are and not work for a little while. That also means less G.D.P., but again, so be it.
So what’s the role of economic policy here? Two things. First, reduce the pain. Universal sick leave at close to full pay should just be the start; we should also be doing what Denmark is doing, and subsidize firms that keep paying wages. We should also dramatically increase aid to the unemployed.
Second, we should be funneling money into the economy to sustain spending on things that shouldn’t be affected by the virus. Job losses brought on by inadequate overall demand serve no purpose.
None of this would or should prevent at least a few months of economic contraction. But we could do a lot to make this plague less painful economically. I wish I had any confidence that we’ll do more than a small fraction of what we should.
I vostri soldi o la vostra vita?
Newletter di Paul Krugman
Nel 2009 gli economisti Carmen Reinhart e Ken Rogoff pubblicarono un ottimo libro dal titolo brillante: “Questa volta è diverso: otto secoli di follia finanziaria”. Erano, evidentemente, sarcastici: durante ogni bolla finanziaria, quando il debito sale a livelli che storicamente hanno fatto presagire guai, gli investitori ansiosamente rassicurano sé stessi e tutti gli altri che le vecchie regole non valgono più, per poi dover soccombere quando tornano a succedere le cose di sempre.
Questa volta, tuttavia, le cose sono davvero diverse. I dati economici soltanto adesso hanno cominciato a mostrare quello che i mercati finanziari avevano già stimato, uno spettacolare crollo entro pochi mesi. Ma se il crollo – chiamiamolo ‘coronacession’? – sta chiaramente arrivando, esso è destinato ad essere diverso dalle recessioni precedenti. Tra le altre cose, mentre solitamente misuriamo il successo di una politica economica per quello che accade al PIL reale – il valore totale di beni e dei servizi che l’economia produce, corretto per l’inflazione – questa volta il PIL sarà sia un indicatore modesto del successo, sia un obbiettivo sbagliato per la politica economica.
Di sicuro, ci saranno molti parallelismi con la crisi finanziaria del 2008 e la Grande Recessione che la seguì. Ora come allora, i mercati finanziari stanno subendo un turbamento, attribuendo valori pazzeschi agli asset guidati dalla tensione finanziaria. Ora come allora, probabilmente ci sarà una gran quantità di disoccupazione gratuita, dato che i consumatori ridimensionano i loro acquisti e i lavoratori perdono il loro posto di lavoro – disoccupazione gratuita nel senso che avrebbe potuto essere evitata se il Congresso e l’Amministrazione Trump avessero fornito un adeguato stimolo economico (una anticipazione: non lo faranno).
Quello che questa volta, tuttavia, è diverso è che alcune delle cose che si vorrebbe che si facessero, che in effetti si devono fare se non si vogliono centinaia di migliaia di vittime non necessarie, temporaneamente riducono il PIL. E questo è giusto.
Il caso più evidente è che vogliamo e abbiamo bisogno che i lavoratori ammalati o potenzialmente ammalati stiano a casa, limitando la diffusione del virus. Alcuni di questi lavoratori costretti nelle loro case potranno fare i loro lavori da remoto, ma persino nel 2020 la maggioranza dei posti di lavoro richiedono la presenza fisica. Di conseguenza, siamo destinati a perdere il PIL che quei lavoratori avrebbero potuto produrre. E così sia. La produzione non è tutto.
Un aspetto leggermente più problematico sono i posti di lavoro perduti per la rarefazione dei contatti sociali di cui abbiamo bisogno per rallentare la diffusione del Covid-19. Le persone non andranno e non dovrebbero andare nei ristoranti, fare le spese non essenziali, e così via; questo lascia le persone che a cose normali lavorerebbero presso queste sedi, inattive.
La ragione per la quale questo è leggermente più problematico è che dato il momento, i lavoratori nei servizi nei settori colpiti potrebbero essere rioccupati in attività sostitutive: minori operatori nei servizi, più gente a fare le consegne. Amazon dice di aver bisogno di assumere 100.000 nuovi lavoratori per fronteggiare le crescenti domande online. Se una estrema rarefazione dei contatti sociali dovesse diventare la nuova regola, non ci sarebbe alcuna ragione insuperabile perché non si possa avere piena occupazione; si richiederebbe soltanto una diversa composizione dei posti di lavoro.
Ma questo non può avvenire nottetempo, e se pensiamo che il peggio passerà in pochi mesi, per la maggioranza dei lavoratori nei settori colpiti ha effettivamente senso che restino dove sono e non lavorino per un po’. Anche questo comporta meno PIL, ma, ancora, così sia.
Dunque, qual è in questo caso il ruolo della politica economica? Due cose. La prima, ridurre le sofferenze. Il congedo universale per malattia vicino ad una paga piena dovrebbe essere solo il punto di partenza; dovremmo fare anche quello che sta facendo la Danimarca, e sussidiare le imprese che continuano a pagare i salari. Dovremmo anche aumentare in modo vistoso l’aiuto ai disoccupati.
La seconda, dovremmo incanalare risorse finanziarie nell’economia per sostenere le spese su cose che non dovrebbero essere influenzate dal virus. La perdita di posti di lavoro provocata da una inadeguata domanda complessiva non ha alcuna ragione di essere.
Niente di questo impedirà o dovrebbe impedire almeno alcuni mesi di contrazione economica. Ma possiamo fare molto per rendere questo flagello economicamente meno doloroso. Vorrei avere un po’ di fiducia che faremo di più che non una minima parte di quello che dovremmo.
By mm
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