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Possono la Fed e i suoi soci salvare l’economia? Newsletter di Paul Krugman (3 marzo 2020)

 

March 3, 2020

Can the Fed and friends save the economy?

Paul Krugman

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Markets were in a state of near panic, deeply worried about the economic outlook. But then the Federal Reserve stepped up: its chairman issued a statement strongly suggesting that he would cut interest rates. And the market experienced a huge relief rally.

No, I’m not talking about Monday’s big market bump. I’m talking about Dec. 5, 2000, in the middle of what we now remember as the bursting of the dot-com bubble. (Actually, I wonder if some of my readers are too young even to remember that?) The Fed chairman in question was Alan Greenspan; his remarks sent the tech-heavy Nasdaq soaring 10.5 percent in a day, while broader stock indexes also rose by several points.

The relief was, however, short-lived. Stocks quickly began falling again. The Nasdaq wouldn’t regain the level it reached on Greenspan Day until, wait for it, 2012.

I’m not making a stock market prediction here; that’s a mug’s game (and sometimes I’ve been the mug). I’m just trying to put Monday’s rally into perspective.

The thing is, markets actually had more reason to place faith in Alan Greenspan 2000 than they do to have faith in Jerome Powell 2020, because Greenspan had a lot more ammunition. The short-term interest rates the Fed effectively controls were above 6 percent in late 2000, and the Fed ended up cutting rates by about 5 percentage points — which was, it turned out, still not enough to prevent a big stock slump and a recession.

Before today’s rate cut, the Fed only had around 1.5 percent, leaving far less room to cut. And the Fed’s counterparts abroad are in even worse shape: short-term interest rates in Europe are actually negative, so the European Central Bank has basically no room at all to cut further.

So why did markets get all giddy over the prospect of central bank stimulus? Bear in mind, also, that it was always a given that the Fed would cut rates if the coronavirus looked likely to do serious economic damage. So there wasn’t even much news on that front.

What probably happened, instead, was that talk of Fed easing provided a convenient peg on which to hang a story that was mostly about herd behavior.

My view of markets was shaped long ago by a classic analysis Robert Shiller — who later won a richly deserved Nobel Prize — did of the huge October 1987 stock crash, which came out of the blue. After the fact people tried to come up with various explanations of the crash, but Shiller managed to interview a large number of traders in real time, as the crash was happening. He found, basically, that traders were selling because other traders were selling; it was essentially a self-reinforcing selling panic.

What happened Monday was basically a self-reinforcing buying panic.

But were last week’s big sell-offs equally irrational? Probably. There was some real news about the coronavirus, but probably not enough to justify the sheer scale of the decline.

So what happens next? When it comes to the markets, I have no idea. But when it comes to the underlying economics, we know two things. First, the coronavirus is looking more and more like a serious blow to the economy. Second, as I’ve already pointed out, the Fed and its counterparts don’t have much room to respond.

I’ve been saying for a while that I didn’t know when the economy would next face a serious bump in the road, but I did know that our shock absorbers were pretty much shot. Well, here comes the bump. Brace yourself.

 

Possono la Fed ed i suoi soci salvare l’economia?

Newsletter di Paul Krugman

 

I mercati erano in uno stato vicino al panico, profondamente preoccupati sulle previsioni per l’economia. Ma allora si fece avanti la Federal Reserve: il suo Presidente diffuse una dichiarazione indicando con forza che avrebbe tagliato i tassi di interesse. E il mercato conobbe una vasta ripresa di ottimismo.

No, non sto parlando del grande sobbalzo del mercato di lunedì. Sto parlando del 5 dicembre del 2000, nel bel mezzo di quella che oggi ricordiamo come l’esplosione della bolla del settore del commercio elettronico (in realtà, mi chiedo se alcuni dei miei lettori non siano troppo giovani per ricordarsene). Il Presidente in questione della Fed era Alan Greenspan; le sue osservazioni provocarono un’impennata dell’indice tecnologico del Nasdaq del 10,5 per cento in un giorno, mentre anche gli indici azionari più generici salirono di vari punti.

Il sollievo fu tuttavia di breve durata. In breve tempo le azioni cominciarono rapidamente a scendere di nuovo. Il Nasdaq non avrebbe riguadagnato il livello raggiunto nel Giorno di Greenspan sino, pensate un po’, al 2012.

In questo caso non sto facendo una previsione sul mercato azionario; quello è un gioco da babbei (e talvolta il babbeo sono stato io). Sto solo cercando di collocare la ripresa di lunedì in una prospettiva.

Il punto è: effettivamente i mercati avevano più ragioni di avere fiducia in Alan Greenspan nel 2000 di quante non ne abbiano oggi con Jerome Powell, dato che Greenspan aveva molte più munizioni. I tassi di interesse a breve termine sotto il controllo della Fed erano superiori al 6 per cento sulla fine del 2000, e la Fed finì per tagliare i tassi di circa 5 punti percentuali – il che, si scoprì, era ancora insufficiente ad impedire un grande crollo delle azioni e una recessione.

Prima del taglio dei tassi di oggi, la Fed aveva soltanto circa l’1,5 per cento, il che lascia molto meno spazio per i tagli. E gli omologhi della Fed all’estero sono in condizioni persino peggiori: i tassi di interesse in Europa sono effettivamente negativi, cosicché la Banca Centrale Europea non ha fondamentalmente nessuno spazio per tagliarli ulteriormente.

Perché dunque i mercati sono rimasti tutti impressionati dalla prospettiva di uno stimolo della banca centrale? Si tenga anche a mente che era sempre stato considerato un dato di fatto che la Fed avrebbe tagliato i tassi al momento in cui fosse apparso probabile che il coronavirus poteva provocare un serio danno economico. Dunque, su quel fronte non c’erano neppure tante novità.

Quello che, invece, probabilmente è accaduto è che il parlare di facilitazioni da parte della Fed ha fornito un comodo aggancio sul quale appendere una narrazione che ha soprattutto riguardato il comportamento gregario.

Il mio punto di vista sui mercati si è formato molto tempo fa sulla base di una classica analisi che Robert Shiller – che in seguito ottenne un Premio Nobel completamente meritato – fece del grande crollo azionario del 1987, che scoppiò inaspettatamente. A cose fatte le persone cercarono di congetturare varie spiegazioni del crollo, ma Shiller aveva provato a intervistare in tempo reale un gran numero di operatori, nel mentre il crollo era in corso. Fondamentalmente, egli scoprì che gli operatori stavano vendendo perché altri operatori stavano vendendo; fu essenzialmente un panico di vendite che si auto rafforzava.

Quello che è accaduto lunedì è stato fondamentalmente un panico di acquisti che si è auto rafforzato.

Ma le grandi svendite della settimana scorsa non erano egualmente irrazionali? Probabilmente. C’erano state alcune reali notizie sul coronavirus, ma probabilmente non sufficienti a giustificare l’intera dimensione del declino.

Dunque, cosa accadrà successivamente? Se si parla dei mercati, non ne ho idea. Ma se si parla dell’economia sottostante, so due cose. La prima, il coronavirus assomiglia sempre di più ad una seria tempesta sull’economia. La seconda, come ho già messo in evidenza, la Fed ed i suoi omologhi non hanno molto margine di risposta.

Era da un po’ che dicevo di non sapere quando l’economia sarebbe di nuovo incappata in un serio sobbalzo nel suo percorso, ma che sapevo che i nostri ammortizzatori erano abbastanza scarichi. Ebbene, ecco il sobbalzo. Tenetevi forte.

 

 

 

 

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