BERKELEY – Last week, G7 finance ministers and central bank governors vowed to use “all appropriate policy tools” to contain the economic threat posed by the COVID-19 coronavirus. The question left unanswered is what is appropriate, and what will work.
The immediate response took the form of central bank rate cuts, with the US Federal Reserve fast off the mark. Though central banks can move quickly, however, it is not clear how much they can do, given that interest rates are already at rock-bottom levels. In any case, the Fed’s failure to coordinate its rate cut with other major central banks sent a negative signal about the coherence of the response.
Moreover, monetary policy can’t mend broken supply chains. My colleague Brad DeLong has tried to convince me that an injection of central bank liquidity can help get global container traffic moving again, as it did in 2008. (Now you know the kind of elevator conversations we have at UC Berkeley.) But the problem in 2008 was disruptions to the flow of finance, which central banks’ liquidity injections could repair.
The problem today, however, is a sudden stop in production, which monetary policy can do little to offset. Fed Chair Jerome Powell can’t reopen factories shuttered by quarantine, whatever US President Donald Trump may think. Likewise, monetary policy will not get shoppers back to the malls or travelers back onto airplanes, insofar as their concerns center on safety, not cost. Rate cuts can’t hurt, given that inflation, already subdued, is headed downward; but not much real economic stimulus should be expected of them.
The same is true, unfortunately, of fiscal policy. Tax credits won’t get production restarted when firms are preoccupied by their workers’ health and the risk of spreading disease. Payroll-tax cuts won’t boost discretionary spending when consumers are worried about the safety of their favorite fast-food chain.
The priority therefore should be detection, containment, and treatment. These tasks require fiscal resources, but their success will hinge more importantly on administrative competence. Restoring public confidence requires transparency and accuracy in reporting infections and fatalities. It requires giving public health authorities the kind of autonomy enjoyed by independent central banks. (Unfortunately, this is not something that comes naturally to leaders like Trump.)
Still, expansionary fiscal policy, like expansionary monetary policy, can’t hurt. Here, Italy has shown the way, postponing tax and mortgage payments, extending tax credits to small firms, and ramping up other spending. The US so far has shown less readiness to act, failing even to encourage people to seek testing by helping them pay their medical bills.
One obstacle to fiscal stimulus is that its effects leak abroad, because some of the additional spending is on imports. As a result, each fiscal authority hesitates to move, and governments collectively provide less stimulus than is needed. This justifies coordinating fiscal initiatives, as G20 countries did in 2009. But, by that year’s standards, the recent G7 communiqué promising “all appropriate action” was a nothingburger that did little to bolster confidence that governments would take the concerted steps called for by worsening global conditions.
Then there are fiscal hawks and monetary-policy scolds who claim that any official intervention will be counterproductive. They warn, for example, that financial systems will be impaired if central banks push interest rates deeper into negative territory. But while there surely exists an interest rate sufficiently below zero where this is the case, all the evidence is that current rates are still very far from this point.
In addition, we are cautioned that fiscal stimulus by governments with heavy debts will undermine confidence, rather than bolster it. Japan, it is said, is already dangerously over-indebted. This exaggerated argument ignores the fact that the Japanese government has extensive public-sector assets to offset against its debts. Likewise, we are reminded that the US has a looming entitlement burden, an argument that ignores the fact that the interest rate on the public debt is perennially below the economy’s growth rate. And while China’s state-owned enterprises may have massive debts, the tightly controlled financial system limits the risk of the kind of financial crisis that the country’s critics have been erroneously forecasting for years.
Central banks and political leaders, faced with a global crisis, should ignore these fallacious arguments and use monetary and fiscal policies to ensure market liquidity, support small firms, and encourage spending. But they must recognize that these textbook responses will have only limited effects when the problem is not a shortage of liquidity, but rather supply-chain disruptions and a contagion of fear. Today, economic stabilization depends most importantly on the actions of public-health authorities, who should be given the resources and leeway to do their jobs, including freedom to cooperate with their foreign counterparts.
In the fight against the COVID-19 pandemic, economists, economic policymakers, and bodies like the G7 should humbly acknowledge that “all appropriate tools” imply, above all, those wielded by medical practitioners and epidemiologists. Coordination, autonomy, and transparency must be the watchwords.
Testo di base dell’economia del coronavirus,
di Barry Eichengreen
BERKELEY – La scorsa settimana i Ministri delle Finanze del G7 e i Governatori delle banche centrali si sono impegnati ad usare “tutti gli appropriati strumenti politici” per contenere la minaccia costituita dal coronavirus COVID-19. La questione che è rimasta senza risposta è che cosa sia appropriato e che cosa funzionerà.
La reazione immediata ha preso la forma dei tagli dei tassi delle banche centrali, con la Federal Reserve degli Stati Uniti che è stata rapida a scattare. Tuttavia, sebbene le banche centrali possano muoversi rapidamente, non è chiaro quanto possano fare, dato che i tassi di interesse hanno già toccato il fondo. In ogni caso, l’incapacità della Fed di coordinare il suo taglio del tasso con altre principali banche centrali ha mandato un messaggio negativo sulla coerenza della risposta.
Inoltre, la politica monetaria non può porre rimedio alla rottura delle catene dell’offerta. Il mio collega Brad DeLong ha cercato di convincermi che una iniezione di liquidità della banca centrale può aiutare a rimettere in moto il traffico globale dei container, come fece nel 2008 (così adesso sapete che genere di conversazioni abbiamo sull’ascensore all’Università della California di Berkeley). Ma il problema nel 2008 erano le interruzioni nei flussi della finanza, che le iniezioni di liquidità delle banche centrali potevano riparare.
Il problema di oggi, tuttavia, è l’improvviso blocco della produzione, che la politica monetaria può far poco per bilanciare. Il Presidente della Fed Jerome Powell non può riaprire gli stabilimenti chiusi per la quarantena, qualsiasi cosa pensi in proposito il Presidente Donald Trump. In modo analogo, la politica monetaria non può riportare i clienti nei centri commerciali o i viaggiatori sugli aeroplani, dato che le loro preoccupazioni riguardano la sicurezza, non i costi. I tagli del tasso non possono far danni, dato che l’inflazione, già tenue, è indirizzata verso il basso; ma da essi non ci si può aspettare un effettivo reale stimolo economico.
Lo steso è vero, sfortunatamente, per la politica della finanza pubblica. I crediti di imposta non fanno ripartire la produzione quando le imprese sono preoccupate per la salute dei loro lavoratori e per il rischio di diffusione della malattia. I tagli delle tasse sugli stipendi non incoraggeranno la spesa discrezionale quando i consumatori sono preoccupati per la sicurezza della loro preferita catena di fast-food.
Di conseguenza, la priorità dovrebbe essere la localizzazione, il contenimento e il trattamento. Questi obbiettivi richiedono risorse della finanza pubblica, ma il loro successo dipenderà in modo più importante dalla competenza amministrativa. Ripristinare la fiducia nell’opinione pubblica richiede trasparenza e accuratezza nell’informare sulle infezioni e sulle vittime. Richiede che sia assicurato alle autorità sanitarie quel genere di autonomia di cui godono le banche centrali indipendenti (sfortunatamente, questo non è qualcosa che venga naturale a dirigenti come Trump).
Eppure, una politica della finanza pubblica espansiva, al pari di una politica monetaria espansiva, non può far danno. In questo caso, l’Italia ha mostrato il modo, dilazionando le tasse e i pagamenti sui mutui, estendendo i crediti di imposta alle piccole imprese e accrescendo altre spese. Sinora gli Stati Uniti hanno mostrato una minore prontezza ad agire, non riuscendo neppure a incoraggiare le persone a cercare di farsi esaminare, aiutandole a pagare la loro spesa sanitaria.
Un ostacolo allo stimolo della finanza pubblica è che i suoi effetti si perdono all’estero, perché una parte della spesa aggiuntiva è sulle importazioni. Di conseguenza, ciascun centro di spesa esita a muoversi, e i governi nel loro assieme forniscono minore stimolo del necessario. Questo giustifica il coordinamento delle iniziative di finanza pubblica, come i paesi del G20 fecero nel 2009. Ma, per gli standard di quell’anno, il recente comunicato del G7 che promette “tutta l’iniziativa adeguata” è una specie di panino senza companatico, che non ha fatto niente per incoraggiare la fiducia che i Governi avrebbero intrapreso i passi concertati richiesti dal peggioramento delle condizioni globali.
Ci sono poi i falchi della spesa pubblica e le Cassandre della politica monetaria che sostengono che ogni intervento ufficiale sarà controproducente. Mettono in guardia, ad esempio, che i sistemi finanziari saranno danneggiati se le banche centrali spingono troppo profondamente i tassi di interesse in territorio negativo. Ma mentre esiste sicuramente un tasso di interesse alquanto sotto lo zero dove questo possa accadere, tutte le prove indicano che i tassi attuali sono assai lontani da quel punto.
In aggiunta veniamo ammoniti che uno stimolo della finanza pubblica da parte dei Governi pesantemente indebitati metterà a repentaglio la fiducia, anziché sostenerla. Il Giappone, si dice, è già pericolosamente sovra indebitato. Questo esagerato argomento ignora che il Governo giapponese ha grandi asset del settore pubblico per bilanciare i suoi debiti. Analogamente, ci viene ricordato che gli USA hanno un peso per i costi dei diritti sociali che incombe minacciosamente, un argomento che ignora che il tasso di interesse sul debito pubblico è perennemente al di sotto del tasso di crescita dell’economia. E se le imprese di proprietà statale della Cina possono avere massicci debiti, quel sistema finanziario strettamente controllato limita il rischio di un genere di crisi finanziaria che i critici di quel paese sono venuti prevedendo erroneamente da anni.
Le banche centrali e i dirigenti politici, a fronte di una crisi globale, dovrebbero ignorare questi argomenti inconsistenti e utilizzare politiche monetarie e della finanza pubblica per assicurare la mercato liquidità, per sostenere le piccole imprese e incoraggiare la spesa. Ma debbono riconoscere che queste risposte da manuale avranno effetti solo limitati quando il problema non è una carenza di liquidità, ma piuttosto interruzioni nella catena dell’offerta e il contagio della paura. Oggi, la stabilizzazione economica dipende in modo più importante dalle iniziative delle autorità della sanità pubblica, alle quali dovrebbero essere garantite le risorse e la libertà d’azione per fare il loro lavoro, compresa la libertà di collaborare con i loro omologhi stranieri.
Nella lotta contro la pandemia del COVID-19, gli economisti, le autorità economiche e istituzioni come il G7 dovrebbero umilmente riconoscere che “tutti gli strumenti appropriati” corrispondono, soprattutto, agli strumenti detenuti dagli operatori della sanità e dagli epidemiologhi. Le parole d’ordine devono essere coordinamento, autonomia e trasparenza.
By mm
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