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I pavoni e gli avvoltoi stanno volteggiando sul deficit, di Paul Krugman (New York Times, 27 aprile 2020)

April 27, 2020

Peacocks and Vultures Are Circling the Deficit

By Paul Krugman

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Almost a decade has passed since I published a column, “Myths of Austerity,” warning that deficit alarmism would delay recovery from the Great Recession — which it did. Unfortunately, that kind of alarmism seems to be making a comeback.

You can see that comeback in the gradually increasing number of news analyses emphasizing how much debt we’ll run up dealing with the Covid-19 crisis. You can also see it in the rhetoric of politicians like Mitch McConnell, the Senate majority leader, who is blocking aid to beleaguered state and local governments because, he says, it would cost too much.

So this seems like a good time to emphasize two key facts. One is economic: While we will run very big budget deficits over the next couple of years, they will do little if any harm. The other is that whatever they may say, very few prominent figures in politics or the media are genuine deficit hawks, who are actually worried about the consequences of rising government debt. What we mainly have, instead, are deficit peacocks and deficit vultures.

The term “deficit peacocks” was coined by the Center for American Progress for people who preen and posture about fighting deficits without offering realistic policy proposals. I’d broaden the term to include what I used to call Very Serious People — those who inveigh against the evils of debt not because they’ve done a careful analysis but because they imagine that it makes them sound earnest and tough-minded.

The glory days of deficit peacocks were the early teens, an era in which people like Alan Simpson and Erskine Bowles were lionized by the news media. As Vox’s Ezra Klein noted at the time, for some reason “the usual rules of reportorial neutrality don’t apply when it comes to the deficit”; the wisdom and virtue of deficit warriors were simply taken for granted.

We haven’t heard much from the deficit peacocks in recent years, even though the budget deficit, which declined sharply during the Obama years, soared again under Donald Trump. Funny how that works. But you can be sure they’ll be back in force if Joe Biden wins this November.

What about deficit vultures? That’s the term I’ve been using for politicians who exploit real or imagined fiscal distress to feed a reactionary policy agenda.

After the last crisis, conservatives used deficits as an excuse to cut social programs — for example, a number of states made it much harder to collect unemployment benefits. This time around, McConnell and Trump are trying to exploit deficit fears to force state governments to downsize, undermine (and possibly privatize) the post office and more.

It goes almost without saying that the deficit vultures are hypocrites. After all, Trump and McConnell rammed through a $2 trillion tax cut in 2017, with no apparent concern about the effects on the deficit. Nor have I heard any Republican complaints about Trump’s huge bailouts for farmers, whose distress is largely the result of his own policies.

An aside: Far too much reporting on these issues involves what the economist Dean Baker calls mind-reading. That is, news analyses include statements along the lines of “Republicans are concerned about rising deficits,” when in fact all we know is that Republicans claim to be concerned about rising deficits — and there are very good reasons to be skeptical about that claim. After all, have modern Republicans ever seen deficits as a constraint on their own tax-cutting agenda? Even once?

Still, hypocrisy aside, should we be worried about the effects of Covid-19 on debt? No.

It’s true that we’re headed for some eye-popping numbers. Last week the Congressional Budget Office released preliminary economic and budget projections for the next two years, which were both shocking and unsurprising.

That is, the numbers were grim but more or less in line with what many independent economists have been predicting. In particular, the budget office expects the Covid-19 crisis to drive the unemployment rate to 16 percent in a few months, which might even be on the low side.

Soaring unemployment will cause federal revenues to plunge, and also lead to a surge in spending on safety-net programs like unemployment insurance, Medicaid and food stamps. Add in the large relief packages Congress has passed, and the budget office projects a deficit that will temporarily rise to levels we haven’t seen since World War II, and it expects federal debt to rise to 108 percent from 79 percent of G.D.P., which sounds scary.

But the government will be able to borrow that money at incredibly low interest rates. In fact, real interest rates — rates on government bonds protected against inflation — are negative. So the burden of the additional debt as measured by the rise in federal interest payments will be negligible. And no, we don’t have to worry about paying off the debt; we never will, and that’s OK.

The bottom line is that right now, the only thing we have to fear from deficits is deficit fear itself. Pay no attention to the peacocks and vultures: In this time of pandemic, we can and should spend whatever it takes to limit the damage.

 

I pavoni e gli avvoltoi stanno volteggiando sul deficit,

di Paul Krugman

 

È passato quasi un decennio da quando pubblicai un articolo, “Miti dell’austerità”, mettendo in guardia che l’allarmismo sul deficit avrebbe ritardato la ripresa dalla Grande Recessione – come avvenne. Sfortunatamente, quel genere di allarmismo sembra stia tornando. Potete osservare il ritorno nel numero gradualmente crescente di nuove analisi che mettono l’accento su quanto sarà grande il debito che faremo aumentare per misurarci con la crisi del Covid-19. Lo potete anche osservare nella retorica di politici come Mitch McConnell, il leader della maggioranza al Senato, che sta bloccando l’aiuto agli Stati ed alle comunità locali sotto assedio perché, dice, costerebbe troppo.

Dunque sembra il momento buono per mettere in evidenza due fatti. Uno è economico: mentre gestiremo deficit di bilancio molto grandi nel giro di un paio d’anni, il danno, se ce ne sarà qualcuno, sarà modesto. L’altro è che, qualsiasi cosa dicano, molti pochi individui eminenti nella politica e nei media sono falchi del deficit genuini, che effettivamente si preoccupano delle conseguenze di un debito pubblico crescente. Ciò che, invece, abbiamo principalmente sono i pavoni del deficit e gli avvoltoi del deficit.

Il termine “pavoni del deficit” venne coniato dal Centro per il Progresso Americano per individui che si danno delle arie e si atteggiano a combattenti dei deficit senza offrire proposte politiche realistiche. Allargherei il termine sino a includere quelle che ero solito definire Persone Molto Serie – coloro che si scagliano contro i mali del debito non a seguito di una analisi scrupolosa, ma perché si immaginano che questo li faccia sembrare coscienziosi e risoluti.

I giorni di gloria dei pavoni del deficit furono gli inizi del secondo decennio degli anni 2000 [1], un periodo nel quale persone come Alan Simpson e Erskine Bowles [2] erano esaltati dai media dell’informazione. Come osservò allora Ezra Klein di Vox, per qualche motivo “le regole consuete della neutralità nei resoconti non si applicano quando si arriva al deficit”; la saggezza e la virtù dei combattenti del deficit erano semplicemente considerate garantite.

Negli anni recenti non abbiamo molto sentito parlare dei pavoni del deficit, anche se il deficit del bilancio, che era calato nettamente durante gli anni di Obama, con Donald Trump è nuovamente schizzato in alto. È curioso come funziona. Ma si può esser certi che torneranno in forza se Joe Biden vince a novembre.

Dopo l’ultima crisi, i conservatori hanno utilizzato i deficit come un pretesto per tagliare i programmi sociali – ad esempio, un certo numero di Stati ha reso molto più difficile la riscossione dei sussidi di disoccupazione. In questa occasione, McConnell e Trump stanno cercando di sfruttare i timori del deficit per costringere i governi degli Stati a tagliare, danneggiare (e possibilmente privatizzare) l’agenzia delle poste ed altro ancora.

Non è quasi il caso di dire che gli avvoltoi del deficit sono ipocriti. Dopo tutto, Trump e McConnell hanno fatto approvare un taglio delle tasse di 2.000 miliardi di dollari, senza alcuna apparente preoccupazione sugli effetti sul deficit. Neanche ho sentito un repubblicano lamentarsi per gli enormi salvataggi di agricoltori da parte di Trump, le difficoltà dei quali erano in gran parte la conseguenza delle sue stesse politiche.

Un inciso: una gran parte dei resoconti su queste tematiche riguarda quello che l’economista Dean Baker chiama ‘lettura del pensiero’. Vale a dire, le analisi dei notiziari includono affermazioni del tipo “i repubblicani sono preoccupati per i deficit crescenti”, quando di fatto sappiamo che i repubblicani pretendono di essere preoccupati dei deficit crescenti – e ci sono ottime ragioni per essere scettici su quella pretesa. Dopo tutto, i repubblicani contemporanei hanno mai considerato i deficit come un limite al loro stesso programma di tagli fiscali? Quando mai?

Eppure, ipocrisia a parte, dovremmo essere preoccupati per gli effetti del Covid-19 sul debito? Niente affatto.

É vero che stiamo andando verso numeri strabilianti. La scorsa settimana l’Ufficio Congressuale del Bilancio ha pubblicato le previsioni economiche di bilancio preliminari per i prossimi due anni, che sono sia impressionanti che scontate.

Ovvero, i dati erano foschi ma più o meno in linea con quello che molti economisti indipendenti stanno prevedendo. In particolare, l’Ufficio del bilancio si aspetta che la crisi del Covid-19 spinga in pochi mesi il tasso di disoccupazione al 16 per cento, che potrebbe persino essere la cifra più bassa.

Il picco della disoccupazione provocherà il crollo delle entrate federali e porterà anche ad una impennata della spesa sui programmi di sicurezza sociale come l’assicurazione per la disoccupazione, Medicaid e gli aiuti alimentari. Si aggiungano gli ampi pacchetti di aiuti che il Congresso ha approvato, e l’Ufficio del bilancio prevede un deficit che temporaneamente salirà a livelli che non avevamo visto dalla Seconda Guerra Mondiale, e si aspetta che il debito federale salga, dal 79 per cento, al 108 per cento del PIL, che sembra allarmante.

Ma il Governo potrà prendere a prestito quel denaro a tassi di interesse incredibilmente bassi. Di fatto, i tassi di interesse reali – i tassi sulle obbligazioni pubbliche protette dall’inflazione – sono negativi. Dunque il peso del debito aggiuntivo misurato come crescita dei pagamenti federali degli interessi sarà trascurabile. E non ci dobbiamo preoccupare per il saldo di quel debito; non ci sarà mai, ed è giusto che sia così [3].

La morale della favola è che in questo momento la sola cosa che dobbiamo temere dai deficit è la paura stessa del deficit. Non si presti alcuna attenzione ai pavoni ed agli avvoltoi: in tempi di pandemia, possiamo e dovremmo spendere tutto quello che serve per limitare il danno.

 

 

 

 

 

[1] “Teens” significa l’età dell’adolescenza (13-19). Quindi, a proposito un periodo temporale, non mi pare che possa essere tradotto in un altro senso che riferendosi “agli anni tra i 13 e i 19″. Più semplicemente, poiché di precisa che erano gli “early teens”, agli “inizi del secondo decennio”. 

[2] I due copresidenti – un democratico ed un repubblicano – di una commissione sul deficit che studiò alcune misure per la riduzione del debito pubblico.

[3] La connessione nel testo inglese rimanda ad un articolo di Morgan Housel del 17 aprile scorso, nel quale si spiega in che modo e in che senso i grandi debiti delle Seconda Guerra Mondiale non hanno dovuto essere “rimborsati”. Fondamentalmente la causa è che, diversamente dal debito di un mutuo che deve essere rimborsato ad una determinata scadenza, il debito di una nazione può essere protratto indefinitamente nel tempo; quindi ciò che conta è il rapporto tra tasso di interesse e tassi di crescita del PIL di una nazione (tema abbondantemente chiarito da Olivier Blanchard di recente) nel periodo nel quale si conserva il debito eccezionale. Con tassi di crescita superiori ai tassi di interesse, il debito trasferito ad una generazione successiva non è un ‘peccato’, anzi è una assoluta convenienza.

 

 

 

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