June 15, 2020
By Paul Krugman
After all these years, Hertz is No. 1 again. Not in market share: The car-rental company is a distant second to Enterprise. But Hertz has become Exhibit #1 of the madness that has been sweeping the stock market in these times of Covid-19 — a madness that may do considerable harm, not because stock prices themselves matter all that much, but because Donald Trump and his minions treat the stock market as a measure of their success.
About Hertz: Last month the company, which is deeply in debt and has seen its business plunge amid the pandemic, filed for Chapter 11 protection. This is a form of bankruptcy that keeps a company operating by restructuring its debts.
But while companies that enter Chapter 11 often survive, their stockholders are normally wiped out. So Hertz stock should have become more or less worthless.
Sure enough, Hertz’s stock price fell from more than $20 in February to less than $1 in early June. But then a funny thing happened: Investors suddenly piled into the stock, driving it up by more than 500 percent. And Hertz — in bankruptcy! — announced plans to raise money by selling more stock.
The Hertz story was just one example of a broader phenomenon. The run-up in stock prices that took place between mid-May and Thursday’s sudden plummet was driven, to an important extent, by investors rushing into very dubious companies — what one observer called a “flight to crap.”
Stock markets never bear much relationship to the real economy, but these days they don’t seem to have much to do with reality in general.
So what is going on in the market? Think of it as a play in three acts (so far).
The first act was the huge decline that markets experienced as the threat from Covid-19 became clear. This decline reflected justified concerns about future profits, but it also reflected a developing financial crisis: For a few weeks credit markets were seizing up pretty much the same way they did in 2008.
The Federal Reserve, however, has been there and done that. It moved quickly, buying bonds, establishing special lending facilities, and essentially doing whatever it took to lubricate markets and keep money flowing freely.
The result was the second act of the play, a stock rebound that made up about half of the losses from the initial plunge.
Up to that point the behavior of stock prices generally made sense. But then came the third act, a surge in prices that eliminated most of the previous losses and drove the Nasdaq to a new high. And this surge bore all the usual signs of a bubble.
Robert Shiller, the world’s leading expert on such things, has pointed out that asset bubbles are, in effect, naturally occurring Ponzi schemes. Early investors see big gains because later investors drive prices up, inducing more people to buy in, and so on; the party continues until something cuts off the flow of new money, and suddenly everything crashes.
So it was with the recent stock surge. Encouraged by the Fed-induced recovery of stocks from their March lows, some investors began buying. Their optimism became a self-fulfilling prophecy, as initial gains led more cautious investors to join in, driven by FOMO — fear of missing out. It looked a lot like the dot-com bubble of the 1990s, except on a vastly accelerated timetable.
Although there is some dispute about how important they were, most of the evidence suggests that a major role in this apparent bubble was played by small investors — “retail bros” — pursuing get-rich-quick dreams. Some of these exuberant investors were people who normally bet on sports and were looking for an alternative source of excitement. And as the Hertz example shows, they didn’t care much about quality.
Why didn’t large investors offset this apparent irrational exuberance by selling stocks? As John Maynard Keynes argued long ago, staid investors who usually stabilize the market tend to abdicate judgment in “abnormal times.” We are, you might say, in a time when the smart money lacks all conviction, while the dumb money is filled with a passionate intensity.
And now the bubble may — may — be bursting. But does any of this matter?
In a direct sense, not much. Stock prices surely have some impact on business investment and consumer spending, but these effects are probably small.
But the Trump team sees stock prices as the ultimate measure of policy success. Back in 2007 — on the eve of the Great Recession — Larry Kudlow, who is now Trump’s top economist, declared that things were going great, because the market was up, and stock prices are “the best barometer of the health, wealth and security of a nation.”
So the Trumpists took the rising market as validation for everything they were doing — their push for early reopening even though the coronavirus was by no means contained, their opposition to further relief for unemployed workers. In other words, the irrational exuberance of the retail bros may have enabled the irresponsibility of an administration that didn’t want to deal with reality in the first place.
And while falling stocks may provoke a reconsideration, a lot of damage has already been done.
La follia del mercato nella pandemia,
di Paul Krugman
Dopo tutti questi anni, Hertz è di nuovo il Numero 1. Non nelle quote di mercato: la società degli autonoleggi è al secondo posto, ben distante da Enterprise. Ma Hertz è diventata la prova principale della follia che è dilagata nel mercato delle azioni in questi giorni di Covid-19 – una follia che può fare un danno considerevole, non perché gli stessi prezzi delle azioni contino poi così tanto, ma perché Donald Trump e i suoi galoppini trattano il mercato azionario come una misura del loro successo.
A proposito di Hertz: il mese scorso la società, che è profondamente indebitata e ha visto i suoi affari crollare nel mezzo della pandemia, ha presentato istanza di protezione ai sensi del Capitolo 11. Si tratta di una forma di fallimento che mantiene una società in funzione tramite le ristrutturazione dei suoi debiti.
Ma mentre le società che usufruiscono del Capitolo 11 spesso sopravvivono, i loro azionisti sono normalmente spazzati via. Dunque, le azioni della Hertz dovrebbero essere diventate più o meno prive di valore.
Infatti, il pezzo di una azione della Hertz è caduto da più di 20 dollari a febbraio a 1 dollaro agli inizi di giugno. Ma poi è successa una cosa curiosa: all’improvviso gli investitori hanno preso ad accumulare quelle azioni, spingendole in alto per più del 500 per cento. E Hertz – in bancarotta! – ha annunciato programmi per raccogliere soldi con la vendita di ulteriori azioni.
Ma la storia della Hertz è solo un esempio di un fenomeno più generale. La crescita dei valori azionari che ha avuto luogo tra la metà di maggio e il crollo improvviso di giovedì è stata guidata, in misura importante, da investitori che si precipitano verso società molto dubbie – ciò che un osservatore ha definito un “volo nella cacca”.
I mercati azionari non mostrano mai un gran relazione con l’economia reale, ma di con la realtà. Di questi tempi essi sembrano non avere, più in generale, molto a che fare con la realtà.
Cosa sta accadendo, dunque, sui mercati? Può essere pensato come uno spettacolo in tre atti (sino a questo punto).
Il primo atto è stato il vasto declino che i mercati hanno conosciuto quando la minaccia del Covid-19 è diventata chiara. Quel declino rifletteva preoccupazioni giustificate sui profitti futuri, ma rifletteva anche una crisi finanziaria in atto: per poche settimane i mercati del credito stavano bloccandosi in un modo abbastanza simile a quello che accadde nel 2008.
La Federal Reserve, tuttavia, era al suo posto e risolse la situazione. Essa si mosse rapidamente, acquistando obbligazioni, stabilendo speciali facilitazioni nei prestiti e fondamentalmente facendo tutto quello che serviva per lubrificare i mercati e consentire che i soldi fluissero liberamente.
La conseguenza fu il secondo atto dello spettacolo, una ripresa delle azioni che realizzò quasi la metà delle perdite derivanti dal crollo iniziale.
Sino a quel punto, il comportamento dei prezzi delle azioni in generale aveva senso. Ma poi venne il terzo atto, una impennata nei prezzi che eliminò gran parte delle perdite precedenti e spinse il Nasdaq ad una nuova vetta. E questa impennata ha mostrato tutti i segni consueti di una bolla.
Robert Shiller, il massimo esperto mondiale su tali argomenti, ha messo in evidenza che le bolle degli asset, in sostanza, sono degli “schemi Ponzi” [1] che avvengono naturalmente. I primi investitori intuiscono grandi guadagni a causa di investitori successivi che spingeranno in alto i prezzi, inducendo più persone ad acquistare, e così via; la festa continua finché qualcuno interrompe il flusso di nuovo denaro, e improvvisamene tutto crolla.
Così è stato nel caso della recente impennata azionaria. Incoraggiati dalla ripresa delle azioni indotta dalla Fed dai minimi di marzo, alcuni investitori hanno cominciato ad acquistare. Il loro ottimismo è diventato un profezia che si auto avvera, quando gli iniziali guadagni hanno indotto investitori più cauti ad aderire, spinti dalla “paura di restar fuori”. Sembrava molto simile alla bolla delle società del commercio elettronico degli anni ’90, ad eccezione di una tabella di marcia enormemente accelerata.
Sebbene ci sia un po’ di dibattito su quanto fossero importanti, la maggioranza delle prove indica che un ruolo importante in questa apparente bolla sia stato giocato da piccoli investitori – i “retail bros” [2] – che vanno dietro ai sogni di rapidi arricchimenti. Alcuni di questi investitori esuberanti erano persone che normalmente scommettono sugli eventi sportivi e stavano cercando una fonte alternativa di eccitazione. E come dimostra l’esempio di Hertz, non si curano granché della qualità.
Perché gli investitori con vaste risorse non hanno bilanciato questa esuberanza apparentemente irrazionale vendendo azioni? Come sosteneva John Maynard Keynes molto tempo fa, gli investitori seri che normalmente stabilizzano il mercato, in “tempi anormali”, tendono ad abdicare dal giudizio. Si direbbe che siamo in un’epoca nella quale il denaro intelligente manca di convinzione, mentre il denaro stupido è pieno di energia appassionata.
E adesso la bolla potrebbe – è una possibilità . scoppiare. Ma tutto questo ha qualche importanza?
In senso diretto, non molta. I prezzi delle azioni hanno certamente qualche impatto sugli investimenti delle imprese e sulla spesa dei consumatori, ma questi effetti sono probabilmente piccoli.
Ma la squadra di Trump considera i prezzi delle azioni il massimo metro del successo politico. Nel passato 2007 – all’epoca della Grande Recessione – Larry Kudlow, che è adesso il principale economista di Trump, dichiarò che le cose stavano andando benissimo, perché il mercato era in crescita e i prezzi delle azioni sono “il miglior barometro della salute, della ricchezza e dell sicurezza della nazione”.
Dunque i trumpisti considerano il mercato in crescita come la convalida di tutto quello che fanno – la loro spinta per una immediata riapertura anche se il coronavirus non è stato in alcun modo contenuto, la loro opposizione ad un ulteriore aiuto ai lavoratori disoccupati. In altre parole, l’esuberanza irrazionale dei “retail bros” può aver incoraggiato l’irresponsabilità di una Amministrazione che sin dall’inizio non ha voluto misurarsi con la realtà.
E mentre i prezzi in caduta possono provocare una riconsiderazione, è già stato fatto un gran danno.
[1] Charles Ponzi era un signore italo americano – nasce a Lugo di Romagna, trascorre l’adolescenza a Parma, trova lavoro alle Poste, si iscrive alla Sapienza di Roma e poi emigra a Boston – che agli inizi del secolo scorso, negli Stati Uniti, concepì una vasta – come spesso si chiama – ‘catena di S. Antonio’, inducendo molte persone a versare soldi con la promessa di trarne successivamente un vantaggio. In realtà la sua storia è abbastanza complessa – si snoda tra il Canada, gli Usa, varie galere, la Florida, il ritorno in Italia, il Brasile – e per averne un’idea si può leggere la voce su Wikipedia.
[2] Letteralmente, “i ragazzi delle vendite al dettaglio”. Ovvero, coloro che si appassionano a piccole operazioni, a piccole scommesse.
By mm
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