BERKELEY – COVID-19 is not going away, and other dangerous viruses may be coming. This means it’s time to face the grim truth: many of the pandemic’s effects on our economies and societies will be persistent, even permanent.
Some of these changes are already evident. There is less demand for the services of dine-in restaurants, hotels, airlines, brick-and-mortar retail, and large entertainment venues, and fewer employment opportunities in those sectors and facilities. There is more demand for everything on-line, and for health-care, childcare, and home-care services. Substantial numbers of workers therefore will have to move, and new entrants to the labor force will need different sets of skills.
Economists tend to assume that when something is necessary, it will happen – that “the market will take care of it.” Workers will recognize the need for new skill sets, the argument goes. Employers who benefit from a workforce possessing those skills will impart them.
This is wishful thinking. The typical trainee doesn’t know what the economy will look like in the summer of 2022 when she graduates from a two-year vocational program. She doesn’t know what skills will be required of health-care professionals in the age of telemedicine and genomic sequencing.
Moreover, she is unsure about where to go to get suitable training. She is financially constrained. She will have heard of for-profit institutions of so-called higher learning that promise to teach students coding skills but don’t position them to complete their degrees, much less find a job.
For their part, firms have limited capacity to provide on-the-job training, especially in times like these, when they, too, are under financial stress. And they have limited incentive to do so, because workers, once trained, are free to leave. Costs can be shared by paying trainees less than other entry-level workers. But pay in many health-care, homecare, and eldercare jobs, especially in the United States, is already at rock-bottom levels.
More generally, we know that individuals and firms, left to their own devices, under-invest in human capital. The contribution of education and training to economic growth, and to society generally, is greater than their acquisition cost. This positive externality is not something that workers and firms, deciding on their own, have adequate incentive to consider.
Government, therefore, should develop its own training schemes. Unfortunately, experience with public-sector training is disappointing.
The US Council of Economic Advisers evaluated these schemes shortly before the pandemic (not that anyone noticed) and found that they are not very effective at imparting skills and enhancing job prospects. Generally speaking, the larger the program, the worse the results. And this pattern is not limited to the US: experience with very large-scale retraining schemes, such as in the former East Germany in the 1990s, is especially disappointing.
But we can learn from the failure of earlier programs. Their record reveals that training works best when it is closely connected to a real job or occupation. Program design should be informed by detailed government forecasts of the types of jobs that are coming and which skills they will require. Similarly, training works best when firms and industries collaborate on program design, because employers are a source of information about the skills that will be needed. At the implementation stage, on-the-job training – apprenticeships, in other words – is essential, and not only for blue-collar jobs. Although we think of apprentices as machinists and plumbers, increasingly they are nursing assistants and insurance underwriters.
Here, Europe has a leg up, owing to strong trade unions that can cooperate with employers’ associations in organizing apprenticeships, and because worker-firm attachments are relatively strong. In the US, progress will be harder. President Donald Trump actually issued an executive order in 2017 establishing an apprenticeship task force. But its recommendations – eliminate duplicative training programs and streamline industry-government interaction – were weak soup.
In fact, American firms are investing less in training today than they did in the past, reflecting shorter job tenures. Imagining that they will spontaneously organize millions of apprenticeships is a pipedream.
What’s needed are tax credits and subsidies. Sixteen US states currently provide credits for firms offering training. The federal government should do the same. This federal credit could be structured along the lines of the tried and true research-and-development tax credit. Training, after all, is just development by another name.
Finally, we should adequately fund technical and vocational schools and colleges. In the US, this means two-year community colleges, which offer courses in everything from occupational therapy to computer-aided design. Alas, the budgets of community colleges, funded at the state and local level, have been decimated by the crisis, a situation that is aggravated by the reluctance of Congress to provide aid to state and local governments.
The transition to the world being created by COVID-19 was always going to be difficult. The main question now is whether policymakers will take the steps that are most likely to make it easier.
Prepararsi all’economia pandemica,
di Barry Eichengreen
BERKELEY – Il Covid-19 non sta scomparendo ed altri pericolosi virus potrebbero essere in arrivo. Questo significa che è tempo di affrontare la cupa verità: molti degli effetti della pandemia sulle nostre economie e società saranno persistenti, persino permanenti.
Alcuni di questi cambiamenti sono già chiari. C’è meno domanda di servizi per la ristorazione, gli alberghi, le linee aeree, i piccoli negozi al dettaglio e i luoghi di incontro per ampi intrattenimenti, e minori possibilità di occupazione e di realizzazione di strutture in quei settori. C’è maggiore domanda per tutto quello che è online e per l’assistenza sanitaria, la cura dei bambini e i servizi domestici. Numeri rilevanti di lavoratori di conseguenza si dovranno spostare e i nuovi ingressi nella forza lavoro avranno bisogno di complessi di competenze differenti.
Gli economisti tendono a presupporre che quando qualcosa è necessario accadrà – che “il mercato se ne farà carico”. I lavoratori riconosceranno il bisogno di nuovi complessi di competenze, questa è la logica. I datori di lavoro che beneficeranno di quelle competenze le trasmetteranno.
È puro ottimismo. Il tipico apprendista non sa a cosa somiglierà l’economia nell’estate del 2022, quando avrà il diploma di un programma biennale di addestramento ad una professione. Non sa quali competenze saranno richieste ai professionisti del sanità nell’età della telemedicina e della sequenza genomica.
Inoltre, è insicuro su dove andare per ottenere una formazione adeguata. È limitato dal punto di vista finanziario. Ha sentito parlare di istituti a scopo di lucro del cosiddetto apprendimento superiore che promettono di insegnare agli studenti abilità nell’uso dei codici ma non li collocano dove terminare i loro studi universitari, tanto meno gli trovano un lavoro.
Da parte loro, le imprese hanno una capacità limitata nel fornire formazione sul luogo di lavoro, particolarmente in tempi come questi, nei quali esse sono anche in difficoltà finanziarie. E hanno incentivi limitati a farlo, perché i lavoratori, una volta formati, sono liberi di andarsene. I costi possono essere condivisi pagando gli apprendisti meno di altri lavoratori al primo incarico. Ma la paga in molti posti di lavoro della assistenza sanitaria, della assistenza domestica e della assistenza per anziani, particolarmente negli Stati Uniti, è già a livelli bassissimi.
Più in generale, sappiamo che gli individui e le imprese, lasciati ai loro consueti espedienti, sotto investono nel capitale umano. Il contributo del’istruzione e della formazione alla crescita economia, e in generale alla società, è maggiore del costo della loro acquisizione. I lavoratori e le imprese, decidendo per loro conto, non hanno adeguati incentivi per valutare questa esternalità positiva.
Di conseguenza, il Governo dovrebbe sviluppare modelli formativi suoi propri. Sfortunatamente, l’esperienza del settore pubblico è deludente.
Il Comitato dei Consiglieri Economici degli Stati Uniti valutò brevemente questi modelli prima della pandemia (nessuno se ne accorse) e scoprì che essi non erano molto efficaci nel trasmettere competenze e nell’accrescere le prospettive di posti di lavoro. Parlando in generale, più ampi sono i programmi e peggiori i risultati. E questo schema non è limitato agli Stati Uniti: l’esperienza dei modelli di aggiornamento professionale su ampia scala, come quelli nella passata Germania dell’Est negli anni ’90, è particolarmente deludente.
Ma dal fallimento dei primi programmi possiamo trarre lezioni. Le loro prestazioni rivelano che la formazione funziona nel modo migliore quando è collegata ad un posto di lavoro vero o all’occupazione. Il progetto di programma dovrebbe essere informato a dettagliate previsioni pubbliche sui tipi di lavori che sono in arrivo e sulle competenze che richiederanno. In modo simile, la formazione funziona nel migliore dei modi quando le imprese e i settori collaborano al progetto di programma, dato che i datori di lavoro sono fonti di informazione sulle competenze che saranno necessarie. Al momento della messa in atto, la formazione sul posto di lavoro – in altre parole, l’apprendistato – è essenziale, e non solo per i posti di lavoro degli operai. Sebbene noi si pensi agli apprendisti come macchinisti e idraulici, essi sono sempre di più assistenti infermieri ed agenti assicurativi.
In questo caso, l’Europa ha un vantaggio, derivante da sindacati forti che possono cooperare con le associazioni dei datori di lavoro nell’organizzare corsi per apprendisti, anche perché le connessioni tra il lavoratore e l’impresa sono relativamente forti. Nel 2017, il Presidente Donald Trump ha effettivamente promulgato una ordinanza esecutiva creando una task force sull’apprendistato. Ma le sue raccomandazioni – eliminare doppioni di programmi formativi e snellire l’interazione tra industria e governo – erano acqua calda.
Di fatto, le imprese americane stanno investendo meno in formazione oggi di quanto facevano in passato, riflettendo periodi di impiego in un posto di lavoro più corti. Immaginare che esse spontaneamente organizzeranno milioni di apprendisti è un sogno irrealizzabile.
Quello di cui abbiamo bisogno sono crediti di imposta e sussidi. Sedici Stati americani attualmente forniscono crediti alle imprese che offrono formazione. Il Governo federale dovrebbe fare la stessa cosa. Questo credito federale dovrebbe essere strutturato sulle linee dello sperimentato ed effettivo credito di imposta per la ricerca e lo sviluppo. La formazione, in fin dei conti, è proprio lo sviluppo con un altro nome.
Infine dovremmo adeguatamente finanziare scuole e università tecniche e professionalizzanti. Negli Stati Uniti, questo significa scuole superiori biennali di comunità, che offrano corsi su ogni cosa, dalla terapia occupazionale alla progettazione assistita dal computer. Purtroppo, i bilanci delle scuole di comunità, finanziate ai livelli degli Stati e delle comunità locali, sono stati decimati dalla crisi, una situazione aggravata dalla riluttanza del Congresso a fornire aiuto ai governi degli Stati e delle comunità locali.
La transizione al mondo in via di formazione a seguito del Covid-19 è stata sempre destinata ad essere difficile. Adesso la principale domanda è se le autorità faranno i passi che hanno maggiori probabilità di renderla più facile.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"