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I limiti della ripresa americana, di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 1 ottobre 2020)

 

Oct 1, 2020

The Limits of American Recovery

J. BRADFORD DELONG

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BERKELEY – The United States is home to 4% of the world’s population but 21% of confirmed COVID-19 deaths; it accounts for 25% of the Global North’s population but 50% of its excess mortalities (deaths from all causes above the usual rate) registered during the pandemic.

Moreover, America’s current cumulative cases per million are almost four times higher than in the European Union (though the latter itself appears to be experiencing a second wave). While the US continues to lose around 1,000 people to COVID-19 each day, the EU’s daily death toll is closer to 300, and Asian countries in the Global North are losing almost nobody. And no, this is not a continental North American problem: Canada loses only around ten people per day to the virus.

After so many months of failure to confront the pandemic, America’s world-leading fatality and infection rates are no longer a surprise. The question is what the current trajectory of the pandemic means for the US economic recovery.

The first thing to bear in mind is that a recovery from the initial pandemic-induced depression earlier in the year is already around 60% complete. After falling from 80.5% in February to 69.7% in April, the employment rate for prime-age workers (25-54 years old) climbed back to 75.3% in August. As of the time of this writing in late September, it has probably increased to around 76.5%. But, for comparison, that is around where prime-age employment was at the nadir of the 2008-09 Great Recession.

A second point to note is that the recovery experienced so far may represent all that the US will get for now. Just because the economy has recovered by 60% doesn’t mean that it will get all the way back to 100%. After all, the current recovery is unfolding in the shadow of the recovery from the 2008 financial crisis and Great Recession, which was also a period of zero-lower-bound interest rates.

It is worth remembering that this previous recovery did not feature a recovery in production, which remained as far below its pre-crisis trend as it had been when the unemployment rate was at its peak. As employment recovered slowly after the Great Recession, productivity continued to lag ever-further behind. But, because there was a persistent lag in output, too, this lack of productivity growth allowed for employment eventually to recover.

One lesson of recent history, then, is that modern market economies after a crisis seem to require not just the standard contributions of entrepreneurial capitalism but also an additional boost from another spending channel to drive production back up to its previous trend. But when interest rates are already near zero, such stimulus cannot come from further monetary easing – as indeed it did not after the Great Recession. Worse, it is becoming increasingly unlikely that stimulus in the future will come from expansionary fiscal policy – the obvious alternative to interest-rate cuts – owing to debt concerns and political gridlock.

Yet another cause for fear is the prevalence of the virus itself. The average of 1,000 COVID-19 daily deaths being recorded each week implies that there are 10,000 symptomatic cases emerging every day. That is enough to worry anyone who ventures out of her house. With such a persistently high risk of contracting the virus, US consumers will continue to be much more cautious than their counterparts in Japan, Canada, or Germany when it comes to returning to semi-normal economic activities like dining out or air travel.

As such, even if America could stage a rapid recovery and restore employment to its previous levels, the justifiable fears of US consumers would pose a significant hurdle to sustained growth, as would the glaring absence of business investment in today’s economic climate.

That leaves only the government to serve as an engine of recovery. But the US government is currently led by President Donald Trump, a leader who has consistently failed every test posed by the pandemic. Making matters worse, his closest advisers apparently regard high unemployment and waves of small-business bankruptcies as salutary developments that will strengthen American’s work ethic in the long run.

As for the Democratic presidential contender, Joe Biden, it remains to be seen whether he will accept the federal government’s role as employer of last resort. In the meantime, while the rest of the Global North is well on its way to recovery, America will remain mired in political acrimony, economic malaise, and potentially an even deeper existential crisis after Election Day on November 3.

 

I limiti della ripresa americana,

di J. Bradford DeLong

 

BERKELEY – Gli Stati Uniti ospitano il 4% della popolazione mondiale ma il 21% delle morti per casi confermati di Covid-19; totalizzano il 25% della popolazione de Nord Globale ma il 50% dei casi di mortalità in eccesso (morti per tutte le cause al di sopra dei tassi usuali) registrate durante la pandemia.

Inoltre, gli attuali casi aggiuntivi per milione sono quasi quattro volte più alti dell’Unione Europea (sebbene quest’ultima sembra stia conoscendo una seconda ondata). Mentre gli Stati Uniti continuano a perdere circa 1.000 persone al giorno per il Covid-19, il tributo di vite umane dell’UE è più vicino a 300, ed i paesi asiatici nel Nord Globale non stanno perdendo quasi nessuno. E inoltre questo non è un problema del continente Nord Americano: il Canada perde solo 10 persone al giorno per il virus.

Dopo così tanti mesi di insuccessi nell’affrontare la pandemia, la mortalità e i tassi di infezione più elevati al mondo dell’America non sono più una sorpresa. La domanda è cosa comporti per la ripresa economica statunitense l’attuale traiettoria della pandemia.

La prima cosa da tenere a mente è che una ripresa dalla iniziale depressione indotta dalla pandemia agli inizi dell’anno è già completata per circa per il 60%. Dopo essere caduto dall’80,5% a febbraio al 69,7% in aprile, il tasso di occupazione per i lavoratori della fascia di età principale (25-54 anni) era risalito al 75,3% in agosto. Nel momento in cui scriviamo alla fine di settembre, probabilmente è salito al 76,5%. Ma, per fare un confronto, questo è circa il livello nel quale l’occupazione della principale età lavorativa era al punto più basso della Grande Recessione del 2008-09.

Un secondo punto da osservare è che la ripresa conosciuta sino a questo momento può rappresentare tutto quello che gli Stati Uniti possono realizzare adesso. Solo perché l’economia si è ripresa del 60%, non significa che essa tornerà al 100% del passato. In fin dei conti, l’attuale ripresa sta avvenendo nell’ombra della ripresa dalla crisi finanziaria del 2008 e della Grande Recessione, che fu anche un periodo di tassi di interesse al limite inferiore dello zero.

È il caso di ricordare che quella precedente ripresa non comportò un recupero della produzione, che rimase assai al di sotto della sua tendenza precedente alla crisi e avvenne quando il tasso di disoccupazione era al suo punto più alto. Quando l’occupazione si riprese lentamente dopo la Grande Recessione, la produttività continuò a ristagnare sempre più indietro. Ma, siccome c’era anche un persistente ritardo nella produzione, questa assenza di crescita della produttività consentì che alla fine l’occupazione si riprendesse.

Una lezione della storia recente, dunque, è che le moderne economie di mercato dopo una crisi sembrano non richiedere solo i contributi normali del capitalismo imprenditoriale, ma anche una spinta aggiuntiva da un altro canale di spesa per riportare la produzione alle sue tendenze precedenti. Ma quando i tassi di interesse sono vicini allo zero, tale stimolo non può venire da una ulteriore facilitazione monetaria – come in effetti non avvenne dopo la Grande Recessione. Peggio ancora, sta diventando sempre più improbabile che lo stimolo nel futuro verrà da una politica della finanza pubblica espansiva – l’alternativa ovvia ai tagli dei tassi di interesse – a seguito delle preoccupazioni sul debito e dei punti morti della politica.

Tuttavia, un’altra ragione di timore è la stessa diffusione del virus. La media di 1.000 morti giornaliere per il Covid-19, essendo registrata ogni settimana, implica che vi siano 10.000 casi con sintomi che si manifestano ogni giorno. Questo è abbastanza per preoccupare chiunque si avventuri fuori dalla sua abitazione. Con tale rischio persistentemente elevato di contrarre il virus, i consumatori statunitensi continueranno ad essere molto più cauti dei loro omologhi del Giappone, del Canada o della Germania quando verrà il momento di tornare ad attività economiche quasi normali come andare al ristorante o fare viaggi aerei.

In tale condizione, anche se l’America potesse mettere in scena una ripresa rapida e ripristinare l’occupazione ai suoi precedenti livelli, i giustificabili timori dei consumatori statunitensi costituirebbero un significativo ostacolo ad una crescita sostenuta, così come un ostacolo sarebbe la lampante assenza di investimenti delle imprese nel clima economico odierno.

Resta solo il Governo per funzionare da efficace motore della ripresa. Ma il Governo degli Stati Uniti è oggi guidato dal Presidente Donald Trump, un leader che ha costantemente fallito ogni prova provocata dalla pandemia. A rendere le cose peggiori, i suoi consiglieri più vicini sembrano considerare l’alta disoccupazione e le ondate di fallimenti delle piccole imprese come sviluppi salutari che nel lungo periodo rafforzeranno l’etica del lavoro americana.

Per quanto riguarda il candidato presidenziale democratico, Joe Biden, resta da vedere se egli accetterà un ruolo per il Governo Federale come datore di lavoro di ultima istanza. Nel frattempo, mentre il Nord Globale è solidamente sulla sua strada di una ripresa, l’America resterà impantanata nella rissosità politica, nel malessere economico, e potenzialmente perfino in una crisi esistenziale più profonda dopo le elezioni del 3 novembre.

 

 

 

 

 

 

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