Nov 24, 2020
Today’s column is about the remarkably destructive decision by Steven Mnuchin, Trump’s treasury secretary, to cut off lending programs that helped avert a serious financial crisis last spring and could all too easily be needed again if the coronavirus goes as wild as we fear after Thanksgiving. As I argued, it’s hard to see Mnuchin’s action as anything other than vandalism — trashing the economy, and the nation, on the way out.
The thing is, this sort of irresponsibility is fairly common — in economically and politically backward nations. And maybe that’s what America has become.
As it happens, I’ve spent a lot of time over the years studying and trying to analyze financial crises. Before I began writing for The Times, international finance was one of my specialties. And once upon a time crises were mainly things that happened to other countries, especially less developed countries. (I used to call myself an economic ambulance-chaser, always flying off to Jakarta or Buenos Aires to keep tabs on the latest disaster.)
In fact, in retrospect I began the transition from mainly being a pure academic to doing a lot of policy and political analysis, eventually leading to my gig at The Times, during the Asian financial crisis of the late 1990s. Even then, I worried that we weren’t immune from the kinds of problems then afflicting places like Thailand and Indonesia. I wrote a book in 1999, The Return of Depression Economics, about that risk; it aged well enough that I issued an updated version a decade later, “The Return of Depression Economics and the Crisis of 2008,” reflecting the fact that America had, indeed, suffered the kind of economic crisis we used to identify with the Third World.
What I didn’t see coming was the political side. It’s not just that America has been suffering from Third World-type economic crises. We’ve also been sliding into banana-republic politics, becoming the kind of country in which a president can refuse to acknowledge a clear election defeat — and be backed by most of his party.
The political scientist Brendan Nyhan likes to point to outrages against U.S. democracy and ask, “What would you say if you saw it in another country?” It’s a rhetorical question, of course: Our democracy is very close to failing.
There are three mistakes you shouldn’t make about what’s going on. First, don’t dismiss it because the antics of the Trump team — Four Seasons Total Landscaping, melting Rudy Giuliani — are so ridiculous. Authoritarian rulers are often ludicrous, because their hangers-on won’t tell them how silly they look. When the president of Turkmenistan erected a giant golden statue of himself on horseback, he didn’t become a national laughingstock — because nobody in his nation would have dared to laugh.
Second, don’t make the mistake of thinking that this happened all of a sudden. Republicans have been systematically undermining democracy for years through voter suppression, gerrymandering that gives them control of state legislatures even when they lose the popular vote by large margins, stripping power from governors who happen to be Democrats, and trying to bring criminal charges against their opponents.
Finally, don’t bothsides this. The decay of U.S. democracy isn’t about “politics”; it’s about one party’s turn away from democracy. Today’s G.O.P. is nothing like center-right parties in other advanced nations; it’s more like Fidesz, which has turned Hungary into a one-party state, than it is like, say, Britain’s Tories.
Why is all this happening? The truth is that I don’t fully understand it; neither do the political scientists, although they’re working on it (and I’m trying to follow their work.) But it is happening, and Joe Biden’s inauguration won’t be the end of the story.
Sì, siamo diventati una repubblica delle banane,
di Paul Krugman
L’articolo di oggi è sulla decisione considerevolmente distruttiva di Steven Mnuchin, il Segretario al Tesoro di Trump, di tagliare i programmi sui prestiti che hanno contribuito ad evitare la scorsa primavera una seria crisi finanziaria e potrebbero anche troppo facilmente tornare ad essere necessari se, dopo il Giorno del Ringraziamento, il coronavirus va fuori controllo come si teme. Come ho argomentato, è difficile considerare l’iniziativa di Mnuchin diversamente da un atto di vandalismo – qualcosa che sporca l’economia, e la nazione, nel momento di andarsene.
Il punto è che questa sorta di irresponsabilità è piuttosto comune – nelle nazioni economicamente e politicamente arretrate. E forse questo è quello che l’America è diventata.
Si dà il caso che nel corso degli anni io abbia passato molto tempo a studiare ed a cercare di analizzare le crisi finanziarie. Prima che cominciassi a scrivere per The Times, la finanza internazionale era una delle mie specialità. E un tempo le crisi erano principalmente cose che avvenivano in altri paesi, particolarmente nei paesi meno sviluppati (ero solito definirmi un ricercatore di casi estremi economici [1], sempre vicino a prendere il volo per Jakarta o Buenos Aires per raccogliere schede sull’ultimo disastro).
Di fatto, guardando al passato io avviai la mia transizione dall’essere principalmente un accademico puro al fare molta analisi di programmi e di fatti politici, alla fine indirizzandomi verso il mio incarico a The Times, durante la crisi finanziaria asiatica degli ultimi anni ’90. Anche allora, mi preoccupavo che non fossimo immuni dal genere di problemi che allora affliggevano posti come la Tailandia e l’Indonesia. Nel 1999 scrissi un libro su quel rischio, “Il ritorno dell’economia della depressione”; esso resistette abbastanza bene al tempo al punto che un decennio dopo ne pubblicai una versione aggiornata, “Il ritorno dell’economia della depressione e la crisi del 2008”, che esaminava il fatto che l’America, in effetti, avesse sofferto quel genere di crisi che eravamo soliti identificare con il Terzo Mondo.
Quello di cui non mi accorgevo era l’aspetto politico. Non si trattava soltanto del fatto che l’America venisse soffrendo crisi economiche come quelle del Terzo Mondo. Stavamo anche scivolando in una politica da ‘repubblica delle banane’, diventando il tipo di paese nel quale un Presidente può rifiutarsi di riconosce una chiara sconfitta elettorale – ed essere appoggiato dalla maggioranza del suo partito.
Il politologo Brendan Nyhan ama riferirsi agli scandali contro la democrazia statunitense e chiedersi; “Che cosa direste se vedeste tutto questo in un altro paese?”. Ovviamente è una domanda retorica: la nostra democrazia è davvero vicina a fallire.
Ci sono tre errori che non si dovrebbero fare a proposito di quello che sta succedendo. Il primo, non sottovalutarlo, perché le buffonate della squadra di Trump – la vicenda del Four Seasons Total Landscaping, che ha dissolto Rudy Giuliani [2] – sono così ridicole. I governanti autoritari sono spesso comici, perché i loro galoppini non dicono loro quanto appaiono sciocchi. Quando il Presidente del Turkmenistan fece erigere una gigantesca statua d’oro che lo ritraeva in sella ad un cavallo, non diventò lo zimbello del paese – perché nessuno in quel paese avrebe osato riderne.
Il secondo, non fare l’errore di pensare che tutto questo sia accaduto all’improvviso. Sono anni che i repubblicani stanno sistematicamente minando l democrazia con la repressione del diritto di voto, la definizione truffaldina dei distretti elettorali che dà loro il controllo delle assemblee statali anche quando perdono nel voto popolare con ampi margini, strappando il potere a Governatori che per combinazione sono democratici e cercando di avanzare accuse criminali contro i loro avversari.
Infine, non fare l’errore di dare la colpa a tutti. La decadenza della democrazia americana non riguarda la “politica”; riguarda un partito che ha voltato le spalle alla democrazia. Il Partito Repubblicano odierno non è niente di simile ai partiti di centrodestra delle nazioni avanzate; assomiglia di più a Fidesz, che ha trasformato l’Ungheria in uno Stato a partito unico, che non, ad esempio, ai Conservatori inglesi.
Perché sta accadendo tutto questo? La verità è che non lo capisco pienamente; non lo capiscono neanche gli scienziati della politica, sebbene ci stiano riflettendo (e io sto cercando di seguire il loro lavoro). Ma è quello che accade, e l’inaugurazione di Joe Biden non sarà la fine del racconto.
[1] “Ambulance-chaser” è un termine abbastanza usato in inglese, ma difficile da rendere in italiano. Di solito si riferisce ad un avvocato che è alla ricerca di clienti inguaiati, dove “ambulance” ha forse il senso di riferirsi a casi appunto estremi, a clienti da raccogliere per strada.
[2] Il 7 novembre scorso Rudy Giuliani, diventato il braccio destro di Trump nel suo rifiuto di accettare il risultato elettorale, ha convocato una conferenza stampa che avrebbe dovuto avere una eco praticamente globale. Ma, mentre credeva di celebrare l’evento in un hotel di lusso della Pennsylvania denominato Four Seasons, alla fine lo ha organizzato in una curiosa ambientazione periferica di una azienda che vende oggetti di giardinaggio, che per disgrazia ha lo stesso nome, tra un sexy shop e un obitorio. Dell’ambiente ci si può fare una idea osservando questa comicissima foto:
Da allora, sembra che gli affari della impresa di giardinaggio, e forse delle attività limitrofe, vadano a gonfie vele.
By mm
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