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Usare bene la prossima espansione di Biden, di Paul Krugman (New York Times, 19 novembre 2020)

 

Nov 19, 2020

Making the Most of the Coming Biden Boom

By Paul Krugman

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The next few months are going to be incredibly grim. The pandemic is exploding, but Donald Trump is tweeting while America burns. His officials, unwilling to admit that he lost the election, are refusing even to share coronavirus data with the Biden team.

As a result, many preventable deaths will occur before a vaccine’s widespread distribution. And the economy will take a hit, too; travel is declining, an early indicator of a slowdown in job growth and possibly even a return to job losses as virus fears cause consumers to hunker down again.

But a vaccine is coming. Nobody is sure which of the promising candidates will prevail, or when they’ll be widely available. But it’s a good guess that we’ll get this pandemic under control at some point next year.

And it’s also a good bet that when we do the economy will come roaring back.

OK, this is not the consensus view. Most economic forecasters appear to be quite pessimistic; they expect a long, sluggish recovery that will take years to bring us back to anything resembling full employment. They worry a lot about long-term “scarring” from unemployment and closed businesses. And they could be right.

But my sense is that many analysts have overlearned the lessons from the 2008 financial crisis, which was indeed followed by years of depressed employment, defying the predictions of economists who expected the kind of “V-shaped” recovery the economy experienced after earlier deep slumps. For what it’s worth, I was among those who dissented back then, arguing that this was a different kind of recession, and that recovery would take a long time.

And here’s the thing: The same logic that predicted sluggish recovery from the last big slump points to a much faster recovery this time around — again, once the pandemic is under control.

What held recovery back after 2008? Most obviously, the bursting of the housing bubble left households with high levels of debt and greatly weakened balance sheets that took years to recover.

This time, however, households entered the pandemic slump with much lower debt. Net worth took a brief hit but quickly recovered. And there’s probably a lot of pent-up demand: Americans who remained employed did a huge amount of saving in quarantine, accumulating a lot of liquid assets.

All of this suggests to me that spending will surge once the pandemic subsides and people feel safe to go out and about, just as spending surged in 1982 when the Federal Reserve slashed interest rates. And this in turn suggests that Joe Biden will eventually preside over a soaring, “morning in America”-type recovery.

Which brings me to the politics. How should Biden play the good economic news if and when it comes?

First of all, he should celebrate it. I don’t expect Biden to engage in Trump-like boasting; he’s not that kind of guy, and his economics team will be composed of people who care about their professional reputations, not the quacks and hacks who populate the current administration. But he can highlight the good news, and point out how it refutes claims that progressive policies somehow prevent prosperity.

Also, Biden and his surrogates shouldn’t hesitate to call out Republicans, both in Washington and in state governments, when they try to sabotage the economy — which, of course, they will. I won’t even be surprised if we see G.O.P. efforts to impede the wide distribution of a vaccine.

What, do you think there are some lines a party refusing to cooperate with the incoming administration — and, in fact, still trying to steal the election — won’t cross?

Finally, while Biden should make the most of good economic news, he should try to build on success, not rest on his laurels. Short-term booms are no guarantee of longer-term prosperity. Despite the rapid recovery of 1982-1984, the typical American worker earned less, adjusted for inflation, at the end of Reagan’s presidency in 1989 than in 1979.

And while I’m optimistic about the immediate outlook for a post-vaccine economy, we’ll still need to invest on a large scale to rebuild our crumbling infrastructure, improve the condition of America’s families (especially children) and, above all, head off catastrophic climate change.

So even if I’m right about the prospects for a Biden boom, the political benefits of that boom shouldn’t be cause for complacency; they should be harnessed in the service of fixing America for the long run.

And the fact that Biden may be able to do that is reason for hope.

Those of us worried about the future were relieved to see Trump defeated (even though it’s possible he’ll have to be removed forcibly from the White House), but bitterly disappointed by the failure of the expected blue wave to materialize down-ballot.

If I’m right, however, the peculiar nature of the coronavirus slump may give Democrats another big political opportunity. There’s a pretty good chance that they’ll be able to run in the 2022 midterms as the party that brought the nation and the economy back from the depths of Covid despond. And they should seize that opportunity, not just for their own sake, but for the sake of the nation and the world.

 

Usare bene la prossima espansione di Biden,

di Paul Krugman

 

I prossimi mesi saranno incredibilmente cupi. La pandemia sta esplodendo, ma mentre l’America brucia Donald Trump passa il tempo su Twitter. I suoi dirigenti, indisponibili ad ammettere che lo sconfitto alle elezioni è lui, rifiutano persino di condividere i dati sul coronavirus con la squadra di Biden.

Di conseguenza, ci saranno molte morti evitabili prima di una distribuzione generalizzata del vaccino. E anche l’economia prenderà un colpo: i viaggi stanno calando, un primo indicatore di un rallentamento nella crescita dei posti di lavoro e probabilmente di un ritorno ad una perdita di posti in assoluto, dato che le paure del virus spingono i consumatori a rannicchiarsi.

Ma sta arrivando un vaccino. Nessuno è sicuro di quali tra i candidati più promettenti prevarrà, o di quando saranno disponibili in modo generalizzato. Ma si può ritenere che metteremo la pandemia sotto controllo in qualche momento del prossimo anno.

E quando lo faremo, si può scommettere che l’economia tornerà a pieno regime.

È vero, non è un punto di vista unanime. La maggioranza dei previsori dell’economia restano abbastanza pessimistici; si aspettano una ripresa lunga e fiacca che impiegherà anni per riportarci a qualcosa che assomigli alla piena occupazione. Sono molto preoccupati dalle cicatrici durature derivanti dalla disoccupazione e dalle aziende chiuse, E potrebbero aver ragione.

Ma la mia sensazione è che molti analisti abbiano troppo introiettato le lezioni della crisi finanziaria del 2008, che in effetti fu seguita da anni di occupazione depressa, sfidando le previsioni degli economisti che si aspettavano quel genere di ripresa “a forma di V” che l’economia aveva conosciuto nelle recessioni profonde più recenti. Per quello che vale, io ero anche allora tra coloro che dissentivano, sostenendo che questa era un genere diverso di recessione, e che la ripresa avrebbe preso tempo.

E quello è il punto: la stessa logica che faceva prevedere un ripresa fiacca dall’ultima grande recessione indica una ripresa molto più veloce in questa occasione – sempre, una volta che la pandemia sia sotto controllo.

Cosa trattenne la ripresa dopo il 2008? L’ipotesi più ovvia, lo scoppio di una bolla immobiliare che lasciò le famiglie con alti livelli di debito e con equilibri patrimoniali grandemente indeboliti dai quali ci vollero anni per riprendersi.

Questa volta, tuttavia, le famiglie sono entrate nella recessione della pandemia con debiti molto più bassi. Il valore netto ha subito un breve colpo ma si è rapidamente ripreso. E probabilmente c’è un gran quantità di domanda latente: gli americani che sono rimasti occupati hanno realizzato grandi quantità di risparmi nella quarantena, accumulando molti asset liquidi.

Tutto questo mi suggerisce che la spesa si impennerà appena la pandemia recederà e le persone si sentiranno sicure di uscire e andare in giro, proprio come la spesa si impennò nel 1982 quando la Federal Reserve tagliò i tassi di interesse. E a sua volta questo mi suggerisce che Joe Biden governerà nel contesto di una energica ripresa, del tipo di quella di “E’ giorno in America” [1].

Il che mi porta alla politica. Come dovrebbe utilizzare Biden le buone notizie economiche, se e quando arriveranno? Prima di tutto, dovrebbe celebrarle. Non mi aspetto che Biden si intrattenga in vanterie come quelle di Trump; non è il genere di persona, e la sua squadra economica sarà composta da persone che si preoccupano della loro reputazione professionale, non da ciarlatani e pennivendoli che infestano l’attuale Amministrazione. Ma egli potrà mettere in evidenza le buone notizie, e indicare come esse confutino le pretese che le politiche progressiste impediscano in qualche modo la prosperità.

Biden e i suoi sostituti non dovrebbero esitare neanche a sfidare i repubblicani, sia a Washington e nei Governi degli Stati, quando cercheranno di sabotare l’economia – cosa che, ovviamente, faranno. Non sarò neppure sorpreso se saremo in presenza di sforzi da parte del Partito Repubblicano per impedire un’ampia distribuzione del vaccino.

Non siete d’accordo? Pensate che ci siano alcuni limiti oltre i quali un partito che rifiuta di collaborare con il nuovo governo – e, di fatto, sta ancora cercando di rubare le elezioni – non vorrà superare?

Infine, mentre Biden dovrebbe usare al meglio le buone notizie dell’economia, dovrebbe cercare di incrementare il successo, senza riposare sugli allori. Le espansioni di breve termine non sono una garanzia di prosperità a lungo termine. Nonostante la rapida ripresa del 1982-1884, il lavoratore americano comune guadagnava di meno, una volta corretto il dato per l’inflazione, alla fine della Presidenza di Reagan nel 1989 che nel 1979.

E mentre sono ottimista sulle prospettive immediate di un’economia successiva al vaccino, avremo comunque bisogno di investire su larga scala per ricostruire le nostre fatiscenti infrastrutture, per migliorare le condizioni delle famiglie americane (specialmente i bambini) e, soprattutto, scongiurare un cambiamento catastrofico del clima.

Dunque, se anche avessi ragione sulle prospettive di una espansione con Biden, i vantaggi di quella espansione non dovrebbero provocae auto compiacimento; dovrebbero essere sfruttati allo scopo di riformare l’America nel lungo periodo.

E si può sperare che Biden sarà capace di farlo.

Coloro tra noi che si preoccupavano per il futuro sono stati sollevati dalla sconfitta di Trump (anche se è possibile che egli debba essere rimosso con la forza dalla Casa Bianca), ma amaramente delusi dal fatto che l’ondata democratica non si sia realizzata nelle elezioni aggiuntive [2].

Se ho ragione, tuttavia, la natura particolate della recessione per il coronavirus può dare ai democratici un’altra grande opportunità politica. C’è una buona possibilità che essi saranno nelle condizioni di competere nelle elezioni di medio termine del 2022, come il partito che ha riportato indietro la nazione e l’economia dai disperanti picchi del Covid. Ed essi dovrebbero cogliere quella possibilità non solo nel loro interesse, ma nell’interesse della nazione e del mondo.

 

 

 

 

 

 

[1] “Morning in America” era il titolo di una fortunata trasmissione radiofonica dell’anno 1984 che sostenne con efficacia la campagna elettorale di Ronald Reagan. Cominciava con queste parole: “E’ di nuovo giorno in America. Oggi andranno al lavoro più uomini e donne che mai nella storia dell’America. Con i tassi di interesse che sono meno della metà dei picchi del 1980, oggi circa 2000 famiglie acquisteranno nuove abitazioni …”.

[2] Il voto “down-ballot” – “in fondo alla scheda” – credo si possa più comprensibilmente tradurre con “elezione aggiuntiva”. Da quello che capisco, in fondo alla scheda compaiono i nomi dei possibili candidati per la Camera dei Rappresentanti e per il Senato. Ma non c’è obbligata simmetria temporale tra il voto per il Presidente e quello per i rami del Congresso, particolarmente nel caso del Senato, dove si procede alle elezioni dei nuovi senatori ogni 6 anni. Quindi, in genere le elezioni dei nuovi Senatori, a parte i casi particolari derivanti ad esempio da decessi, avvengono alla metà di un mandato presidenziale, che ha una durata di 4 anni (gli ‘spareggi’ che sono previsti nel prossimo gennaio in Georgia, sono appunto due eccezioni). La Camera dei Rappresentanti ha invece una durata di due anni e dunque le elezioni si celebrano in occasione del voto per la Presidenza e alla metà di quel mandato.

Quindi, il ‘voto in fondo alla scheda’ – oltre a significare semplicemente che i nomi compaiono in fondo alla scheda – indica che quelle votazioni sono sostanzialmente aggiuntive ala elezione del Presidente.

 

 

 

 

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