PUBLIÉ LE15 DÉCEMBRE 2020
At a time when religious disputes seem to be flaming up again in France, it is worthwhile considering a question that is not so much material as central: how to finance religions, while ensuring the neutrality of public power with regard to different beliefs?
In France, we like to give lessons in secularism to the whole world. It is not here that a president would take an oath on the Bible! The problem is that this great national narrative is sometimes accompanied by monumental hypocrisy. In reality, there is nothing particularly neutral or exemplary about the system in place in France.
Thus places of worship are not officially subsidised, except when they were built before the 1905 law. In practice this applies almost exclusively to Christian churches. And so much the worse if the map of religious practice has changed since then, and if mosques and Muslim believers meet in cellars and basements. Similarly, the Catholic denominational schools, colleges and high schools in place at the time of the vote of the Debré law (1959) continue to be massively financed by the taxpayer, in proportions which are found practically nowhere else. These schools have also retained the right to choose their pupils freely, without respecting any common rules in terms of social mix. They contribute powerfully to school avoidance and ghettoisation. France is also the only country to have chosen to close its primary schools one day a week (Thursdays from 1882 to 1972, then Wednesdays) to give catechism lessons. This day was on the way to finally being reintegrated into normal school time, but the current government decided to perpetuate this French exception based on fragmented weeks and excessively long days, despite the proven harmful effects.
With regard to the financing of cults (priests and buildings), the central and little-known role played by tax subsidies must be recalled. If you make a donation to the Eglise de France or the Paris Mosque, you will receive a tax reduction equal to 66% of your donation. In other words, a donation of 100 euros only costs you 34 euros (if you are taxable), and the remaining 66 euros are paid by the rest of taxpayers, as is the case for donations to associations of general interest (cultural, humanitarian, health, education, etc.).
One of the points currently under discussion is whether religious associations can also receive donations and legacies free of inheritance tax and operate rental properties. The question is important and deserves to be clarified. However, it should not obscure the fact that religious associations, whether under the law of 1901 (mixed, religious and cultural associations) or the law of 1905 (wholly religious associations), already benefit from a tax subsidy for income tax purposes. Rather than repeating over and over again that the Republic does not subsidise any religion, which is obviously false, it would be better to face reality and try to improve it.
The problem here is that this system is extremely unequal. On the one hand, it only concerns taxpayers liable for income tax: believers who belong to the poorest half of the population are requested to pay their donation themselves. On the other hand, the higher the donation the believer can afford to make, the larger the public subsidy (up to 20% of income).
The same is true of the systems in place in Italy, where each taxpayer can allocate a fraction of his or her taxes to the religion of their choice, or in Germany, where the mechanism takes the form of a tax supplement collected for the benefit of religions. In both cases there is a bias in favour of religions with a unified national organisation (which in practice excludes the Muslim religion). In comparison, the French model of treating religious associations in the same way as other associations is in some respects more satisfactory. This amounts to considering religion as a belief or a cause like any other and favours the renewal and diversity of structures.
However, this is only possible if the system is made more egalitarian. In concrete terms, public subsidies linked to income tax reductions for donations to associations total 1.5 billion euros per year (including around 200 million euros for religious associations, mainly in favour of the Catholic Church, which has more wealthy donors). This represents an average expenditure of €30 for each of the 50 million adults resident in France. It even reaches 50 euros per adult if one includes tax reductions for IFI (wealth tax) and corporate tax donations. Rather than concentrating these sums on the better-off, one could imagine that everyone would have the same 50 euro « voucher for associative life » to devote to the association of their choice (religious, cultural, humanitarian…), whatever their values and beliefs.
Instead, the government favours suspicion and stigmatisation. Reinforcing the obligations of church associations in terms of transparency and governance is not a bad thing in itself, provided that the scope of funding is broadened and the debate is opened up to all associations. These should include, for example, political parties, which also benefit from subsidies, but which are often opaque and undemocratic. Let us hope that the parliamentary debate will enable us to move away from invectives and promote open and egalitarian secularism.
Come finanziare la religione?
Di Thomas Piketty
In un tempo nel quale le dispute religiose sembra stiano di nuovo infiammando la Francia, vale la pena di considerare una questione che non è neppure solo materiale quanto rilevante: come finanziare le religioni, assicurando nello stesso tempo la neutralità del potere pubblico rispetto alle diverse fedi?
In Francia, ci piace dare lezioni di secolarismo al mondo intero. Non è qua che un Presidente presterebbe giuramento sulla Bibbia! Il problema è che questo grande racconto nazionale è talvolta accompagnato da una monumentale ipocrisia. In realtà, non c’è niente di particolarmente neutrale o esemplare del sistema in funzione in Francia.
In questo modo, i luoghi di culto non sono ufficialmente sussidiati, a meno che essi non siano stati costruiti prima della legge del 1905. In pratica, questo vale quasi esclusivamente per le Chiese cristiane. E tanto peggio se la mappa della pratica religiosa da allora è cambiata, e se le moschee e i credenti musulmani si incontrano in scantinati e in sottoscala. In modo simile, le scuole, le università e le scuole superiori di denominazione cattolica che esistevano all’epoca della votazione della Legge Debré (1959) continuano ad essere massicciamente finanziate dai contribuenti, in proporzioni che in pratica non si riscontrano in nessun altro luogo. Queste scuole hanno anche mantenuto il diritto di scegliere liberamente i loro allievi, senza rispetto di alcuna regola comune in termini di integrazione sociale. Esse contribuiscono potentemente alla elusione dell’obbligo scolastico e alla ghettizzazione. La Francia è anche l’unico paese ad aver scelto la chiusura delle scuole primarie un giorno alla settimana (i giovedì dal 1882 al 1972, poi i mercoledì) per offrire lezioni di catechismo. Questo giorno pareva destinato ad essere finalmente reintegrato nel normale tempo scolastico, ma l’attuale Governo ha deciso di perpetuare questa eccezione francese basata su settimane frammentate e su giornate eccessivamente lunghe, nonostante i dimostrati effetti dannosi.
Riguardo al finanziamento dei culti (sacerdoti ed edifici), deve essere ricordato il ruolo centrale e poco noto giocato dai sussidi fiscali. Se fate una donazione alla Chiesa di Francia o alla Moschea di Parigi, riceverete un riduzione fiscale pari al 66% della vostra donazione. In altre parole, una donazione di 100 euro vi costa soltanto 34 euro (se siete tassabili), e i restanti 66 euro sono pagati dal resto dei contribuenti, come nel caso di donazioni di interesse generale (culturale, umanitario, sanitario educativo etc.).
Uno dei punti attualmente in discussione è se le associazioni religiose possono anche ricevere donazioni ed eredità libere da tasse di successione e gestire proprietà in affitto. La domanda è importante e merita di essere chiarita. Tuttavia, essa non dovrebbe oscurare il fatto che le associazioni religiose, sia quelle sotto la legislazione del 1901 (associazioni religiose e culturali, miste) che sotto la legge del 1905 (associazioni interamente religiose), già godono di un sussidio fiscale ai fini della tassazione del reddito. Piuttosto che ripetere in continuazione che la Repubblica non sussidia alcuna religione, che è evidentemente falso, sarebbe meglio affrontare la realtà e cercare di migliorarla. In questo caso il problema è che il sistema è estremamente ineguale. Da una parte, esso si preoccupa soltanto dei contribuenti soggetti alla tassa sul reddito: ai credenti che appartengono alla metà più povera della popolazione viene richiesto di pagare da soli le loro donazioni. Dall’altra parte, più elevata è la donazione che il credente può permettersi, più ampio è il sussidio pubblico (sino al 20% de reddito).
Lo stesso è vero nei sistemi in funzione in Italia, dove ciascun contribuente può allocare una frazione delle sue tasse alla religione prescelta, o in Germania, dove il meccanismo prende la forma di un supplemento fiscale raccolto a beneficio delle religioni. In entrambi i casi si tratta di un favore a religioni con una organizzazione unitaria a livello nazionale (il che in pratica esclude la religione musulmana). Al confronto, il modello francese di trattare le associazioni religiose allo stesso modo delle altre associazioni è per qualche aspetto più soddisfacente. Questo equivale a considerare la religione come una fede o una causa come tutte le altre e favorisce il rinnovo e la diversità delle strutture.
Tuttavia, questo è possibile soltanto se il sistema viene reso più egualitario. In termini concreti, i sussidi pubblici connessi a riduzioni delle tasse sui redditi per le donazioni ad associazioni ammontano a 1 miliardo e mezzo di euro all’anno (inclusi circa 200 milioni di euro per le associazioni religiose, principalmente a favore della Chiesa Cattolica, che ha più donatori ricchi). Questo rappresenta una spesa media di 30 euro per ciascuno dei 50 milioni di adulti residenti in Francia. Si arriva persino a 50 euro se si includono le riduzioni fiscali per l’IFI (la tassa sulla ricchezza) e le donazioni fiscali delle società. Piuttosto che concentrare queste somme sui benestanti, si potrebbe immaginare che ognuno possa avere gli stessi 50 euro di “buoni da spendere per la vita associativa” da indirizzare ala associazione da essi prescelta (religiosa, culturale, umanitaria …), qualsiasi siano i suoi valori e convincimenti.
Invece, il Governo favorisce il sospetto e la stigmatizzazione. Rafforzare gli obblighi delle associazioni religiose in termini di trasparenza e di modalità di gestione non è una cosa in sé negativa, ammesso che lo scopo del finanziamento sia ampliato e il dibattito sia aperto a tutte le associazioni. Queste dovrebbero includere, ad esempio, i partiti politici, i quali anche beneficiano di sussidi, ma che sono spesso opachi e non democratici. Ci auguriamo che il dibattito parlamentare ci metterà nelle condizioni di uscire dalle invettive e di promuovere un secolarismo aperto ed egualitario.
By mm
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