Dec 28, 2020
By Paul Krugman
Maybe it was the visuals that did it. It’s hard to know what aspects of reality make it into Donald Trump’s ever-shrinking bubble — and I’m happy to say that after Jan. 20 we won’t have to care about what goes on in his not-at-all beautiful mind — but it’s possible that he became aware of how he looked, playing golf as millions of desperate families lost their unemployment benefits.
Whatever the reason, on Sunday he finally signed an economic relief bill that will, among other things, extend those benefits for a few months. And it wasn’t just the unemployed who breathed a sigh of relief. Stock market futures — which are not a measure of economic success, but still — rose. Goldman Sachs marked up its forecast of economic growth in 2021.
So this year is closing out with a second demonstration of the lesson we should have learned in the spring: In times of crisis, government aid to people in distress is a good thing, not just for those getting help, but for the nation as a whole. Or to put it a bit differently, 2020 was the year Reaganism died.
What I mean by Reaganism goes beyond voodoo economics, the claim that tax cuts have magical power and can solve all problems. After all, nobody believes in that claim aside from a handful of charlatans and cranks, plus the entire Republican Party.
No, I mean something broader — the belief that aid to those in need always backfires, that the only way to improve ordinary people’s lives is to make the rich richer and wait for the benefits to trickle down. This belief was encapsulated in Ronald Reagan’s famous dictum that the most terrifying words in English are “I’m from the government, and I’m here to help.”
Well, in 2020 the government was there to help — and help it did.
True, there were some people who advocated trickle-down policies even in the face of a pandemic. Trump repeatedly pushed for payroll tax cuts, which by definition would do nothing to directly help the jobless, even attempting (unsuccessfully) to slash tax collections through executive action.
Oh, and the new recovery package does include a multi-billion-dollar tax break for business meals, as if three-martini lunches were the answer to a pandemic depression.
Reagan-style hostility to helping people in need also persisted. There were some politicians and economists who kept insisting, in the teeth of the evidence, that aid to unemployed workers was actually causing unemployment, by making workers unwilling to accept job offers.
Over all, however — and somewhat shockingly — U.S. economic policy actually responded fairly well to the real needs of a nation forced into lockdown by a deadly virus. Aid to the unemployed and business loans that were forgiven if they were used to maintain payrolls limited the suffering. Direct checks sent to most adults weren’t the best targeted policy ever, but they boosted personal incomes.
All this big-government intervention worked. Despite a lockdown that temporarily eliminated 22 million jobs, poverty actually fell while the assistance lasted.
And there was no visible downside. As I’ve already suggested, there was no indication that helping the unemployed deterred workers from taking jobs when they became available. Most notably, the employment surge from April to July, in which nine million Americans went back to work, took place while enhanced benefits were still in effect.
Nor did huge government borrowing have the dire consequences deficit scolds always predict. Interest rates stayed low, while inflation remained quiescent.
So the government was there to help, and it really did. The only problem was that it cut off help too soon. Extraordinary aid should have continued as long as the coronavirus was still rampant — a fact implicitly acknowledged by bipartisan willingness to enact a second rescue package, and Trump’s grudging eventual willingness to sign that legislation.
Indeed, some of the aid we provided in 2020 should continue even after we have widespread vaccination. What we should have learned last spring is that adequately funded government programs can greatly reduce poverty. Why forget that lesson as soon as the pandemic is over?
Now, when I say that Reaganism died in 2020 I don’t mean that the usual suspects will stop making the usual arguments. Voodoo economics is too deeply embedded in the modern G.O.P. — and too useful to billionaire donors seeking tax cuts — to be banished by inconvenient facts.
Opposition to helping the unemployed and the poor was never evidence-based; it was always rooted in a mix of elitism and racial hostility. So we’ll still keep hearing about the miraculous power of tax cuts and the evils of the welfare state.
But while Reaganism will still be out there, it will now, even more than before, be zombie Reaganism — a doctrine that should have been killed by its encounter with reality, even if it’s still shambling along, eating politicians’ brains.
For the lesson of 2020 is that in a crisis, and to some extent even in calmer times, the government can do a lot to improve people’s lives. And what we should fear most is a government that refuses to do its job.
Il 2020 è stato l’anno in cui è morto il reaganismo,
di Paul Krugman
Forse è dipeso dalle immagini. È difficile sapere quali aspetti della realtà intervengano nella bolla che si restringe in continuazione di Donald Trump – e sono felice di dire che dopo il 20 gennaio non dovremo più preoccuparci di quello che accade nel suo cervello per niente attraente – ma è possibile che egli sia diventato consapevole di come appariva, giocando a golf mentre milioni di famiglie disperate perdevano i loro sussidi di disoccupazione.
Qualsiasi sia stato il motivo, domenica egli ha finalmente messo la firma su una proposta di legge di aiuti economici che, tra le altre cose, proroga quei sussidi per pochi mesi. E non sono stati solo i disoccupati che hanno tirato un sospiro di sollievo. Il mercato azionario dei futures [1] – che non è un metro del successo economico, eppure ha un significato – è cresciuto. Goldman Sachs ha aumentato la sua previsione di crescita economica nel 2021.
Dunque quest’anno si sta chiudendo con una seconda conferma della lezione che dovremmo aver imparato in primavera: in tempi di crisi, l’aiuto del Governo alla gente in difficoltà è una buona cosa, non soltanto per quelli che lo ottengono, ma per la nazione nel suo complesso. Ovvero, per dirla in un altro modo, il 2020 è stato l’anno in cui è morto il reaganismo.
Ciò che intendo per reaganismo va oltre l’economia vudù, la pretesa che gli sgravi fiscali abbiano un potere magico e possano risolvere tutti i problemi. Dopo tutto, nessuno crede a quella pretesa a parte una manciata di ciarlatani e di individui strampalati, in aggiunta all’intero Partito Repubblicano.
No, intendo qualcosa di più ampio – il convincimento che l’aiuto per migliorare le esistenze delle persone comuni consista nel rendere i ricchi più ricchi e nell’aspettare che i benefici vengano giù a cascata. Questa convinzione era incapsulata nella famosa espressione di Ronald Reagan secondo la quale le parole più terribili in lingua inglese sono: “I’m from the government, and I’m here to help [2]”.
Ebbene, nel 2020 il Governo c’è stato per aiutare, ed ha aiutato.
È vero, ci sono state persone che hanno difeso le politiche degli “effetti a cascata” anche di fronte alla pandemia. Trump ha ripetutamente fatto pressioni per tagli alle tasse sulla massa dei salari, che per definizione non farebbero niente per aiutare chi è senza lavoro, persino provando (senza riuscirci) a dare un taglio alla raccolta delle tasse attraverso una ordinanza esecutiva.
Per non dire che il nuovo pacchetto per la ripresa include una agevolazione fiscale di svariati miliardi di dollari per pranzi e cene di affari, come se un pasto con tre martini fosse una risposta ad una depressione pandemica.
Anche l’ostilità in stile reaganiano ad aiutare le persone bisognose è proseguita. Ci sono stati alcuni politici ed economisti che hanno continuato ad insistere, alla faccia dell’evidenza, che aiutare i lavoratori disoccupati stesse effettivamente provocando la disoccupazione, rendendo i lavoratori indisponibili ad accettare le offerte di posti di lavoro.
Sopra tutto ciò, tuttavia – ed è qualcosa di impressionante – la politica economica statunitense ha affettivamente risposto abbastanza bene ai bisogni reali di una nazione costretta al lockdown da un virus letale. Gli aiuti ai disoccupati e i prestiti alle imprese che sono stati condonati se venivano usati per mantenere i salari, hanno limitato le sofferenze. Gli assegni spediti direttamente alla maggioranza delle persone adulte non sono stati la migliore politica mirata di sempre, ma hanno incoraggiato i redditi individuali.
Tutto questo intervento da “Grande Governo” [3] ha funzionato. Nonostante che il lockdown abbia eliminato temporaneamente 22 milioni di posti di lavoro, la povertà è effettivamente diminuita mentre proseguiva la assistenza.
E non c’è stato alcuno svantaggio visibile. Come ho già accennato, non c’è stata alcuna alcuna indicazione che aiutare i disoccupati scoraggiasse i lavoratori dall’accettare posti di lavoro quando diventavano disponibili. In particolare, la crescita dell’occupazione da aprile a luglio, quando nove milioni di americani sono tornati al lavoro, è intervenuta quando i sussidi rafforzati erano ancora in funzione.
Né il vasto indebitamento pubblico ha avuto le conseguenze terribili che le Cassandre del deficit sempre prevedono. I tassi di interesse sono rimasti bassi, mentre l’inflazione è rimasta inerte.
Dunque l’aiuto del Governo c’è realmente stato. L’unico problema è stato che esso ha tagliato l’aiuto troppo presto. L’aiuto straordinario avrebbe dovuto continuare finché il coronavirus era ancora aggressivo – un fatto implicitamente riconosciuto dalla disponibilità di entrambi i partiti a varare un secondo pacchetto di aiuti, e dalla finale riluttante disponibilità di Trump a sottoscrivere quella legge.
In effetti, una parte dell’aiuto che abbiamo fornito nel 2020 dovrebbe continuare anche dopo che avremo una vaccinazione generalizzata. Quello che dovremmo aver imparato la primavera scorsa è che programmi governativi adeguatamente finanziati possono ridurre grandemente la povertà. Perché dimenticare così presto la lezione mentre la pandemia è in corso?
Ora, quando dico che il reaganismo è morto nel 2020, non intendo che i soliti noti smetteranno di avanzare i soliti argomenti. L’economia vudù ha radici troppo profonde nel moderno Partito Repubblicano – e troppo utili ai donatori miliardari in cerca di tagli alle tasse – per essere messa al bando da fatti sconvenienti.
L’opposizione ad aiutare i disoccupati e i poveri non si è mai basata su fatti; ha sempre avuto le sue radici in un misto di elitarismo e di ostilità razzistica. Dunque continueremo a sentir parlare del potere miracolosa dei tagli delle tasse e dei mali dello stato assistenziale.
Ma se il reaganismo sarà sempre in circolazione, adesso sarà, anche più di prima, un reaganismo zombi – una dottrina che avrebbe dovuto essere soppressa dai suoi riscontri con la realtà, anche se sta ancora trascinandosi in giro, mangiando i cervelli degli uomini politici.
Perché la lezione del 2020 è che in una crisi, e in qualche misura perfino nei tempi più calmi, il Governo può far molto per migliorare la vita delle persone. E quello che dovremmo temere maggiormente è un Governo che si rifiuta di fare il suo lavoro.
[1] Contratto mediante il quale si acquistano determinati titoli o merci ad un prezzo che viene fissato immediatamente, mentre consegna e pagamento avranno luogo a una certa scadenza futura.
[2] “Io rappresento il Governo e sono qua per aiutare”.
[3] Nel gergo politico statunitense una politica da “grande governo” è una politica progressista, assistenziale. In quel caso “grande” non è un apprezzamento, ma proprio la indicazione di una azione estesa e capillare; per i conservatori è il segno di una impostazione statalistica e controproducente.
By mm
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