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Ineguaglianze globali: a che punto siamo? Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 17 novembre 2020)

 

PUBLIÉ LE17 NOVEMBRE 2020 

Global inequalities: where do we stand?

Thomas Piketty

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Thanks to the combined efforts of 150 researchers from all continents, the World Inequality Database (WID.world) has just put new data online on the distribution of income in the different countries of the world. What does it tell us about the state of global inequality?

The main innovation is that the data collected make it possible to cover almost all countries. Thanks to research carried out in Latin America, Africa and Asia, 173 countries representing 97% of the world’s population are now covered. The new data also makes it possible to analyse for each country the detailed evolution of the overall distribution, from the poorest to the richest.

In concrete terms, we already knew that the widening in inequalities has been made at the top over the last few decades, with the well-known rise in the numbers of the richest 1%. The innovation is to propose a systematic comparison of the situation of the poorest classes in different parts of the world. It can be seen for instance that the share of the poorest 50% varies considerably from country to country: it varies between 5% and 25% of total income. In other words, for the same national income, the standard of living of the poorest 50% can vary by a factor ranging from 1 to 5. This underlines the urgent need to go beyond GDP and macroeconomic aggregates to focus on concrete social distributions and groups.

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It should also be noted that inequalities are high in all countries. The share of the richest 10% represents between 30% and 70% of total income. It is always significantly higher than that of the poorest 50%. The gap would be even greater if we looked at the distribution of wealth (what you own) and not income (what you earn in a year). The poorest 50% own almost nothing (usually less than 5% of the total), even in the most egalitarian countries (such as Sweden). However, the data available on wealth is still insufficient and will be updated in 2021.

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With regard to income distribution, there are very wide variations between countries, including within a given region and at the same level of development. This shows that different policies can make a difference. In Latin America, for example, Brazil, Mexico or Chile have historically been more unequal than Argentina, Ecuador or Uruguay (where more ambitious social policies have been implemented for several decades), and the gap between these two groups of countries has widened over the past 20 years. In Africa, the most extreme inequalities are in the south of the continent, where no real redistribution of land and wealth has taken place since the end of Apartheid.

In general, the map of global inequality reflects both the effects of long-standing racial and colonial discrimination and the impact of contemporary hyper-capitalism and more recent socio-political processes. In several of the world’s most unequal countries, such as Chile or Lebanon, social movements in recent years hold out hope for profound transformations.

The Middle East appears to be the most inegalitarian region on the planet, both because of a system of borders concentrating resources on petro-monarchical territories and because of an international banking system which allows the transformation of the oil rent into an eternal financial rent. In the absence of a new, more balanced, social-federal and democratic model of regional development, it is to be feared that the totalitarian and reactionary ideologies currently at work will continue to occupy the field, as in Europe a century ago.

In India, where the gap between the top and the mass of the population has reached levels not seen since the colonial period, Hindu nationalists believe they can alleviate socio-economic frustrations by stirring up identity and religious tensions, resulting in increased discrimination faced by the Muslim minority, which is threatened with long-term impoverishment and marginalisation.

There has also been a steady rise in inequality in Eastern Europe since the 1990s. At the fall of communism, the inequality shock had been much more brutal in Russia, which in a few years has become the world capital of oligarchs, tax havens and financial opacity, after having been the country of the total abolition of private property. But almost 30 years later Eastern Europe seems to be gradually approaching the level of inequality observed in Russia. The stagnation of wages and the scale of the flow of profits out of these countries are fuelling a frustration that the West of the continent finds hard to understand.

At the global level, the share of the world’s poorest 50% of the world’s population has clearly increased from 7% of total world income in 1980 to around 9% in 2020, thanks to the growth of emerging countries. However, this progress must be put into perspective, as the share of the world’s richest 10% has remained stable at around 53%, and that of the richest 1% has risen from 17% to 20%. The losers are the middle and working classes of the North, which is fuelling the rejection of globalisation.

To sum up: the planet is criss-crossed by multiple unequal divides, which the pandemic will further aggravate. Only an increased effort of democratic and financial transparency, which is currently very insufficient, would make it possible to develop solutions acceptable to the greatest number of people.

 

Ineguaglianze globali: a che punto siamo?

Thomas Piketty

 

Grazie agli sforzi combinati di 10 ricercatori di tutti i continenti, il World Inequality Databse (WID.world) ha appena messo online i nuovi dati sulla distribuzione del reddito nei diversi paesi del mondo. Cosa ci dicono sullo stato dell’ineguaglianza globale?

La principale novità è che i dati raccolti rendono possibile coprire quasi tutti i paesi. Grazie alla ricerca portata a termine in America Latina, Africa e Asia, sono adesso coperti 173 paesi che rappresentano il 97% della popolazione del mondo. I nuovi dati rendono anche possibile analizzare per ciascun paese l’evoluzione dettagliata della distribuzione complessiva, dai più poveri ai più ricchi.

In termini concreti, già sapevamo che, nel corso dei decenni passati, l’allargamento delle ineguaglianze era stato realizzato al vertice, con la ben nota crescita dei dati relativi all’1% dei più ricchi. La novità è proporre un confronto sistematico della situazione delle classi più povere in diverse parti del mondo. Si può osservare, ad esempio, che la quota del 50% dei più poveri varia considerevolmente da paese a paese: tra il 5% e il 25% del reddito totale. In altre parole, per lo stesso reddito nazionale, il livello di vita del 50% dei più poveri può variare di un fattore che oscilla da 1 a 5. Questo sottolinea l’urgenza di andare oltre il PIL e gli aggregati macroeconomici per concentrarsi sulle concrete distribuzioni e gruppi sociali.

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[1]

Dovrebbe anche essere osservato che le ineguaglianze sono elevate in tutti i paesi. La quota del 10% dei più ricchi rappresenta tra il 30% e il 70% del reddito totale. Essa è sempre significativamente più alta della quota del 50 dei più poveri. Il divario sarebbe anche più grande se guardassimo alla distribuzione della ricchezza (ciò che si possiede) e non al reddito (ciò che si guadagna in un anno). I 50% dei più poveri non possiede  quasi niente (di solito meno del 5% del totale), anche nei paesi più egualitari (come la Svezia). Tuttavia i dati disponibili sulla ricchezza sono ancora insufficienti e saranno aggiornati nel 2021.

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[2]

Con riguardo alla distribuzione del reddito, ci sono variazioni molto ampie tra i paesi, compresi quelli di una stessa regione e allo stesso livello di sviluppo. Questo dimostra che le diverse politiche possono fare la differenza. In America Latina, ad esempio, i Brasile, il Messico o il Cile sono stati più ineguali dell’Argentina, dell’Ecuador e dell’Uruguay (dove sono state messe in atto per vari decenni politiche sociali più ambiziose), e il divario tra questi due gruppi di paesi si è allargato nei 20 anni passati. In Africa, le ineguaglianze più estreme sono nel sud del continente, dove dalla fine dell’Apartheid non ha avuto luogo alcuna reale redistribuzione delle terre e della ricchezza.

In generale, la mappa dell’ineguaglianza globale riflette della discriminazione razziale e coloniale di vecchia data e l’impatto dell’ipercapitalismo contemporaneo e dei più recenti processi socio politici. Nei vari paesi più ineguali del mondo, come il Cile o il Libano, i movimenti sociali negli anni recenti fanno sperare in profonde trasformazioni.

Il Medio Oriente sembra essere la regione più inegualitaria del pianeta, sia a causa di un sistema di confini che concentra le risorse nei territori delle monarchie petrolifere, che a causa di un sistema bancario internazionale che consente la trasformazione della rendita sul petrolio in una eterna rendita finanziaria. In assenza di un nuovo e più equilibrato modello di sviluppo social-federale e democratico, si deve temere che le ideologie totalitarie e reazionarie attualmente all’opera continueranno ad occupare il campo, come in Europa un secolo fa.

In India, dove il divario tra i più ricchi e la massa della popolazione ha raggiunto livelli non visti dal periodo coloniale, i nazionalisti indù credono di poter alleviare le frustrazioni socio economiche aumentando le tensioni identitarie e religiose, con il risultato di una accresciuta discriminazione subita dalla minoranza musulmana, che è minacciata da un impoverimento e da una marginalizzazione a lungo termine.

A partire dagli anni ’90, c’è anche stata una crescita costante dell’ineguaglianza nei paesi dell’Europa Orientale. Con la caduta del comunismo, il trauma dell’ineguaglianza è stato molto più brutale in Russia, che in pochi anni è diventata la capitale mondiale degli oligarchi, dei paradisi fiscali e dell’opacità finanziaria, dopo essere stata il paese della abolizione totale della proprietà privata. Ma quasi trent’anni dopo, l’Europa Orientale sembra gradualmente avvicinarsi al livello di ineguaglianza osservato in Russia. La stagnazione dei salari e la dimensione della fuoriuscita dei profitti da questi paesi stanno alimentando una frustrazione che l’Occidente del continente stenta a comprendere.

Al livello globale, la quota di reddito del 50% dei più poveri della popolazione del mondo è chiaramente cresciuta, dal 7% del reddito mondiale totale del 1980 a circa il 9% del 2020, grazie alla crescita dei paesi emergenti. Tuttavia, questo progresso deve essere letto in prospettiva, dato che la quota di reddito del 10% dei più ricchi è rimasta stabile a circa il 53%, e che l’1% dei più ricchi è cresciuto dal 17% al 20%. I perdenti sono le classi medie e lavoratrici del Nord, il che sta alimentando il rigetto della globalizzazione.

In conclusione: il pianeta è attraversato da molteplici divisioni ineguali che la pandemia aggraverà ulteriormente. Solo un sforzo accresciuto di trasparenza democratica e finanziaria, che attualmente è del tutto insufficiente, renderebbe possibile sviluppare soluzioni accettabili dalla grande maggioranza delle persone.

 

 

 

 

 

 

[1] Le due cartine mostrano i diversi gradi di distribuzione dei redditi tra le parti più povere della popolazione (la metà della popolazione) e quelle più ricche (il 10% della popolazione). Si comprende, dunque, immediatamente che per un quadro completo si dovrebbe considerare anche il 40% della distribuzione del reddito che sta tra i più poveri e i più ricchi.

Relativamente alla prima cartina, si osserva tra l’altro che: la metà più povera della popolazione statunitense si appropria tra il 13 e il 15% del totale, una percentuale analoga a quella della Cina e dell’India. In Europa tale percentuale di reddito sale ad una quota tra il 20 e il 32% (mentre resta più bassa, tra il 18 e il 20%, in Germania e in Portogallo). In Russia e in Canada, la quota del reddito della metà più povera della popolazione è anch’essa tra il 18 e il 20%. I livelli più bassi al mondo di quella quota, tra il 6,3 e il 12,7%, si trovano nell’Africa Meridionale, nel Brasile, e nel Centro America.

Ma, per l’appunto, una valutazione deve essere data congiuntamente alla situazione illustrata nella seconda cartina. Se essa fornisce una situazione inversa per la parte più ricca della popolazione, se ne deduce chiaramente che c’è un nesso stretto tra la condizione della parte più povera e quella della parte più ricca. Altrimenti, si può supporre che si avvantaggi anche la parte intermedia della popolazione, ovvero il 40% del reddito non espresso dalle due cartine.

[2] Come si nota, questa seconda cartina integra e fornisce maggiore significato alla prima. Adesso, nei paesi dell’Europa Occidentale, la parte più ricca della popolazione si appropria di un quota del reddito complessivo tra il 20 e il 34%; percentuale che sale al 34 – 42% in Cina  in Canada e a un 42-48% negli Stati Uniti e in Russia.

Ovvero, in alcuni paesi – significativamente anche la Cina – non sono soltanto i più ricchi che si avvantaggiano maggiormente della basa quota di reddito distribuita tra i più poveri, perché una parte importante dei vantaggi vanno anche ai redditi delle classi medie. In quel senso, l’Europa Occidentale appare più egualitaria. Gli Stati Uniti e la Russia sono paesi dove la redistribuzione a vantaggio dei più ricchi è evidentemente maggiore; seppure non ai livelli del Messico, del Brasile, dell’India e del Sudafrica.

 

 

 

 

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