Jan 28, 2021
By Paul Krugman
Here’s what we know about American politics: The Republican Party is stuck, probably irreversibly, in a doom loop of bizarro. If the Trump-incited Capitol insurrection didn’t snap the party back to sanity — and it didn’t — nothing will.
What isn’t clear yet is who, exactly, will end up facing doom. Will it be the G.O.P. as a significant political force? Or will it be America as we know it? Unfortunately, we don’t know the answer. It depends a lot on how successful Republicans will be in suppressing votes.
About the bizarro: Even I had some lingering hope that the Republican establishment might try to end Trumpism. But such hopes died this week.
On Tuesday Mitch McConnell, the Senate minority leader, who has said that Donald Trump’s role in fomenting the insurrection was impeachable, voted for a measure that would have declared a Trump trial unconstitutional because he’s no longer in office. (Most constitutional scholars disagree.)
On Thursday Kevin McCarthy, the House minority leader — who still hasn’t conceded that Joe Biden legitimately won the presidency, but did declare that Trump “bears responsibility” for the attack on Congress — visited Mar-a-Lago, presumably to make amends.
In other words, the G.O.P.’s national leadership, after briefly flirting with sense, has surrendered to the fantasies of the fringe. Cowardice rules.
And the fringe is consolidating its hold at the state level. The Arizona state party censured the Republican governor for the sin of belatedly trying to contain the coronavirus. The Texas G.O.P. ‘has adopted the slogan “We are the storm,” which is associated with QAnon, although the party denies it intended any link. Oregon Republicans have endorsed the completely baseless claim, contradicted by the rioters themselves, that the attack on the Capitol was a left-wing false flag operation.
How did this happen to what was once the party of Dwight Eisenhower? Political scientists argue that traditional forces of moderation have been weakened by factors like the nationalization of politics and the rise of partisan media, notably Fox News.
This opens the door to a process of self-reinforcing extremism (something, by the way, that I’ve seen happen in a minor fashion within some academic subfields). As hard-liners gain power within a group, they drive out moderates; what remains of the group is even more extreme, which drives out even more moderates; and so on. A party starts out complaining that taxes are too high; after a while it begins claiming that climate change is a giant hoax; it ends up believing that all Democrats are Satanist pedophiles.
This process of radicalization began long before Donald Trump; it goes back at least to Newt Gingrich’s takeover of Congress in 1994. But Trump’s reign of corruption and lies, followed by his refusal to concede and his attempt to overturn the election results, brought it to a head. And the cowardice of the Republican establishment has sealed the deal. One of America’s two major political parties has parted ways with facts, logic and democracy, and it’s not coming back.
What happens next? You might think that a party that goes off the deep end morally and intellectually would also find itself going off the deep end politically. And that has in fact happened in some states. Those fantasist Oregon Republicans, who have been shut out of power since 2013, seem to be going the way of their counterparts in California, a once-mighty party reduced to impotence in the face of a Democratic supermajority.
But it’s not at all clear that this will happen at a national level. True, as Republicans have become more extreme they have lost broad support; the G.O.P. has won the popular vote for president only once since 1988, and 2004 was an outlier influenced by the lingering rally-around-the-flag effects of 9/11.
Given the unrepresentative nature of our electoral system, however, Republicans can achieve power even while losing the popular vote. A majority of voters rejected Trump in 2016, but he became president anyway, and he came fairly close to pulling it out in 2020 despite a seven million vote deficit. The Senate is evenly divided even though Democratic members represent 41 million more people than Republicans.
And the Republican response to electoral defeat isn’t to change policies to win over voters; it is to try to rig the next election. Georgia has long been known for systematic suppression of Black voters; it took a remarkable organizing effort by Democrats, led by Stacey Abrams, to overcome that suppression and win the state’s electoral votes and Senate seats. So the Republicans who control the state are doubling down on disenfranchisement, with proposed new voter ID requirements and other measures to limit voting.
The bottom line is that we don’t know whether we’ve earned more than a temporary reprieve. A president who tried to retain power despite losing an election has been foiled. But a party that buys into bizarre conspiracy theories and denies the legitimacy of its opposition isn’t getting saner, and still has a good chance of taking complete power in four years.
Il Partito Repubblicano è nel circolo vizioso del paradosso,
di Paul Krugman
Ecco quello che sappiamo della politica americana: il Partito Repubblicano è bloccato, probabilmente in modo irreversibile, in un circolo vizioso di paradossi. Se l’insurrezione del Campidoglio istigata da Trump non ha riportato il partito alla salute mentale – e non l’ha fatto – niente ci riuscirà.
Quello che non è chiaro, tuttavia, è chi, esattamente, finirà con lo sbattere in tale destino. Sarà il Partito Repubblicano, in quanto forza politica significativa? Oppure sarà l’America per come la conosciamo? Sfortunatamente, non sappiamo la risposta. Essa dipende molto da quanto successo i repubblicani avranno nel sopprimere il diritti elettorali.
A proposito della stravaganza: perfino io aveva qualche residua speranza che il gruppo dirigente repubblicano potesse provare a mettere fine al trumpismo. Ma questa settimana quelle speranze sono morte.
Martedì Mitch McConnell, il leader della minoranza al Senato, che ha detto che il ruolo di Trump nel fomentare l’insurrezione era suscettibile di messa in stato d’accusa, ha votato per una disposizione che avrebbe stabilito l’incostituzionalità di un processo a Trump giacché egli non è più in carica (molti studiosi della Costituzione non sono d’accordo).
Giovedì Kevin McCarthy, il leader della minoranza alla Camera – che ancora non ha ammesso che Joe Biden abbia legittimamente vinto la Presidenza, ma ha dichiarato che Trump “porta responsabilità” per l’assalto al Congresso – ha fatto una visita a Mar-a-Lago, presumibilmente per fare ammenda.
In altre parole, il gruppo dirigente nazionale del Partito Repubblicano, dopo aver brevemente flirtato col buon senso, ha finito per cedere alle fantasie degli estremisti. La viltà è al comando.
E la frangia estremista sta consolidando la sua presa al livello degli Stati. Il partito dello Stato dell’Arizona ha censurato il Governatore repubblicano per la colpa di aver cercato in ritardo di contenere il coronavirus. Il Partito Repubblicano del Texas ha adottato lo slogan “La tempesta siamo noi”, che è comune a QAnon, sebbene il partito neghi che esso comporti alcun collegamento. I repubblicani dell’Oregon hanno appoggiato la tesi completamente infondata, contraddetta dagli stessi rivoltosi, che l’attacco al Campidoglio fosse una operazione sotto mentite spoglie degli estremisti di sinistra.
Come è accaduto tutto questo a quello che un tempo fu il Partito di Dwight Eisenhower? I politologi sostengono che le forze tradizionali della moderazione sono state indebolite da fattori come la nazionalizzazione della politica e l’ascesa di media faziosi, in particolare di Fox News.
Questo apre la porta ad un processo di auto rafforzamento dell’estremismo (un fenomeno, per inciso, che ho constatato accadere in misura minore in qualche sottosettore accademico). Come gli estremisti guadagnano potere all’interno di un gruppo, spingono fuori i moderati; quello che resta del gruppo è anche più estremista, il che allontana ulteriori moderati; e così via. Un partito comincia a lamentarsi che le tasse sono troppo alte; dopo un po’ comincia a sostenere che il cambiamento climatico è una bufala gigantesca; poi finisce col credere che tutti i democratici siano pedofili satanisti.
Il processo di radicalizzazione cominciò molto tempo prima di Donald Trump; esso rimanda almeno alla presa di controllo del Congresso di Newt Gingrich del 1994 [1]. Ma il regno della corruzione e delle bugie di Trump, seguito dal suo rifiuto di ammettere i risultati elettorali e dal suo tentativo di rovesciarli, lo ha portato all’estremo. E la viltà del gruppo dirigente repubblicano lo ha condotto a siglare un patto. Uno dei due principali partiti politici dell’America ha divorziato dai fatti, dalla logica e dalla democrazia, e non sta tornando indietro.
Cosa accadrà adesso? Si potrebbe pensare che un partito che si comporta in modo paradossale da un punto di vista morale e intellettuale, alla fine si ritrova a farlo anche da un punto di vista politico. E di fatto è ciò che è accaduto in alcuni Stati. Quei fantasiosi repubblicani dell’Oregon, che sono stati esclusi da potere dal 2013, sembrano andare nella direzione dei loro omologhi in California, un partito una volta potente ridotto all’impotenza a fonte di una super maggioranza democratica.
Ma non è affatto chiaro se questo accadrà a livello nazionale. È vero, come i repubblicani sono diventati più estremisti hanno perso il loro sostegno generale; il Partito Repubblicano ha vinto una sola volta dal 1988 il voto popolare per la Presidenza, e il 2004 fu una eccezione influenzata dagli effetti perduranti del clima di patriottismo per gli attentati dell’11 settembre del 2001.
Data la natura non rappresentativa del nostro sistema elettorale, tuttavia, i repubblicani possono conseguire il potere anche perdendo nel voto popolare. Una maggioranza di elettori respinse Trump nel 2016, ma egli divenne comunque Presidente, e nel 2020 è arrivato discretamente vicino a cavarsela nonostante sette milioni di voti in meno. Il Senato è equamente diviso anche se i membri democratici rappresentano 41 milioni di persone in più dei democratici.
E la risposta repubblicana alla sconfitta elettorale non è cambiare le politiche per convincere gli elettori; è cercare di truccare le prossime elezioni. La Georgia è stata a lungo tempo conosciuta per la sistematica soppressione dei diritti elettorali degli elettori neri; c’è voluto un considerevole sforzo organizzativo da parte dei democratici, guidati da Stacey Abrams [2], per superare quella politica di negazione dei diritti elettorali e aggiudicarsi i voti dello Stato e i seggi del Senato. Così i repubblicani che controllano lo Stato stanno raddoppiando gli sforzi per privare del diritto di voto, con nuovi requisiti proposti sui documenti di identità degli elettori e altre misure per ostacolare il voto.
La morale della favola è che non sappiamo se abbiamo ottenuto qualcosa di più di una tregua transitoria. È stato sventato il tentativo di un Presidente che ha cercato di restare al potere nonostante avesse perso le elezioni. Ma un partito che aderisce a stravaganti teorie cospirative e nega la legittimità dei suoi avversare non sta diventando più sano di mente, ed ha ancora una buona possibilità di conquistare completamente il potere tra quattro anni.
[1] Newt Gingrich all’epoca era il leader della minoranza alla Camera e mise in atto, se non sbaglio, una forma estrema di ostruzionismo che giunse sino al cosiddetto “shut down”, ovvero al blocco della attività amministrativa. Il Presidente nel 1994 era Bill Clinton.
[2] (desumo queste notizie da un articolo su The Guardian e da Wikipedia, inglese):
Stacey Abrams, nata nel 1973, è una avvocatessa democratica di colore, famosa per la sua battaglia per il diritto di voto in Georgia. Uscì sconfitta da precedenti elezioni nelle quali era candidata democratica alla carica di Governatore dello Stato. Il suo avversario che vinse, il repubblicano Kemp, all’epoca era Segretario di Stato per la Georgia, ovvero aveva anche il ruolo di controllore delle elezioni.
Costui si rese responsabile di una vastissima iniziativa di “suppression” (soppressione soffocamento, interdizione del diritto di voto), con quasi 670 mila persone cancellate nel 2017 dagli elenchi. Una analisi della Associated Press rivelò che il 70% degli elettori cancellati erano neri, a fronte di una popolazione di colore della Georgia che non supera il 32% dei cittadini. Poiché i voti con i quali Kemp vinse furono 55.000, è evidente che il risultato dipese fondamentalmente dalla preventiva eliminazioni degli elettori di colore dalle liste elettorali.
I modi nei quali questa eliminazione può avvenire sono vari. In questo blog si può utilmente leggere un articolo su tali aspetti: “Greg Palast rivela che i voti sottratti in Stati cruciali hanno contribuito a truccare le elezioni negli Stati Uniti a favore di Trump” (intervista di Ben Gelblum). Sulla scorta di quell’articolo, si comprende che per combattere la negazione del diritto di voto con la eliminazione dalle liste elettorali, si deve intraprendere una battaglia personale precedente al voto per recuperare tali diritti, che in genere sono eliminati con pretesti burocratici (come quello di pretendere per scritto conferma del proprio diritto e di procedere alla esclusione in tutti i casi nei quali un cittadino non prende visione o sottovaluta il significato di tale richiesta).
E’ quello che la Abrams ha fatto con una battaglia con il suo movimento (che ha il nome di “Fair fight”, “Battaglia Giusta”), sviluppando in tutto lo Stato una iniziativa per educare le persone a gestire i propri diritti e, in particolare, per spingere i giovani di colore ad iscriversi nei registri elettorali. L’effetto di questa iniziativa sono stati 800.000 nuovi elettori nelle elezioni recenti, decisivi questa volta per la vittoria di Biden.
E questa è a foto di una delle sedi del movimento, con l’immagine della Abrams dipinta sull’edificio:
By mm
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