Jan 19, 2021
Paul Krugman
“What do we want? Evidence-based policy. When do we want it? After peer review.” That was one of the chants at the March for Science, an international set of demonstrations in April 2017. The marchers were, of course, reacting in part to the election of Donald Trump and the rise of populism elsewhere; they were concerned that governments would make bad policy decisions that ignored scientific evidence.
And in the United States and the United Kingdom, where the demonstrations received the most attention, the marchers’ fears proved prescient. Both governments responded to the coronavirus pandemic by dismissing the views of epidemiologists, and the two countries have had far more Covid-19 deaths per million people than other major nations.
As an economist watching this disaster, I was mainly horrified. But I couldn’t help also thinking, “Welcome to my world.” My sense is that many medical experts are still shocked to see what should be matters of science utterly politicized. But in the social sciences it has been that way all along.
In fact, many people — and not just on the right — seem to assume that all economic analysis must be political. Today’s column was in part about the case for a higher minimum wage, a topic on which economists’ views have shifted dramatically over the past 25 years. When I describe that shift to lay people, I find them assuming that it must have been politically driven — a reaction to things like the Fight for 15, the movement by fast-food workers to demand higher wages.
But that’s not what happened. The sea change in economic opinion on minimum wages was driven by, dare I say it, science: New evidence came in, and it refuted old conventional wisdom.
The change started with a remarkable paper by the labor economists David Card and Alan Krueger, who had the bright idea of surveying fast-food restaurants near the Delaware River before and after New Jersey raised its minimum wage, while Pennsylvania did not. As far as I can tell, they expected to see employment declines in the former relative to the latter. But they didn’t.
This result — no noticeable employment decline after an increase in the minimum wage — has since been replicated many, many times. The evidence is now overwhelming that minimum wage hikes don’t have major negative effects on employment, while they do raise workers’ incomes and reduce poverty. This isn’t a conclusion driven by politics, although at least some of the economists who still refuse to accept this evidence are being political.
While the minimum wage literature is a really striking example of economists being scientific, it’s not unique. Another example, close to my heart, has been a shift of the profession toward the Keynesian view that deficit spending is good for a depressed economy. This shift was driven in large part by what happened between 2010 and roughly 2013, when some but not all advanced countries were forced into harsh austerity policies — and experienced severe economic contractions, just as Keynes would have predicted.
If these examples may make it seem as if taking the evidence into account always pushes economists to the left, that’s misleading. It may be true on average, if only because discourse in general has been dominated by a right-leaning orthodoxy, so that new evidence usually pushes us left. But it’s not hard to find contrary examples.
For example, many people would like to believe that universal health care saves money, because people get more preventive care and have less reason to visit emergency rooms. Unfortunately, that doesn’t seem to be true: Better coverage means that people get more health care, which costs money.
Which is not to say that we shouldn’t guarantee health care for all! For evidence can’t actually tell us what our policies should be — that is, in the end, a political decision that must reflect values as well as science.
But evidence can help us make policy. And I, for one, am thrilled that 23½ hours after this newsletter goes out we’ll have an administration that understands that.
Le prove rientrano in scena,
di Paul Krugman
“Che cosa vogliamo? Una politica basata sulle prove. Quando lo vogliamo? Dopo la verifica di esperti [1].” Questo era uno degli slogan alla Marcia per la Scienza dell’aprile del 2017. I manifestanti, ovviamente, in parte stavano reagendo alla elezione di Donald Trump ed alla crescita dappertutto del populismo; erano preoccupati che i Governi prendessero decisioni politiche negative che ignoravano le prove scientifiche.
E negli Stati Uniti come nel Regno Unito, dove le dimostrazioni ricevettero la maggiore attenzione, le paure dei manifestanti si sono dimostrate preveggenti. I Governi di entrambi i paesi hanno risposto alla pandemia del coronavirus rigettando i punti di vista degli epidemiologi, e i due paesi hanno avuto più morti per milione di persone da coronavirus delle altre principali nazioni.
Come economista che osserva il disastro, sono rimasto soprattutto terrorizzato. Ma non potevo neanche aiutarmi con il pensiero: “Benvenuti nel mio mondo”. La mia sensazione è che molti esperti sanitari sono ancora impressionati dal constatare che problema sarebbe una scienza completamente politicizzata. Ma nelle scienze sociali è quanto avviene da tanto tempo.
Nei fatti, molte persone – e non solo alla destra – sembra considerino che tutta l’analisi economica deve essere politica. L’articolo di oggi, in parte era relativo all’ipotesi di un minimo salariale più elevato, un tema sul quale i punti di vista degli economisti si sono spostati in modo spettacolare negli ultimi 25 anni. Quando descrivo quello cambiamento per presentarlo alle persone, scopro che esse considerano che deve essere dipeso dalla politica – una reazione a cose come Battaglia per i 15 dollari, il movimento dei lavoratori dei fast-food per rivendicare salari più alti.
Ma non è questo che è accaduto. Il radicale cambio di rotta sul giudizio economico sui minimi salariali è stato guidato, oserei dire, dalla scienza: sono intervenute nuove prove ed hanno confutato il vecchio punto di vista convenzionale.
Il cambiamento ebbe inizio con un importante saggio degli economisti del lavoro David Card e Alan Krueger, che ebbero la brillante idea di fare un sondaggio presso i ristoranti fast-food nei pressi del fiume Delaware prima e dopo che il New Jersey aumentasse il suo salario minimo, mentre la Pennsylvania non lo fece. Per quanto posso immaginare, essi si aspettavano di constatare cali dell’occupazione nel primo Stato rispetto al secondo. Ma non accadde.
Questo risultato – nessun apprezzabile calo dell’occupazione dopo un aumento del salario minimo – da allora è stato replicato moltissime volte. Adesso c’è la prova schiacciante che i rialzi del salario minimo non hanno importanti effetti negativi sull’occupazione, mentre aumentano i redditi dei lavoratori e riducono la povertà. Questa non è un conclusione determinata dalla politica, sebbene almeno alcuni degli economisti che ancora rifiutano di accettare questa prova lo fanno per ragioni politiche.
Se la letteratura sul salario minimo è un esempio davvero impressionante della scientificità del lavoro degli economisti, essa non è l’unica. Un altro esempio al quale sono affezionato è stato lo spostamento della disciplina nei confronti del punto di vista keynesiano secondo il quale la spesa in deficit in una economia depressa è positiva. Questo cambiamento venne guidato da quello che accadde tra il 2010 e grosso modo il 2013, quando alcuni ma non tutti i paesi avanzati vennero costrette a severe politiche di austerità – e conobbero gravi contrazioni economiche, proprio come avrebbe previsto Keynes.
Se questi esempi possono far apparire che tener conto delle prove spinga sempre gli economisti a sinistra, ciò è fuorviante. Nella media piò essere vero, soltanto perché il dibattito è stato dominato da una ortodossia orientata a destra, cosicché le nuove prove normalmente ci spingono a sinistra. Ma non è difficile trovare esempi opposti.
Ad esempio, a molti piacerebbe credere che l’assistenza sanitaria universalistica consente di risparmiare soldi, perché le persone hanno maggiore assistenza preventiva e minori ragioni di essere curate in emergenza. Sfortunatamente, non sembra che questo sia vero: una migliore copertura comporta che le persone abbiano maggiore assistenza sanitaria, e questo costa denaro.
Il che non significa che non dovremmo garantire la assistenza sanitaria per tutti! Perché le prove non possono dirci quali dovrebbero essere le nostre politiche – ovvero, alla fine le decisioni politiche debbono riflettere i valori come la scienza.
Ma le prove possono aiutarci a fare politica. E io, per mio conto, sono eccitato perché 23 ore e mezza dopo questa newsletter avremo una amministrazione che lo capisce.
[1] La valutazione tra pari (detta anche revisione tra pari o revisione paritaria e meglio nota con il termine inglese peer review) indica nel mondo della ricerca e dell’università, la valutazione critica che un lavoro o una pubblicazione riceve, spesso su richiesta di un’autorità centrale, da parte di specialisti aventi competenze analoghe a quelle di chi ha prodotto l’opera. Wikipedia.
By mm
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