I believe that everyone can remember the turning points in their ideological and political evolution: these are moments when the entire world of ideas and preconceptions one has built over the years crumbles.
I thought of three such events. I remember them with utmost clarity.
The new, young and smart English teacher in our high school decided that we would learn English better if she would bring every week an issue of The Time or Newsweek magazine to read in class. It was a great success. She would then give the issue to a different student every week to take home and read. One time I was lucky to be given the magazine. On the way back home, I opened it and saw a big photograph of Nixon visiting either Chicago or Detroit, and being greeted by hundreds of construction workers sitting on the scaffoldings, waving small American flags, cheering and supporting Nixon’s Vietnam policy. For a while I could not believe what I saw. I must have spent an hour or more (my walk back from school to home was about 40 minutes, and I was almost always walking alone), scrutinizing the picture: was it staged, were these people real workers or perhaps CIA operatives placed there to wave the flags? I thought of all these possibilities, very pleasing to my ideological beliefs, but still could not fully accept them. It did seem, as the article claimed, that Nixon’s reception was genuine and that the American working class was in favor of the war. I could not understand how that ideological “impossibility” could have happened. I was not able –a 17 year-old—to answer that question, but it remained like a big unresolved issue for a long time in my life. I was at the time of my first ideological doubts.
With that view in mind, I asked one day my older friend’s son, who was then in high school (probably of the same age as I was at the time of my first ideological epiphany with American workers), if his school classmates saw through these expressions of Serbian nationalist megalomania and stood for ethnic equality. So I asked him how other students thought of the Albanian issue, and how they believed it may be solved.
Oh, –he replied nonchalantly—we are all in favor of killing Albanians. And solving the problem once forever.
III. A decade later I lived through the entire period of US hyperpower in Washington: the sole global power attacked, in short order, Panama, Serbia, Afghanistan, Iraq and Libya. I was aware of complete dissonance between reality and the way it was presented in the US media, having worked for the World Bank in transition countries in the 1990s, and especially in Russia. One of the reasons for my book “Income, inequality, and poverty during the transition to market economy” was precisely to leave a factual proof, to document in one place, what happened to poverty, inequality and destruction during the so-called “transition”. I am still very proud of that book, even if it is rarely cited.
I regarded the excesses of American hyperpower to be due to the military-industrial complex and Republican latter-day imperialists. I was not particularly interested in American domestic politics and thought that Democrats had, on the whole, little to do with the renascent imperialism. All of my friends were Democrats and they were sensible and nice people. In 2003, when the war on Iraq was launched I was at the Carnegie Endowment for International Peace, where –in consonance with its name—almost everybody was sincerely pained by what was about to transpire. I happened to be sitting in the office of a highly regarded and influential person who was brought almost to despair by Colin Powell’s fake UN testimony that paved the way to the aggression (and which was playing on TV live at the same time while I was sitting in that office).
So that was my view of liberals when a decade later I was invited to join an email list of relatively influential democratic media persons discussing current affairs. My first foray was based precisely on that assumption: that they were nice anti-imperialist people who cared about peace and the rest of the world. In no time was I entirely disabused. With a high-level casuistry (since they were very intelligent and well-educated) they defended, and advocated, the most destructive and murderous policies.
When today I heard of the title of Pankaj Mishra’s new book “Bland Fanatics” I was immediately gripped by its title. These were the people I was dealing with then! They were boring and lived in comfortable suburban homes. They penned most poisonous articles that would lead to the deaths of thousands while sipping Starbucks coffee and glancing from time to time at their daily “to-do” lists left in the morning by their spouse: “pick up the laundry”, “buy the spaghetti”, “call Jim to repair the AC”….Excitedly they would rush to wrap up their writings, reveling in more airstrikes, finishing the last paragraph perhaps too abruptly. For they had to pick up children from school. At four o’clock.
L’educazione ideologica,
di Branko Milanovic
Credo che tutti possano ricordare i punti di svolta nella loro evoluzione ideologica e politica: sono i momenti nei quali l‘intero mondo delle idee e dei pregiudizi che uno ha costruito nel corso degli anni vanno in frantumi.
Ho pensato a tre eventi di questo genere. Li ricordo con la massima chiarezza.
I – Frequentavo una scuola superiore in Belgio durante la guerra del Vietnam. L’intera atmosfera, dalla scuola ai giornali, era pervasa dall’anti imperialismo e dalla condanna della guerra. Essere contro la guerra non solo sembrava talmente normale al punto che facevo fatica a immaginare persone che potessero essere favorevoli, ma, essendo un bravo giovane marxisteggiante, pensavo che le sole persone che potevano sostenere gli assassinii di migliaia di contadini vietnamiti, dovevano essere coloro che avevano un interesse nella continuazione della carneficina, ovvero i finanzieri capitalisti e la classe di governo degli Stati Uniti.
La nuova, giovane e intelligente insegnante di inglese nella nostra scuola superiore decise che avremmo imparato meglio la lingua se ogni settimana avesse portato una edizione del Time o della rivista Newsweek da leggere in classe. Fu un grande successo. Ogni settimana ella avrebbe dato ad un diverso studente l’edizione da portare a casa e da leggere. Una volta io ebbi la sorte di ottenere la rivista. Nel tornare a casa la aprii e vidi una grande foto di Nixon che visitava o Chicago o Detroit, e veniva accolto da migliaia di lavoratori edili seduti sulle impalcature che sventolavano piccole bandiere americane, acclamando e sostenendo la politica di Nixon in Vietnam. Per un po’ non potevo credere a quello che vedevo. Devo aver speso un ora o più (nel mio ritorno da scuola a casa camminavo per circa 40 minuti, ed ero quasi sempre da solo), a squadrare la foto: era stata architettata, quelle persone erano lavoratori veri o forse erano funzionari della CIA piazzati in quel posto a sventolare le bandiere? Pensai a tutte queste possibilità, soprattutto soddisfacendo le mie convinzioni ideologiche, eppure non potevo completamente accettarle. Pare che, come sosteneva l’articolo, l’accoglienza a Nixon fosse genuina e che la classe lavoratrice americana fosse favorevole alla guerra. Non potevo comprendere come quella “impossibilità” ideologica poteva essere accaduta. Non ero capace – un diciassettenne – di rispondere a tale domanda, ma essa rimase per molto tempo una grande questione irrisolta nella mia vita. Ero nell’epoca dei miei primi dubbi ideologici.
II – Negli anni ’80 la situazione politica in Yugoslavia stava diventando sempre peggiore, le recriminazioni tra le repubbliche più infervorate, le espressioni nazionalistiche di un sentimento che nel passato sarebbe stato considerato “incitamento all’odio” ed avrebbe condotto in galera i responsabili, ora venivano normalmente ed apertamente espresse. Tuttavia io credevo che si trattasse di cattivi residui di un passato tumultuoso e della vecchia generazione, molti dei quali erano stati sostenitori o collaboratori di varie fazioni fasciste. Ma pensavo che di sicuro la giovane generazione – essendo i giovani per definizione progressisti, anti nazionalisti, anti religiosi etc. – sarebbe stata diversa.
Con quella opinione in testa, chiesi un giorno al fratello di un mio amico più anziano, che frequentava allora la scuola superiore (probabilmente alla stessa età della mia prima rivelazione ideologica con i lavoratori americani), se i suoi compagni di scuola si accorgessero di queste espressioni di megalomania nazionalistica serba e prendessero posizione per l’eguaglianza etnica. Dunque gli chiesi cosa gli altri studenti pensassero della questione albanese, e come credessero che potesse essere risolta.
Beh – mi rispose con indifferenza – siamo tutti dell’idea di ammazzare gli albanesi. E di risolvere il problema una volta per tutte.
III – Dieci anni dopo vissi personalmente a Washington l’intero periodo della iperpotenza statunitense: l’unica potenza globale attaccò, in breve tempo, Panama, la Serbia, l’Afghanistan, l’Iraq e la Libia. Ero consapevole della completa dissonanza tra la realtà e il modo in cui essa veniva presentata nei media statunitensi, avendo lavorato negli anni ‘90 per la Banca Mondiale sui paesi in transizione, e in particolare sulla Russia. Una delle ragioni del mio libro “Redditi, ineguaglianza e povertà durante la transizione all’economia di mercato” era stata precisamente di lasciare una prova incontestabile, di documentare da qualche parte, cosa era accaduto in termini di povertà, ineguaglianza e distruzione durante la cosiddetta “transizione”. Sono ancora molto orgoglioso di quel libro, anche se è raramente citato.
Consideravo che gli eccessi della superpotenza americana fossero dovuti al complesso militare industriale e agli imperialisti repubblicani contemporanei. Non ero particolarmente interessato alla politica interna americana e pensavo che i democratici, nel complesso, avessero poco a che fare con il rinascente imperialismo. Tutti i miei amici erano democratici ed erano persone ragionevoli e gentili. Nel 2003, quando venne lanciata la guerra in Iraq, io mi trovavo presso la Donazione Carnegie per la Pace Internazionale [1] , dove – in consonanza con il suo nome – quasi tutti erano sinceramente addolorati per quello che stava per succedere. Mi accadde di essere seduto nell’ufficio di una persona altamente considerata e influente che era stata indotta quasi alla disperazione dalla falsa testimonianza di Colin Powell alle Nazioni Unite che aveva spianato la strada alla aggressione (e che veniva trasmessa in diretta TV nello stesso momento in cui io ero seduto in quell’ufficio).
Dunque, quella era la mia opinione sui progressisti quando un decennio dopo venni invitato ad unirmi ad una lista email di influenti personaggi democratici che operavano sui media che dibattevano delle vicende attuali. La mia prima iniziativa si basò su quell’assunto: che costoro fossero piacevoli persone antiimperialiste che avevano a cuore la pace e il resto del mondo. Non sono mai stato così completamente disilluso. Con ragionamenti capziosi di alto livello (dato che erano molto intelligenti e molto ben istruiti) essi difendevano, e propugnavano, le politiche più distruttive e omicide.
Quando oggi ho sentito parlare del titolo del nuovo libro di Pankaj Mishra [2] “Fanatici insulsi” sono stato immediatamente catturato da quel titolo. Queste erano le persone con le quali discutevo allora! Erano noiose e vivevano in confortevoli abitazioni della periferia. Scrivevano gli articoli più velenosi che avrebbero portato alla morte migliaia di persone nel mentre sorseggiavano caffè Starbucks e di tanto in tanto davano un’occhiata alle liste giornaliere delle cose da fare lasciate al mattino dalle loro spose: “ritira alla lavanderia”, “compra gli spaghetti”, “chiama Jim per riparare l’aria condizionata” … Concitatamente sarebbero corsi a concludere i loro scritti, festeggiando ulteriori incursioni aeree, terminando forse troppo bruscamente l’ultimo paragrafo. Perché dovevano andare a prendere i figli a scuola. Alle quattro in punto.
[1] Il Carnegie Endowment for International Peace è una associazione di ricerca apartitica specializzata in politica estera, con uffici a Washington D.C., Mosca, Beirut, Pechino, Bruxelles e Nuova Delhi. Wikipedia (Fondatore Andrew Carnegie era un industriale e filantropo scozzese naturalizzato americano, famoso per aver costruito una delle società più potenti della storia statunitense e deceduto nel 1919).
[2] Famoso scrittore di saggi e di romanzi indiano che vive in America.
By mm
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