Articoli sul NYT

Porre fine alla ‘fine dello stato assistenziale per come lo conoscevamo’, di Paul Krugman (New York Times, 11 marzo 2021)

March 11, 2021

Ending the End of Welfare as We Knew It

By Paul Krugman

zz 898

The era of “the era of big government is over” is over.

The relief bill President Biden just signed is breathtaking in its scope. Yet conservative opposition was remarkably limp. While not a single Republican voted for the legislation, the rhetorical onslaught from right-wing politicians and media was notably low energy, perhaps because the Biden plan is incredibly popular. Even as Democrats moved to disburse $1.9 trillion in government aid, their opponents mainly seemed to be talking about Dr. Seuss and Mr. Potato Head.

What makes this lack of energy especially striking is that the American Rescue Plan doesn’t just spend a lot of money. It also embodies some big changes in the philosophy of public policy, a turn away from the conservative ideology that has dominated U.S. politics for four decades.

In particular, there is a sense — a strictly limited sense, as I’ll explain, but real nonetheless — in which the legislation, in addition to reviving the notion of government as the solution, not the problem, also ends the “end of welfare as we know it.”

Once upon a time there was a program called Aid to Families With Dependent Children — the program people usually had in mind when they talked about “welfare.” It was originally intended to support white widows while they raised their children, and it was effectively denied to both Black and unwed mothers. Over time, however, these restrictions were eroded, and the program rapidly expanded from the early 1960s to the early 1970s.

The program also became hugely unpopular. In part, of course, this reflected the race of many beneficiaries. But many commentators also blamed A.F.D.C. for creating a culture of dependency that was in turn responsible for the growing social ills of inner cities, although later scholarship, notably the work of William Julius Wilson, suggested that the real cause of these ills was the disappearance of urban jobs. (The social problems that have followed economic decline in much of the American heartland seem to confirm Wilson’s thesis.)

In any case, in 1996 Bill Clinton enacted reforms that both drastically reduced aid to the poor and imposed draconian work requirements, even on single mothers. Welfare as we knew it really did end.

But the American Rescue Plan Act, closely following proposals from Senator Michael Bennet, reinstates significant aid for children. Moreover, unlike most of the act’s provisions, this change (like enhanced Obamacare subsidies) is intended to outlast the current crisis; Democrats hope and expect that substantial payments to families with children will become a permanent part of the American scene.

So is “welfare” back? Not really.

A.F.D.C. was intended to provide mothers with enough to get by — barely — while raising their children. In 1970 three-person families on A.F.D.C. received, on average, $194 a month. Adjusting for inflation, that’s the equivalent of around $15,000 a year today, compared with the $6,000 a family with two children over age 6 ($7,200 if they’re under 6) will receive under the new plan.

Alternatively, it may be more informative to compare “welfare” payments with the incomes of typical families. In 1970, an A.F.D.C. family of three received about 25 percent of median income for three-person families — hardly a generous allowance, but maybe, just, enough to live on. The new legislation will give a single parent of two children less than 7 percent of median income.

On the other hand, the new program will be far less intrusive than A.F.D.C., which constantly required that parents prove their need; there were even cases where aid was cut off because a caseworker discovered an able-bodied man in the house, claiming that he could and should be supporting the children. The new aid will be unconditional for families earning less than $75,000 a year.

So no, this isn’t a return to welfare as we knew it; nobody will be able to live on child support. But it will sharply reduce child poverty. And it also, as I said, represents a philosophical break with the past few decades, and in particular with the obsessive fear that poor people might take advantage of government aid by choosing not to work.

True, some on the right are still flogging that horse. The ever-shrinking Marco Rubio denounced plans for a child tax credit as “welfare assistance.” Wonks at the American Enterprise Institute warned that some unmarried mothers might somewhat reduce working hours, although their estimate looks pretty small — and since when is working a bit less to spend time with your kids an unadulterated evil?

In any case, these traditional attacks, which used to terrify Democrats, no longer seem to be resonating. Clearly, something has changed in American politics.

To be honest, I’m not sure what provoked this change. Many expected major change under President Barack Obama, elected in the wake of a financial crisis that should have discredited free-market orthodoxy. But although he achieved a lot — especially Obamacare! — there wasn’t a big paradigm shift.

But now that shift seems to have arrived. And millions of American children will benefit.

 

Porre fine alla ‘fine dello stato assistenziale per come lo conoscevamo’, [1]

di Paul Krugman

 

E’ finita l’epoca nella quale si sosteneva che “l’epoca del grande Governo è finita”.

La legge sugli aiuti che il Presidente Biden ha appena sottoscritto è impressionante nella sua portata. Tuttavia l’opposizione conservatrice è stata fiacca. Mentre nessun repubblicano ha votato a favore della legge, la carica di retorica da parte dei politici e dei media della destra è stata considerevolmente floscia, forse perché il programma di Biden è incredibilmente popolare. Proprio mentre i democratici decidevano una spesa di 1900 miliardi di dollari di aiuti governativi, i loro oppositori sembravano principalmente occupati a parlare del Dr. Seuss e di Mr. Testa di Patata [2].

Quello che rende particolarmente sorprendente questa mancanza di energia è che il Piano del Soccorso Americano  non soltanto spende una grande quantità di soldi. Esso anche incarna alcuni grandi mutamenti nella filosofia della politica pubblica e volta le spalle all’ideologia conservatrice che ha dominato la politica statunitense per quattro decenni.

In particolare, c’è la sensazione – non molto di più che una sensazione, come spiegherò, ma nondimeno reale – che la legge, in aggiunta a ripristinare l’idea del governo come la soluzione dei problemi, e non come il problema, ponga anche termine alla “fine dello stato assistenziale per come lo conosciamo”.

A quei tempi esisteva un programma chiamato Aiuti alle famiglie con figli a carico (AFDC) – il programma che di solito le persone avevano in mente quando parlavano di “assistenza”. Originariamente era stato pensato per sostenere le donne bianche vedove che allevavano i loro figli, ed era di fatto interdetto sia alle donne di colore che alle nubili. Nel corso del tempo, tuttavia, queste restrizioni vennero superate, e il programma dai primi anni ’60 ai primi anni ’70 si ampliò rapidamente.

Il programma divenne anche molto impopolare. In parte, evidentemente, questo dipendeva dalla razza di molte beneficiarie. Ma molti commentatori davano all’AFDC la colpa di creare una cultura di dipendenza che a sua volta era responsabile delle crescenti malattie sociali dei quartieri poveri, sebbene ricerche successive, in particolare il lavoro di William Julius Wilson [3], indicarono che la causa vera di queste malattie era stata la scomparsa dei posti di lavoro urbani (i problemi sociali che hanno fatto seguito al declino economico in gran parte della zona centrale dell’America sembrano confermare la tesi di Wilson).

In ogni caso, nel 1996 Bill Clinton varò le riforme che ridussero in modo dratico l’aiuto ai poveri e imposero draconiani requisiti lavorativi, anche per le madri sole. L’assistenza come la conoscevamo ebbe effettivamente termine.

Ma la Legge del Piano Americano di Soccorso, seguendo alla lettera le proposte del Senatore Michael Bennet, reintroduce un aiuto significativo per i figli. Inoltre, diversamente dalla maggioranza delle disposizioni della legge, questo cambiamento (come i rafforzati sussidi della riforma sanitaria di Obama) è previsto che sopravviva alla crisi attuale; i democratici sperano e si aspettano che contributi sostanziali alle famiglie con figli diverranno una componente permanente della scena americana.

Dunque ritorna “l’assistenza”? Non proprio.

La AFDC era concepita per assegnare alle madri aiuti sufficienti a tirare avanti – non di più – mentre allevavano i loro figli. Nel 1970 famiglie di tre persone in carico all’AFDC ricevevano, in media, 194 dollari al mese. Adeguandolo all’inflazione, quello era il corrispettivo di circa 15.000 dollari all’anno, a confronto co i 6.000 dollari che una famiglia con due figli sopra i 6 anni (7.200 dollari se sono sotto i 6 anni) riceverà con il nuovo programma.

In alternativa, può essere più istruttivo confrontare i contributi della “assistenza” con i redditi delle famiglie tipiche. Nel 1970, una famiglia assistita dalla AFDC di tre persone riceveva circa il 25 per cento del reddito mediano delle famiglie di tre persone – non proprio una concessione generosa, ma forse appena sufficiente per tirare a campare. La nuova legge darà ad un genitore solo di due bambini meno del 7 per cento del reddito mediano.

D’altra parte, il nuovo programma sarà molto meno intrusivo della AFD, che richiedeva in continuazione che i genitori dimostrassero la loro condizione di bisogno; ci furono persino casi nei quali l’aiuto venne tagliato perché l’assistente sociale aveva scoperto nella casa un uomo di robusta costituzione, sostenendo che egli avrebbe potuto e dovuto sostenere i bambini. Il nuovo aiuto sarà senza condizioni per le famiglie che guadagnano meno di 75.000 dollari all’anno.

Dunque no, questo non è un ritorno all’assistenza che conoscevamo; nessuno sarà nelle condizioni di campare sul sostegno ai bambini. Ma esso ridurrà drasticamente la povertà infantile. Ed esso rappresenta, come ho detto, una rottura concettuale con i passati decenni, e in particolare con la paura ossessiva che i poveri possano avvantaggiarsi degli aiuti pubblici scegliendo di non lavorare.

È vero, alcuni a destra stanno ancora pestando l’acqua in quel mortaio. L’immarcescibile Marco Rubio ha denunciato i programmi per un credito di imposta sui figli come “assistenzialismo”. Gli esperti dell’ American Enterprise Institute hanno messo in guardia che alcune madri non sposate potrebbero in qualche modo ridurre le ore di lavoro, sebbene le loro stime sembrino abbastanza modeste – e poi da quando lavorare un po’ di meno per prendersi cura dei propri figli è un male assoluto?

In ogni caso, questi attacchi tradizionali, che un tempo terrorizzavano i democratici, sembra che non facciano più effetto. Chiaramente, qualcosa è cambiato nella politica americana.

Ad essere onesto, io non sono sicuro di cosa abbia provocato questo cambiamento. Molti si aspettavano un importante cambiamento con il Presidente Barack Obama, eletto all’indomani di una crisi finanziaria che doveva aver screditato l’ortodossia del libero mercato. Ma per quanto egli realizzò molte cose – in particolare la riforma sanitaria! – non ci fu un cambio di paradigma.

Ma ora quel cambio sembra essere arrivato. E milioni di bambini americani ne trarranno beneficio.

 

 

 

 

 

 

 

[1] Il giro di parole è obbligato, perché la frase “fine dello Stato assistenziale per come lo conosciamo” è in realtà un episodio dalla storia statunitense.

Essa venne pronunciata da Bill Clinton nell’agosto del 1996, quando annunciò la prossima approvazione di una legge che – in coerenza con i suoi impegni elettorali – avrebbe posto fine ad “un sistema guasto nel quale troppi americani sono nella trappola di un ciclo di dipendenza, verso un sistema che mette l’accento sul lavoro e sull’indipendenza”. Quindi la fine dello Stato assistenziale come si conosceva venne dichiarata da un Presidente democratico, ed oggi – questa è la tesi – viene messa da parte da un altro Presidente democratico.

[2] Dr. Seuss è uno scrittore e disegnatori di fumetti americano, da molti anni. Dopo che il giocattolo Mr. Testa di Patata era finito al centro delle polemiche, per la decisione dei suoi produttori di trasformarlo in un pupazzetto “no gender” (ovvero, suppongo, di farne versioni sia maschili che femminili, dato che la specialità del gioco era di essere una semplice patatina di plastica, alla quale si potevano applicare occhi, naso, bocca etc. sino a trasformarlo in un “Mr.”), anche il fumettista è finito nella polemica della destra. Che ha paventato, Fox News in testa, una censura liberal anche su alcune sue produzioni.

[3] William Julius Wilson è un sociologo statunitense nato nel 1935, che ha insegnato all’Università di Chicago, dal 1972 al 1996, e poi a quella di Harvard. I suoi studi sulla povertà, particolarmente sulle condizioni degli afroamericani, hanno contribuito in particolare a mettere in evidenza la complessa interazione di fenomeni politici e culturali – la cultura dei ghetti e l’intera storia dei diritti civili – e di fenomeni socioeconomici, quali quelli della evoluzione di molte metropoli americane, che hanno conosciuto grandi fenomeni di decentramento dell’occupazione. Tra l’altro mostrò come il fenomeno delle donne afroamericane sole e con figli spesso derivasse semplicemente dalla resistenza delle donne di colore a riconoscere i padri dei loro figli attraverso regolari matrimoni, sinché i padri non potevano mantenere una famiglia con redditi almeno paragonabili agli aiuti delle famiglie di origine.

zz 516

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"