April 8, 2021
By Paul Krugman
In the summer of 2016, Ireland’s Central Statistical Office reported something astonishing: The small nation’s gross domestic product had risen 26 percent in the previous year (a number that would later be revised upward). It would have been an amazing achievement if the growth had actually happened.
But it hadn’t, as government officials acknowledged from the beginning. It was, instead, an illusion created by corporate tax games. At the time, I dubbed it “leprechaun economics,” a coinage that has stuck; luckily, the Irish have a sense of humor about themselves.
What really happened? Ireland is a tax haven, with a very low tax rate on corporate profits. This gives multinational corporations an incentive to create Irish subsidiaries, then use creative accounting to ensure that a large share of their reported global profits accrue to those subsidiaries.
In 2015 a few big companies appear to have gotten even more aggressive about their profit-shifting, which led to a surge in the value of production they reported doing in Ireland — a surge that didn’t correspond to anything real.
To understand the big corporate tax reform proposed by the Biden administration, what you need to know is that it’s all about the leprechauns.
One way to think about the huge corporate tax cut Republicans rammed through in 2017 is that its underlying premise was that the leprechauns were real. That is, the tax cut’s architects insisted that corporations had been moving operations abroad to avoid U.S. taxes, and that slashing those taxes would bring millions of jobs back home.
It didn’t happen. In fact, the tax cut had no visible effect on business investment, probably because it was addressing a fake problem. U.S. corporations hadn’t been moving jobs overseas to avoid taxes; they had just been avoiding taxes.
The true impact — or actually lack of impact — of profit taxes on business decisions becomes obvious if you look at where corporations report big overseas earnings.
If they were truly responding to taxes by making large foreign investments that eliminated American jobs, we’d expect to see a lot of their profits coming from major production centers like Germany or China. Instead, more than half of the profits U.S. corporations report from overseas investments come from tiny tax havens, including places like Bermuda and the Cayman Islands where they have no real business at all.
By the way, this isn’t just an American problem. The International Monetary Fund estimates that about 40 percent of the world’s foreign direct investment — basically corporate cross-border investment, as opposed to “portfolio” purchases of stocks and bonds — is “phantom” investment, accounting fictions set up to avoid taxes. That’s why on paper Luxembourg, with just 600,000 people, hosts more foreign investment than the United States does.
So the real problem with U.S. corporate tax policy isn’t loss of jobs, it’s loss of revenue — and the Trump tax cut made that problem worse.
For the most part the Biden administration’s Made in America Tax Plan is an effort to reclaim the revenue lost both as a result of profit-shifting and as a result of the Trump tax cut, in order to help pay for large-scale public investment.
As the plan’s name suggests, the administration’s experts — at this point it’s hard to find a tax expert who hasn’t joined the Biden team — do believe that there are aspects of the U.S. tax code that have created an incentive to move jobs abroad. But they see the problem as the consequence of details of the tax code rather than the overall burden of taxation.
And while they believe that tax reform can improve incentives to invest in America, the main focus of the plan — even of things like the proposal for a 21 percent minimum tax rate on overseas profits, emphasized by Janet Yellen, the Treasury secretary — isn’t on these incentives so much as on increasing revenue from the corporate profits tax, which falls mainly on the wealthy and on foreigners, and is at a historical low as a percentage of G.D.P.
What about warnings from corporate groups that raising taxes on corporations would have dire economic consequences? Well, they would say that, wouldn’t they? And if raising taxes would have such a negative effect, why did cutting taxes fail to produce any visible positive results?
The corporate tax plan, then, looks like a really good idea. In part that’s because President Biden, unlike his predecessor, has hired people who know what they’re talking about. And it also marks a welcome break with the ideology that says that the only way we can help American workers is indirect action: cutting taxes on corporations and the wealthy in the hope that they’ll somehow deliver a pot of gold at the end of the rainbow.
What the Biden team seems to have concluded, instead, is that the way to create jobs is to create jobs, mainly through public investment, rather than by chasing unicorns and leprechauns. To the (partial) extent that direct job creation must be paid for with new taxes, the new taxes should be imposed on those who can afford to pay.
Refreshing, isn’t it?
Biden, Yellen e la guerra sui folletti,
di Paul Krugman
Nell’estate del 2016, l’Ufficio Centrale di Statistica dell’Irlanda riferì qualcosa di stupefacente: il prodotto interno lordo della piccola nazione era cresciuto del 26 per cento nell’anno precedente (un dato che in seguito sarebbe stato rivisto al rialzo). Sarebbe stato un risultato incredibile se la crescita fossa effettivamente avvenuta.
Ma non era avvenuta, come riconobbero sin dall’inizio le autorità governative. Era, invece, una illusione creata dalle manipolazioni fiscali delle società. A quel tempo, diedi a tutto ciò il nomignolo di “economia dei folletti”, un neologismo che ebbe successo; per fortuna gli irlandesi hanno senso dell’umorismo verso se stessi.
Cosa era accaduto realmente? L’Irlanda è un paradiso fiscale, con una aliquota fiscale molto bassa sui profitti delle società. Questo offre alle corporazioni internazionali un incentivo a creare sussidiarie irlandesi, poi a utilizzare creativamente la contabilità per fare in modo che una ampia quota dei profitti globali realizzati affluisca a quelle sussidiarie.
Nel 2015 sembra che alcune grandi società siano diventate persino più aggressive nei loro spostamenti di profitti, il che ha portato ad una crescita del valore della produzione che esse denunciano di fare in Irlanda – una crescita che non corrisponde per niente alla realtà.
Per comprendere la grande riforma delle tasse sulle società proposta dalla Amministrazione Biden, quello che si deve sapere è che essa riguarda per intero i folletti.
Un modo di considerare il grande taglio delle tasse che i repubblicani fecero approvare nel 2017 è che la sua implicita premessa era che i folletti fossero una realtà. Ovvero, gli architetti del taglio delle tasse insistevano che le società stavano spostando all’estero operazioni per evitare le tasse statunitensi, e che tagliare quelle tasse avrebbe riportato a casa milioni di posti di lavoro.
Non accadde. Di fatto, il taglio delle tasse non ebbe alcun effetto visibile sugli investimenti delle imprese, probabilmente perché si stava affrontando un falso problema. Le società statunitensi non stavano spostando posti di lavoro oltreoceano per evitare le tasse; stavano semplicemente evadendo le tasse.
Il vero impatto – in realtà, la assenza di impatto – delle tasse dei profitti sulle decisioni di impresa diventa evidente se si guarda a dove le società riferiscono i grandi guadagni all’estero.
Se esse davvero reagissero alle tasse realizzando grandi investimenti che hanno eliminato posti di lavoro americani, ci si aspetterebbe che una gran parte dei loro profitti provenga da importanti centri di produzione come la Germania o la Cina. Invece, più della metà dei profitti delle società statunitensi risultano da investimenti provenienti da minuscoli paradisi fiscali, inclusi posti come le Bermuda o le Isole Cayman dove non hanno affatto alcuna attività reale.
Per inciso, questo non è solo un problema americano. Il Fondo Monetario Internazionale stima che circa un 40 per cento degli investimenti diretti stranieri – fondamentalmente investimenti oltre confine delle società, distinti dagli acquisti di “portafoglio” di azioni e di obbligazioni – sono investimenti “fantasma”, finzioni contabili organizzate per evadere le tasse. Questa è la ragione per la quale il Lussemburgo, con sole 600.000 persone, ospita più investimenti stranieri di quanto facciano gli Stati Uniti.
Dunque il vero problema della politica fiscale degli Stati Uniti non è la perdita di posti di lavoro, è la perdita di entrate – e il taglio delle tasse di Trump ha aggravato quel problema.
Per la maggior parte il Piano Fiscale ‘made in America’ della Amministrazione Biden è uno sforzo per riappropriarsi delle entrate perdute sia in conseguenza degli spostamenti dei profitti che del taglio delle tasse di Trump, allo scopo di contribuire a pagare investimenti pubblici su larga scala.
Come il nome del piano indica, gli esperti della Amministrazione – siamo al punto che è difficile trovare un esperto di tasse che non sia approdato alla squadra di Biden – credono che ci siano davvero aspetti del codice fiscale statunitense che hanno creato un incentivo a spostare posti di lavoro all’estero, ma considerano il problema come la conseguenza di dettagli del codice fiscale anziché del peso complessivo della tassazione.
E mentre credono che la riforma fiscale possa migliorare gli incentivi a investire in America, la principale attenzione del piano – persino rispetto a cose come la proposta di una aliquota fiscale minima del 21 per cento sui profitti all’estero, enfatizzata da Janet Yellen, la Segretaria al Tesoro – non è tanto su questi incentivi quanto su un aumento delle entrate dalle tasse sui profitti delle società, che sono in calo principalmente sui ricchi e sugli stranieri, e sono come percentuale del PIL ai minimi storici.
Che dire degli ammonimenti da parte di gruppi societari secondo i quali aumentare le tasse sulle imprese avrebbe conseguenze economiche terribili? Ebbene, si sapeva che l’avrebbero detto, non è così? E se aumentare le tasse avrebbe un tale effetto negativo, perché tagliarle non è riuscito e produrre alcun risultato visibile?
Il piano fiscale per le società, dunque, sembra proprio una buona idea. In parte dipende dal fatto che il Presidente Biden, diversamente dal suo predecessore, ha assunto persone che sanno di cosa parlano. E segnala anche una rottura benvenuta con l’ideologia che dice che il solo modo di aiutare i lavoratori emericani è l’iniziativa indiretta: tagliare le tasse sulle società e sui ricchi nella speranza che essi in qualche modo riconsegnino la pentola d’oro alla fine dell’arcobaleno [1].
La conclusione alla quale, invece, sembra sia arrivata la squadra di Biden, è che il modo per creare posti di lavoro è creare posti di lavoro, principalmente attraverso investimenti pubblici, anziché inseguendo unicorni e folletti. Nella misura (parziale) nella quale la creazione diretta di posti di lavoro può essere finanziata con nuove tasse, le nuove tasse dovrebbero essere imposte a coloro che possono permettersi di pagarle.
Pensiero tonificante, non è così?
[1] La storia – che anch’essa deriva dalla tradizione nordica delle favole sugli gnomi – è che dove finisce un arcobaleno si trova una pentola d’oro, con un folletto che fa la guardia al tesoro.
By mm
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