BERKELEY – In 2009, in the midst of the global financial crisis, Paul Volcker, the former Federal Reserve chair, famously observed that the only socially productive financial innovation of the preceding 20 years was the automated teller machine. One wonders what Volcker would make of the tsunami of digitally enabled financial innovations today, from mobile payment platforms to internet banking and peer-to-peer lending.
Volcker might be reassured: like the humble ATM, many of these innovations have tangible benefits in terms of lowering transactions costs. But as a critic of big financial firms, Volcker presumably also would worry about the entry of some very large technology companies into the sector. Their names are as familiar as their services are ubiquitous: e-commerce behemoth Amazon in the United States, messaging company Kakao in Korea, on-line auction and commerce platform Mercado Libre in Latin America, and the Chinese technology giants Alibaba and Tencent.
These entities now do virtually everything related to finance. Amazon extends loans to small and medium-size businesses. Kakao offers the full range of banking services. Alibaba’s Ant Financial and Tencent’s WeChat provide a cornucopia of financial products, having expanded so rapidly that they recently became targets of a Chinese government crackdown.
The challenges for regulators are obvious. Where a single company channels payments for the majority of a country’s population, as does M-Pesa in Kenya, for example, its failure could crash the entire economy. Regulators must therefore pay close attention to operational risks. They must worry about the protection of customer data – not just financial data but also other personal data to which Big Tech companies are privy.
Moreover, the Big Tech firms, because of their ability to harvest and analyze data on consumer preferences, have an enhanced ability to target their customers’ behavioral biases. If those biases cause some borrowers to take on excessive risk, Big Tech will have little reason to care if it is merely providing technology and expertise to a partner bank. This moral hazard is why Chinese regulators now require the country’s Big Techs to use their own balance sheets to fund 30% of any loan extended via co-lending partnerships.
Governments also have laws and regulations to prevent providers of financial products from discriminating on the basis of race, gender, ethnicity, and religion. The challenge here is distinguishing between price discrimination based on group characteristics and price discrimination based on risk.
Traditionally, regulators require credit providers to list the variables that form the basis for lending decisions so that the regulators can determine whether the variables include prohibited group characteristics. And they require lenders to specify the weights attached to the variables so that they can establish whether lending decisions are uncorrelated with ethnic or racial characteristics once conditioned on those other measures. But as Big Tech companies’ artificial intelligence-based algorithms replace loan officers, the variables and weights will be changing continuously with the arrival of new data points. It’s not obvious that regulators can keep up.
In algorithmic processes, moreover, the source of bias can vary. The data used to train the algorithm may be biased. Alternatively, the training itself may be biased, with the AI algorithm “learning” to use the data in biased ways. Given the black-box nature of algorithmic processes, the location of the problem is rarely clear.
Finally, there are risks to competition. Banks and fintechs rely on cloud computing services operated by the Big Tech firms, rendering them dependent on their most formidable competitors. Big Techs can also cross-subsidize their financial businesses, which are only a small part of what they do. By providing a range of interlocking services, they can prevent their customers from switching providers.
Regulators have responded with open banking rules requiring financial firms to share their customer data with third parties when customers consent. They have authorized the use of application programming interfaces that allow third-party providers to plug directly into financial websites to obtain customer data.
It is not clear that this is enough. Big Techs can use their platforms to generate large amounts of customer data, employ it in training their AI algorithms, and identify high-quality loans more efficiently than competitors lacking the same information. Customers may be able to move their financial data to another bank or fintech, but what about their nonfinancial data? What about the algorithm that has been trained up using one’s data and that of other customers? Without this, digital banks and fintechs won’t be able to price and target their services as efficiently as the Big Techs. Problems of consumer lock-in and market dominance won’t be overcome.
In an old parable about banks and regulators, the banks are greyhounds – they run very fast. The regulators are bloodhounds, slow afoot but faithfully on the trail. In the age of the platform economy, the bloodhounds are going to have to pick up the pace. Given that only three central banks report having dedicated fintech departments, there is reason to worry that they will lose the scent.
La sfida della finanza della Grande Tecnologia,
di Barry Eichengreen
BERKELEY – Nel 2009, nel mezzo della crisi finanziaria globale, Paul Volcker, il passato Presidente della Federal Reserve, osservò notoriamente che l’unica innovazione finanziaria socialmente produttiva dei venti anni precedenti era stato lo sportello bancomat automatizzato. Ci si chiede cosa Volcker avrebbe pensato dello tsunami delle odierne innovazioni finanziarie in funzione, dalle piattaforme dei pagamenti mobili all’internet banking e ai prestiti in una ‘rete paritaria’ [1].
Forse Volcker sarebbe rassicurato: come un umile sportello Bancomat, molte di queste innovazioni hanno benefici concreti in termini di abbassamento dei costi delle transazioni. Ma come critico delle grandi imprese finanziarie, presumibilmente Volcker si preoccuperebbe anche per l’ingresso nel settore di alcune società del settore dotate di grande tecnologia. I loro nomi ci sono familiari dato che i loro servizi sono onnipresenti: negli Stati Uniti il colosso del commercio via internet Amazon, in Corea la società di messaggistica Kakao, in America Latina la piattaforma on-line per le aste e il commercio Mercado Libre, e i giganti cinesi della tecnologie Alibaba e Tencent.
Adesso questi soggetti fanno sostanzialmente ogni cosa connessa con la finanza. Amazon fornisce prestiti alle imprese di dimensioni piccole e medie. Kakao offre l’intera gamma dei servizi bancari. Ant Financial di Alibaba e Wechat di Tencent forniscono una cornucopia di prodotti finanziari, che si è ampliata così rapidamente da divenire di recente obbiettivo di un giro di vite del Governo cinese.
Le sfide per i regolatori sono evidenti. Laddove una società incanala i pagamenti della popolazione di un paese, come ad esempio fa M-Pesa in Kenia, il suo fallimento potrebbe portare al crollo dell’intera economia. Di conseguenza i regolatori devono prestare attenzione ai rischi operativi. Debbono preoccuparsi della protezione dei dati degli utenti – non solo dei dati finanziari ma anche dei dati personali dei quali le società della Grande Tecnologia sono al corrente.
Inoltre, le imprese della Grande Tecnologia, a causa della loro capacità di raccogliere e analizzare i dati sulle preferenze dei consumatori, hanno una accresciuta capacità di concentrarsi sulle tendenze nei comportamenti dei loro utenti. Se queste tendenze spingono alcuni di coloro che prendono prestiti ad assumere rischi eccessivi, le società tecnologiche hanno poche ragioni di preoccuparsene se stanno semplicemente fornendo tecnologie e competenza ad una banca associata. L’ “azzardo morale” è la ragione per la quale i regolatori cinesi stanno adesso chiedendo alle società della Grande Tecnologia del paese di usare i loro equilibri patrimoniali per finanziare il 30% di ogni prestito fornito tramite una cooperazione nella concessione.
Anche i Governi devono darsi leggi e regolamenti per impedire che i fornitori di prodotti finanziari discriminino sulla base di criteri di razza, di genere, di etnia e di religione. La sfida in questo caso sta nel distinguere tra una discriminazione sul prezzo basata sulle caratteristiche di un gruppo e quella basata sul rischio.
Tradizionalmente, i regolatori chiedono a chi somministra credito di elencare le variabili che costituiscono la base delle decisioni sui prestiti, in modo tale che i regolatori possano accertare se le variabili includono caratteristiche non ammesse relative ai gruppi sociali. Essi chiedono inoltre a coloro che fanno prestiti di specificare i pesi attribuiti alle variabili in modo da poter stabilire che le decisioni sui prestiti non siano in relazione con caratteristiche etniche o razziali, qualora condizionate da quegli altri criteri di valutazione. Ma allorché gli algoritmi basati sull’intelligenza artificiale delle società della Grande Tecnologia sostituiscono gli operatori sui prestiti, le variabili e i pesi verranno in continuazione modificati con l’arrivo di nuovi dati. Non è così chiaro come i regolatori possano tenersi al passo. Inoltre, nei processi algoritmici, la fonte delle inclinazioni può variare. I dati utilizzati per addestrare l’algoritmo possono avere le loro propensioni. In alternativa, l’addestramento stesso può essere fazioso, con l’algoritmo della Intelligenza Artificiale che “impara” ad usare i dati in modi tendenziosi. Data la natura da “scatola nera” dei processi algoritmici, raramente è chiara la localizzazione del problema.
Infine, ci sono i rischi per la competizione. Le banche e le società della tecnofinanza si basano su servizi di cloud computing [2] messi in funzione dalle imprese della Grande Tecnologia, che le rendono dipendenti dai loro formidabili competitori. Le imprese della Grande Tecnologia possono anche fornire sussidi incrociati alle loro imprese finanziarie, che sono solo una piccola parte delle loro attività. Fornendo una gamma di servizi ad incastro, esse possono impedire che i loro utenti cambino i fornitori.
I regolatori hanno risposto con regole bancarie aperte che richiedono alle imprese finanziarie di condividere i dati sui loro utenti con terze parti quando gli utenti lo consentono. Hanno autorizzato l’uso di interfaccia nella programmazione delle applicazioni che consentono ai fornitori delle terze parti di inserirsi direttamente nei siti finanziari per ottenere i dati degli utenti.
Non è chiaro se questo sia sufficiente. Le società della Grande Tecnologia possono usare le loro piattaforme per generare ampie quantità di dati degli utenti, e identificare i prestiti di alta qualità con maggiore efficienza dei competitori che mancano di tali informa zioni. Gli utenti possono essere capaci di spostare i dati finanziari ad un’altra banca o società di tecnofinanza, ma cosa accadrà dei loro dati non finanziari? Cosa accadrà all’algoritmo che è stato predisposto a utilizzare i dati di una persona e quello di altri utenti? Senza di ciò, le banche digitali e le società della tecnofinanza non saranno capaci di fissare i prezzi e di dirigere i loro servizi con altrettanta efficienza delle società della Grande Tecnologia. I problemi del percorso obbligato per gli utenti e del predominio sul mercato non saranno superati.
In una vecchia parabola sulle banche e sui regolatori, le banche sono come levrieri – corrono molto velocemente. I regolatori sono segugi, di passo lento ma fedeli nei loro percorsi. Nell’epoca dell’economia delle piattaforme, i segugi sono destinati a darsi una mossa. Dato che soltanto tre banche centrali hanno dipartimenti specializzati nella tecnofinanza, c’è ragione di preoccuparsi che esse perderanno le tracce.
[1] Il “peer-to-peer” riguarda la condivisione di file o di altre risorse tra computer senza in ricorso ad un server centrale. Letteralmente “da simile a simile”, o “da punto a punto”. Viene anche tradotto con “rete paritaria”.
[2] Il cloud computing (in italiano nuvola informatica) indica, in informatica, un paradigma di erogazione di servizi offerti su richiesta da un fornitore a un cliente finale attraverso la rete internet (come l’archiviazione, l’elaborazione o la trasmissione dati), a partire da un insieme di risorse preesistenti, configurabili e disponibili in remoto sotto forma di architettura distribuita. Le risorse non vengono pienamente configurate e messe in opera dal fornitore appositamente per l’utente, ma gli sono assegnate, rapidamente e convenientemente, grazie a procedure automatizzate, a partire da un insieme di risorse condivise con altri utenti lasciando all’utente parte dell’onere della configurazione. Quando l’utente rilascia la risorsa, essa viene similmente riconfigurata nello stato iniziale e rimessa a disposizione nell’insieme condiviso delle risorse, con altrettanta velocità ed economia per il fornitore. La correttezza nell’uso del termine è contestata da molti esperti: se Rob van der Meulen e Christy Pettey vedono queste tecnologie come un’evoluzione tecnologica offerta dalla rete internet, altri, come Richard Stallman, le considerano invece come una parola ingannevole ideata dalla commercializzazione per far cadere gli utenti nel tranello dei software offerti come servizio, che spesso li privano del controllo delle loro attività informatiche. Wikipedia.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"