April 12, 2021
By Paul Krugman
Labor activists hoped that the unionization vote at Amazon’s Bessemer, Ala., warehouse would be a turning point, a reversal in the decades-long trend of union decline. What the vote showed, instead, was the continuing effectiveness of the tactics employers have repeatedly used to defeat organizing efforts.
But union advocates shouldn’t give up. The political environment that gave anti-union employers a free hand may be changing — the decline of unionization was, above all, political, not a necessary consequence of a changing economy. And America needs a union revival if we’re to have any hope of reversing spiraling inequality.
Let’s start by talking about why union membership declined in the first place, and why it’s still possible to hope for a revival.
America used to have a powerful labor movement. Union membership soared between 1934 and the end of World War II. During the 1950s roughly a third of nonagricultural workers were union members. As late as 1980 unions still represented around a quarter of the work force. And strong unions had a big impact even on nonunion workers, setting pay norms and putting nonunion employers on notice that they had to treat their workers relatively well lest they face an organizing drive.
But union membership plunged, especially in the private sector, during the 1980s, and has continued to fall ever since.
Why did this happen? I often encounter assertions that the decline was inevitable in the face of automation and globalization — basically, that unions couldn’t deliver higher wages once employers had the option of replacing uppity workers with robots or moving production overseas. But the evidence suggests otherwise.
Although we talk a lot about robots these days, technological progress was actually faster during the high tide of unionization than it has been in recent years; output per worker hour rose almost twice as quickly from 1947 to 1973 as it has since 2007. That didn’t stop unions from having a big influence on wages.
The impact of globalization is also often overrated. Around three-quarters of employment in advanced countries is in “nontradable” activities that can’t be moved overseas, a proportion that hasn’t changed much over time.
In fact, Amazon is a case in point: While many of the goods you can buy online are imported, Amazon’s market position rests on a huge system of warehouses — like Bessemer — that employs hundreds of thousands of workers. And those warehouses can’t be moved overseas; their whole purpose is to maintain inventories close to major markets, so that Amazon can deliver things in a matter of days.
If the service sector were unionized, then, employers wouldn’t find it easy to replace empowered workers with robots or offshore production. Indeed, other advanced economies like Denmark, which are every bit as globalized as we are, still have largely unionized work forces; even Canada retains a much larger union movement than we do.
Why are unions in America so weak? While the details are in dispute, U.S. politics took a sharp anti-union turn under Ronald Reagan, encouraging employers to play hardball against union organizers. This meant that as the center of gravity of the U.S. economy shifted from manufacturing to services, workers in the growing sectors were left largely un-unionized.
And this decline in unionization has had dire consequences. In their heyday, unions were a powerful force for equality; their influence reduced the overall inequality of wages and also reduced wage disparities associated with different levels of education and even race. Surging union membership appears to have been a key factor in the “Great Compression,” the rapid reduction in inequality that took place between the mid-1930s and 1945, turning America into a middle-class nation.
Conversely, the decline of unions has played a big role in rising inequality and wage stagnation. And workers have lost bargaining power as weak antitrust policies have allowed corporations to gain ever more market power.
One more thing: We don’t need strong unions just to level the economic playing field. We also need them to level the political playing field.
While it’s heartening to see the Biden administration proposing a rollback of Trump-era giveaways to corporations, it’s still true that big money has vast political influence. It’s not simply a matter of campaign contributions. Corporate interests also get to set the terms of debate through their ability to offer lucrative jobs to former politicians and officials, their lavish support for friendly think tanks, and more.
Organized labor used to provide a counterweight to corporate influence. Unions were never in a position to match corporate dollar power, but they could offer people power — the ability to mobilize their members and their members’ friends and neighbors in a way corporations couldn’t. And we need that kind of countervailing power more than ever.
So let’s hope that labor activists treat Bessemer as a learning experience, not cause for despair. We still need to get strong unions back.
Restituire potere ai lavoratori è un bisogno dell’America,
di Paul Krugman
Gli attivisti del lavoro speravano che il voto sulla sindacalizzazione nello stabilimento di Amazon di Bessemer, Alabama [1], sarebbe stato un punto di svolta, una inversione della tendenza al declino del sindacato che dura da decenni. Quello che il voto ha mostrato, invece, è stata la perdurante efficacia delle tattiche che i datori di lavoro hanno più volte messo in atto per sconfiggere gli sforzi organizzativi.
Ma i sostenitori del sindacato non dovrebbero darsi per vinti. Forse il contesto politico che ha dato mano libera ai datori di lavoro anti sindacali sta cambiando – il declino della sindacalizzazione è stato, soprattutto, politico, non una conseguenza necessaria dei mutamenti economici. E l’America ha bisogno di una rinascita sindacale per avere una qualche speranza di invertire la spirale dell’ineguaglianza.
L’America aveva un movimento del lavoro potente. Tra il 1934 e la fine della Seconda Guerra Mondiale la adesione al sindacato salì in alto. Durante gli anni ’50 circa un terzo dei lavoratori non agricoli erano membri del sindacato. Non più tardi del 1980 i sindacati rappresentavano ancora circa un quarto della forza lavoro. E sindacati forti avevano un forte impatto persino sui lavoratori non aderenti ai sindacati, stabilendo regole salariali e ammonendo i datori di lavoro ostili ai sindacati che dovevano trattare dignitosamente i loro lavoratori, se non volevano fare i conti con una spinta all’organizzazione.
Ma durante gli anni ’80 la adesione al sindacato crollò, particolarmente nel settore privato, e da allora ha continuato a calare.
Perché è accaduto? Mi imbatto spesso in giudizi secondo i quali il declino era inevitabile a fronte della automazione e della globalizzazione – fondamentalmente, che i sindacati non potevano permettere salari più alti una volta che i datori di lavoro avevano la possibilità di rimpiazzare con i robot i lavoratori più determinati o di spostare le produzioni all’estero. Ma i fatti suggeriscono altro.
Sebbene di questi tempi si parli tanto di robot, il progresso tecnologico fu in effetti più veloce durante l’onda alta di sindacalizzazione che negli anni recenti; il prodotto orario per lavoratore crebbe quasi due volte più rapidamente dal 1947 al 1973 di quanto non sia cresciuto dal 2007. Ciò non impedì ai sindacati di avere grande influenza sui salari.
Anche l’impatto della globalizzazione viene spesso sopravvalutato. Circa tre quarti dell’occupazione nei paesi avanzati riguarda attività “non commerciabili” che non possono essere spostate oltreoceano, una proporzione che non è cambiata molto nel tempo.
Di fatto, il caso di Amazon ne è un esempio: mentre molti beni che si possono acquistare online sono importati, la posizione di mercato di Amazon si basa su un vasto sistema di magazzini – come a Bessemer – che occupa centinaia di migliaia di lavoratori. E quegli stabilimenti non possono essere spostati oltreoceano; il loro intero scopo è mantenere le scorte in magazzini vicini ai mercati importanti, in modo tale che Amazon possa consegnare i prodotti i pochi giorni.
Se il settore dei servizi fosse sindacalizzato, dunque, per i datori di lavoro non sarebbe semplice sostituire i lavoratori emancipati con robot o con produzioni all’estero. Infatti, altre economia avanzate come la Danimarca, che sono altrettanto globalizzate di quanto lo siamo noi, hanno ancora forze di lavoro ampiamente sindacalizzate; persino il Canada conserva un movimento sindacale molto più ampio del nostro.
Perché i sindacati in America sono così deboli? Mentre i dettagli della questione sono assai discussi, è indubbio che la politica statunitense ebbe una brusca svolta antisindacale con Ronald Reagan, che incoraggiò i datori di lavoro a fare un gioco pesante contro gli organizzatori dei sindacati. Questo ha comportato che quando il centro i gravità dell’economia statunitense si è spostato dalla manifattura ai servizi, i lavoratori dei settori in crescita sono stati lasciati in buona parte non sindacalizzati.
E questo declino nella sindacalizzazione ha avuto conseguenze terribili. I sindacati, nel loro periodo di massima prosperità, furono una forza potente per l’eguaglianza; la loro influenza ridusse l’ineguaglianza complessiva dei salari e ridusse le disparità connesse con livelli diversi di istruzione ed anche di razza. La crescente adesione al sindacato fu una fattore cruciale della “Grande Compressione”, la rapida riduzione dell’ineguaglianza che ebbe luogo tra la metà degli anni ’30 e il 1945, trasformando l’America in una nazione di classe media.
Di converso, il declino dei sindacati ha avuto un grande peso nella crescente ineguaglianza e nella stagnazione salariale. Inoltre, i lavoratori hanno perso potere contrattuale mentre deboli politiche antitrust consentivano alle società di guadagnare sempre maggiore potere di mercato.
Un altro aspetto: non abbiamo bisogno di sindacati forti soltanto per rendere equo il campo di gioco dell’economia. Ne abbiamo anche bisogno per rendere più equo il campo di gioco della politica.
Mentre è confortante vedere l’Amministrazione Biden proporre il ritiro dei regali dell’epoca di Trump alle grandi società, è ancora vero che il grande capitale ha tuttora una vasta influenza politica. Non è soltanto una questione di contributi alle campagne elettorali. Gli interessi delle società possono anche fissare i termini del dibattito attraverso la loro capacità di offrire posti di lavoro redditizi ai passati politici e dirigenti, il loro generoso sostegno ai gruppi di esperti amici, e altro ancora.
Il lavoro organizzato costituiva un contrappeso all’influenza delle grandi società. I sindacati non sono mai stati nella condizione di bilanciare il potere in dollari delle grandi società, ma potevano offrire potere alla gente – la capacità di mobilitare i loro componenti e gli amici e i vicini dei loro soci in un modo che risultava impossibile alle grandi corporazioni. E più che mai abbiamo bisogno di quel genere di potere di compensazione.
Speriamo dunque che gli attivisti del lavoro considerino Bessemer come una esperienza istruttiva, non come un motivo di disperazione. Abbiamo ancora bisogno di recuperare sindacati forti.
[1] Una cittadina con meno di 30.000 abitanti che è diventata di recente famosa per una lotta dei lavoratori di Amazon che mirava alla costituzione di un sindacato aziendale.
By mm
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