May 13, 2021
By Paul Krugman
So, should President Biden scrap his economic agenda because Americans are rushing to buy used cars?
OK, I’m being a bit snarky here, but only a bit. That’s pretty much what economists trying to draw big conclusions based on Wednesday’s inflation report from the Bureau of Labor Statistics are saying.
It’s true that while almost everyone was expecting a spike in consumer prices, the actual spike was bigger than expected. The one-year inflation rate went above 4 percent, surpassing its previous recent peak, in 2011.
It’s not silly to ask whether unexpectedly high inflation means that the economy has less room to run than both the Biden administration and the Federal Reserve have been assuming; that could be true, and if it were, Biden’s spending plans might be excessive and the Fed might need to consider raising interest rates sooner rather than later.
But neither the details of that report nor recent history support those concerns; they suggest, on the contrary, that policymakers should keep their cool. This doesn’t look at all like 1970s stagflation redux; it looks like a temporary blip, reflecting transitory disruptions as the economy struggles to recover from pandemic disruptions. And history tells us that it’s a very bad idea for policymakers to panic in the face of such a blip.
To see why, let’s revisit what happened in 2011, the last time we saw this kind of inflation blip.
There was a surge in consumer prices in late 2010 and into 2011, driven mainly by rising prices of oil and other raw materials as the world recovered from the 2008 financial crisis. Consumer price inflation hit 3.8 percent, just a bit below the latest reading.
And inflation hawks went wild. Representative Paul Ryan (remember him?) grilled Ben Bernanke, the Fed chairman, over his easy-money policies, intoning, “There is nothing more insidious that a country can do to its citizens than debase its currency.”
Bernanke, however, refused to be rattled. The Fed stayed focused on “core” inflation, a measure that excludes volatile food and energy prices and that it (rightly) considers a better gauge of underlying inflation than the headline number. And the Fed’s cool head was vindicated: Inflation quickly subsided, and the dollar was not debased.
Policymakers elsewhere weren’t so levelheaded. Like the United States, the euro area saw a spike in headline consumer prices but not in core inflation. But the European Central Bank panicked; it raised interest rates despite very high unemployment, and in so doing worsened the continent’s burgeoning debt crisis.
The lessons of 2011 are twofold. First, you shouldn’t have a hair-trigger reaction to short-term fluctuations in inflation. Second, when you do see a bump in prices, look at the details: Does it look like a rise in underlying inflation, or does it look like a blip driven by temporary factors?
Which brings us to last month’s price rise. Does it look like something to worry about? No, not really.
It’s true that focusing this time on the usual definition of core inflation, excluding food and energy, doesn’t change the story much. Over the past 12 months core inflation was 3 percent, not too far short of the headline number, and in the month of April alone core inflation was slightly higher than the overall inflation.
But a number of economists, myself included, have been arguing for a while that price changes over the course of the next few months will probably be bloated by temporary factors that conventional measures of core inflation won’t control for. A month ago I warned that “we’re going to have a weird recovery,” with an “unusual set of bottlenecks” causing “a lot of price blips outside food and energy.”
Sure enough, those April price numbers were driven to a large extent by peculiar factors obviously related to the economy’s restart. When people talk about underlying inflation, they rarely have the price of used cars in mind; yet a 10 percent monthly rise in used car prices — partly because people are ready to travel again, partly because a shortage of computer chips is crimping new-car production — accounted for a third of April’s inflation. There was also a 7.6 percent rise in the price of “lodging away from home,” as Americans resumed going places amid a waning pandemic.
And then there were “base effects”: A year ago many prices were depressed because much of the country was in lockdown, so that simply getting back to normal was bound to show up as a temporary rise in inflation. White House estimates that correct for these effects show considerably tamer inflation.
These arguments for discounting short-term inflation numbers aren’t after-the-fact excuses. I wrote about bottlenecks and blips a month ago; White House economists warned about misleading base effects around the same time. What we’re seeing is what we expected to see, just a bit more so.
None of this means that all is necessarily well with the Biden economic program. Maybe it will indeed turn out to be excessively ambitious. But the latest numbers, on either inflation or jobs, tell us nothing at all about whether that’s true.
Cosa dicono davvero i prezzi delle auto usate del programma di Biden,
di Paul Krugman
Dunque, il Presidente Biden dovrebbe rottamare il suo programma economico perché gli americani stano correndo a comprarsi auto usate?
È vero, dicendo così sono un po’ malizioso, ma solo un po’. Questo è all’incirca quanto stanno dicendo gli economisti che si sforzano di trarre grandi conclusioni sulla base del rapporto sull’inflazione dell’Ufficio delle Statistiche sul Lavoro di mercoledì.
Ammetto che mentre quasi tutti stavano aspettando un aumento dei prezzi al consumo, l’aumento effettivo è stato maggiore delle aspettative. Il tasso di inflazione su base annuale è andato sopra il 4 per cento, superando il suo picco recente del 2011.
Non è sciocco chiedersi se l’inflazione inaspettatamente alta significhi che l’economia abbia meno spazio per correre di quanto sia l’Amministrazione Biden che la Federal Reserve stavano ipotizzando; ciò potrebbe essere vero, e se lo fosse i programmi di spesa di Biden potrebbero essere eccessivi e la Fed potrebbe aver bisogno di considerare di elevare i tassi di interesse più presto anziché più tardi.
Ma né i dettagli di quel rapporto né la storia recente sostengono quelle preoccupazioni; essi indicano, al contrario, che le autorità dovrebbero mantenersi calme. Tutto questo non assomiglia per niente ad una riedizione della stagflazione degli anni ’70; assomiglia ad un contrattempo provvisorio, che riflette disagi transitori nel mentre l’economia cerca di riprendersi dalle turbative della pandemia. E la storia ci dice che per l’autorità sarebbe una pessima idea farsi prendere dal panico dinanzi a tali incidenti di percorso.
Per vedere la ragione, si riesamini quello che accadde nel 2011, l’ultima volta che osservammo un inconveniente nell’inflazione di questo genere.
Sulla fine del 2010 e sino al 2011 ci fu un aumento dei prezzi al consumo, principalmente guidato da prezzi in crescita del petrolio e di altre materie prime, mentre il mondo si riprendeva dalla crisi finanziaria del 2008. L’inflazione dei prezzi al consumo raggiunse il 3,8 per cento, appena un po’ inferiore alla lettura più recente.
E i falchi dell’inflazione si infuriarono. Il Rappresentante Paul Ryan (vi ricordate dei lui?) torchiò Ben Bernanke, il Presidente della Fed, per le sue politiche di facilitazione monetaria, declamando: “Niente è più insidioso di quello che un paese può fare ai suoi cittadini svalutando la sua moneta”.
Bernanke, tuttavia, non si fece innervosire. La Fed restò concentrata sulla inflazione “sostanziale”, una misurazione che esclude i prezzi volatili degli alimenti e dell’energia e che essa considera (giustamente) una indicazione migliore della inflazione sottostante del dato complessivo [1]. E i nervi saldi della Fed vennero risarciti: l’inflazione scese rapidamente e il dollaro non si svalutò.
Altrove, le autorità monetarie non furono così giudiziose. L’area euro conobbe, come gli Stati Uniti, una crescita dei prezzi complessivi al consumo ma non dell’inflazione sostanziale. Ma la Banca Centrale Europea entrò nel panico; nonostante una disoccupazione molto elevata essa elevò i tassi di interesse, e nel farlo peggiorò la crisi del debito in continua crescita del continente.
Le lezioni del 2011 sono duplici. La prima, non si dovrebbe avere una reazione nervosa alle fluttuazioni nel breve termine dell’inflazione. La seconda, quando si osserva un sobbalzo nei prezzi, si guardino i dettagli: esso indica una crescita nell’inflazione sottostante, o assomiglia ad un contrattempo provocato da fattori temporanei?
Il che ci porta ad un aumento dei prezzi del mese scorso. Assomiglia a qualcosa di cui preoccuparci? No, niente affatto.
È vero che in questa occasione concentrarsi sulla consueta definizione di inflazione sostanziale, escludendo gli alimenti e l’energia, non cambia granché la storia. Nei dodici mesi passati l’inflazione sostanziale è stata del 3 per cento, non troppo lontana dal dato dell’inflazione complessiva, e nel solo mese di aprile l’inflazione sostanziale è stata leggermente superiore dell’inflazione complessiva.
Ma un certo numero di economisti, incluso il sottoscritto, vengono sostenendo da un po’ che i cambiamenti nei prezzi nei prossimi mesi saranno probabilmente gonfiati da fattori temporanei che le misurazioni dell’inflazione sostanziale non possono tenere sotto controllo. Un mese fa misi in guardia che “ci stiamo indirizzando ad una ripresa bizzarra”, con un “complesso insolito di strozzature” che provocano “una gran quantità di inconvenienti nei prezzi al di là degli alimenti e dell’energia”.
Di sicuro, quei dati sui prezzi di aprile sono stati guidati in larga misura da fattori peculiari evidentemente connessi con la ripartenza dell’economia. Quando si parla di inflazione sottostante, raramente si ha in mente il prezzo della auto usate; tuttavia un aumento mensile del 10 per cento nei prezzi delle auto usate – in parte dovuto al fatto che le persone sono nuovamente pronte a viaggiare, in parte ad una scarsità di micro conduttori per computer che sta mettendo in difficoltà la produzione di nuove automobili – ha pesato per un terzo sulla inflazione di aprile. C’è anche stato un aumento del 7,6 per cento degli “alloggiamenti fuori dalla propria abitazione”, al momento in cui gli americani hanno ripreso ad andare in varie località nel mentre la pandemia è in fase calante.
E poi ci sono stati gli “effetti derivanti dal dato di partenza” [2]: un anno fa molti prezzi erano depressi perché una buona parte del paese era in lockdown, cosicché il semplice tornare alla normalità era destinato a manifestarsi come una crescita temporanea dell’inflazione. Le stime della Casa Bianca che correggono questi effetti mostrano una inflazione considerevolmente più contenuta.
Questi argomenti per ridimensionare i dati dell’inflazione nel breve periodo non sono scusanti a cose fatte. Scrissi sulle strozzature e sugli inconvenienti transitori un mese fa; circa nello stesso periodo gli economisti della Casa Bianca mettevano in guardia sugli effetti fuorvianti derivanti dalla base di partenza. Quello che stiamo osservando è quello che ci aspettavamo, appena un po’ superiore.
Niente di questo significa che tutto sia necessariamente a posto con il programma economico di Biden. Forse esso si rivelerà in effetti eccessivamente ambizioso. Ma gli ultimi dati, sia quelli sull’inflazione che quelli sui posti di lavoro, non ci dicono assolutamente niente a tale proposito.
[1] A proposito di queste due misurazioni dell’inflazione – quella “headline” o complessiva e quella “core” o sostanziale – si veda una spiegazione nelle Note sulla Traduzione alla voce “headline inflation”.
[2] Una analisi delle ‘irregolarità’ negli andamenti dei prezzi in questi mesi e in particolare dei cosiddetti “effetti derivanti dai dati di partenza” si trova nel rapporto di due economisti della Casa Bianca che abbiamo qua tradotto (vedi: “I prezzi nella pandemia: una stima dell’inflazione nei mesi e negli anni a venire,di Jared Berstein ed Ernie Tedeschi, 12 aprile 2021”).
By mm
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