April 30, 2021
By Paul Krugman
Friday’s column was mainly about the payoffs to expanded child care, but I also talked a bit about the consistent failure of conservative predictions that say raising taxes on high incomes will lead to economic disaster and introducing tax cuts will lead to nirvana. However, I didn’t talk about why tax rates on the rich don’t seem to have major economic consequences. So I thought I’d devote today’s newsletter to some speculations on that question.
It’s not because incentives don’t matter. Clearly, they do. France’s high taxes haven’t led to low employment of prime-age adults, but generous benefits for those who retire early have led to low employment among near-seniors:
The French are a retiring people.Credit…OECD
How, then, can we explain the lack of clear responses (other than tax avoidance) to changes in the tax rate on top incomes?
One answer, which I suspect is relevant in the uppermost strata of the income distribution, is that at that level people don’t seek more money so they can afford more things, since they’re already able to afford far more luxury than anyone can enjoy. Instead, it’s about keeping score; that is, their goal is to make as much or more than the people they compare themselves with. And raising taxes on rich people in general doesn’t eliminate the race to out-earn one’s rivals.
Even to the extent that the rich seek income for what it can buy, however, it’s not clear that cutting their taxes will lead to greater effort. Indeed, it could lead to reduced effort, because it becomes easier for them to afford what they want.
Readers who took economics probably realize that I’m talking about income effects as opposed to substitution effects, a distinction that plays a crucial role in understanding how wages affect labor supply.
As most intro econ texts including the best one explain, higher wages have two effects on workers. They have an incentive to work more, because an extra hour gets them more stuff. But they’re also more affluent, which lets them consume more — and one of the things they might choose to consume is more leisure, i.e., they might choose to work less.
Historically, in fact, higher wages have generally led to reduced working hours. Wages have increased enormously over the past century and a half, but the workweek has gotten a lot shorter:
Wages up, hours down.Credit…Our World in Data
So if tax cuts for the rich are like a wage hike, they could lead to less rather than more effort.
But wait: the top tax rate is a marginal rate, not an average rate. Individuals making, say, $600,000 a year pay 37 percent on the last dollar they earn, but most of their income is taxed at substantially lower rates — and those rates won’t be affected if President Biden succeeds in raising the top rate back to 39.6 percent. So you might think that raising or lowering the top rate is not, in fact, much like changing affluent Americans’ wages.
But here’s the thing: most of the earned income accruing to people in the top tax bracket is, in fact, taxed at the top rate. (Capital gains etc. are a different story.) Why? Because the distribution of income at the top is itself very unequal: there are huge disparities even within the economic elite. According to estimates by Thomas Piketty and Emmanuel Saez, almost half the income of the top 1 percent accrues to the top 0.1 percent, a category that begins at around three times as high a threshold.
Now, high incomes closely follow a Pareto distribution, indeed to an eerie extent. Here’s a plot of high incomes versus the percentage of taxpayers with incomes above that level, both expressed in natural logs:
A weirdly exact relationship.Credit…Piketty and Saez
In such a distribution, the top .05 percent is to the top 0.5 percent what the top 0.1 percent is to the top 1 percent, so what is true of the distribution of income within the 1 percent is also true of the distribution within the roughly 0.5 percent of Americans subject to the top tax rate. This means that, as I said, most of the income accruing to that group is taxed at the top rate. And this in turn means that cutting that top rate is more like an across-the-board wage rise for the elite than you might think — and wage rises don’t tend to increase work effort.
Or to put it a bit differently, while tax cuts for the rich may offer an incentive to work harder, they’re also a big giveaway that encourages the elite to work less.
Of course, the fact that tax cuts at the top are a big giveaway is precisely the reason that belief in the immense economic importance of low taxes is such an unkillable zombie. As Upton Sinclair famously said, it’s difficult to get a man to understand something when his salary depends on his not understanding it.
Perchè non tagliare le tasse sul lavoro dei ricchi? [1]
Di Paul Krugman
L’articolo di venerdì riguardava principalmente i vantaggi della espansione dell’assistenza ai bambini, ma parlavo anche un po’ del costante fallimento delle previsioni conservatrici secondo le quali alzare le tasse sui redditi elevati porterà al disastro economico e approvare tagli delle tasse porterà al nirvana. Tuttavia, non dicevo niente sul perché le aliquote fiscali sui ricchi non sembrano avere importanti conseguenze economiche. Dunque ho pensato di dedicare la lettera di oggi a qualche speculazione su quel tema.
Il punto non è che gli incentivi non contino. Chiaramente sono importanti. Le tasse elevate della Francia non hanno portato ad una bassa occupazione degli adulti nella principale età lavorativa, ma i sussidi generosi per coloro che vanno in pensione prematuramente hanno portato alla bassa occupazione tra i quasi anziani:
I francesi sono un popolo di pensionati. Fonte: OCSE
Come possiamo, dunque, spiegare l’assenza di chiare reazioni (a parte l’elusione fiscale) ai cambiamenti nella aliquota fiscale sui redditi più alti?
Una risposta, che sospetto sia rilevante negli strati più alti della distribuzione del reddito, è che le persone di quel livello non cercano soldi per potersi permettere più beni, dal momento che già possono permettersi più lussi di quanto nessuno possa godere. Riguarda, invece, i punteggi che ottengono; ovvero, il loro obbiettivo è di realizzare altrettanto o di più delle persone con le quali si confrontano. Ed alzare le tasse sulle persone ricche in generale non elimina la corsa a guadagnare con i propri rivali.
Persino nelle misura in cui i ricchi sono alla ricerca di reddito per quello che possono acquistare, tuttavia, non è chiaro se tagliare le loro tasse porterà ad un impegno maggiore. In effetti potrebbe portare ad un impegno minore, perché per loro diventa più facile permettersi quello che vogliono.
I lettori che hanno seguito corsi di economia probabilmente capiscono che sto parlando degli effetti del reddito in quanto opposti agli effetti di sostituzione, una distinzione che gioca un ruolo cruciale nella comprensione delle ragioni per le quali i salari influenzano l’offerta di lavoro.
Come spiegano la maggioranza dei testi introduttivi all’economia, compreso il migliore [3], i salari più alti hanno due effetti sui lavoratori. Sono un incentivo a lavorare di più, perché con un ora aggiuntiva ottengono più cose. Ma i lavoratori sono adesso anche più benestanti, il che consente loro di consumare di più – e una delle cose che possono scegliere di consumare è più tempo libero, ovvero possono scegliere di lavorare di meno.
Di fatto, storicamente, i salari più alti hanno in genere portato ad una riduzione delle ore di lavoro. I salari sono cresciuti enormemente nel corso del secolo e mazzo passato, ma la settimana lavorativa è diventata molto più corta:
I salari crescono, le ore si riducono. Fonte: Our World in data.
Dunque, se i tagli delle tasse per i ricchi sono simili agli aumenti dei salari, potrebbero portare ad un impegno minore anziché superiore.
Ma, un momento: l’aliquota fiscale più elevata è una aliquota merginale, non una aliquota media. Le persone che realizzano, diciamo, 600.000 dollari all’anno pagano il 37 per cento sull’ultimo dollaro che guadagnano, ma la maggior parte del loro reddito è tassata con aliquote sostanzialmente più basse – e quelle aliquote non sono influenzate se il Presidente Biden ha successo nel riportare l’aliquota massima al 39,6 per cento [5]. Dunque, potreste supporre che alzare o abbassare l’aliquota massima, di fatto, non è proprio come cambiare i compensi degli americani benestanti.
Ma qua è il punto: la maggior parte del reddito guadagnato che affluisce alle persone nella fascia di reddito più alta viene, di fatto, tassato all’aliquota massima (i guadagni da capitale e le cose simili sono una storia diversa). Perché? Perché la distribuzione del reddito nella fascia più alta è anch’essa molto ineguale: ci sono grandi disparità anche all’interno dell’elite economica. Secondo le stime di Thomas Piketty e di Emmanuel Saez, quasi la metà del reddito dell’1 per cento dei più ricchi matura a favore dello 0,1 per cento dei più ricchi, una categoria che parte da una soglia circa tre volte più alta.
Ora, i redditi alti seguono strettamente una distribuzione paretiana, in effetti in una misura inquietante. Ecco un grafico dei redditi alti in rapporto alla percentuale dei contribuenti con redditi superiori a quel livello, entrambi espressi in logaritmi naturali:
Una relazione stranamente esatta. Fonte: Piketty e Saez
In tale distribuzione, l’ 0,05 per cento dei più ricchi sta allo 0,5 per cento dei più ricchi come quello dello 0,1 per cento sta all’1 per cento, cosicché ciò che è vero per la distribuzione del reddito all’interno dell’1 per cento è anche vero per la distribuzione all’interno del gruppo dello 0,5 per cento degli americani che è soggetto alla aliquota massima. Questo comporta che, come ho detto, la maggior parte del reddito che affluisce a quel gruppo è tassata all’aliquota massima. E questo comporta a sua volta che tagliare l’aliquota massima è probabile sia più simile ad una universale crescita dei compensi per le elite di quello che si penserebbe – e gli aumenti dei compensi non tendono ad incrementare l’impegno a lavorare.
O per dirla un po’ diversamente, mentre i tagli delle tasse per i ricchi possono offrire un incentivo a lavorare più duramente, essi sono anche un grande regalo che incoraggia le elite a lavorare meno.
Naturalmente, il fatto che gli sgravi fiscali ai più ricchi siano un grande regalo è precisamente la ragione per la quale la convinzione sulla immensa importanza di basse tasse sia a tal punto uno zombi indistruttibile. Come notoriamente disse Upton Sinclair, è difficile far comprendere ad una persona qualcosa, quando il suo stipendio dipende dal non comprenderla.
[1] Come abbiamo appreso da Milanovic: “Una caratteristica unica e nettamente diversa del capitalismo liberal-meritocratico rispetto alla sua forma classica è la presenza di persone con un alto reddito da lavoro nel decile o nel percentile superiore [ovvero nel 10 per cento o nell’1 per cento dei più ricchi] e, cosa ancora più interessante, la quota crescente di popolazione che detiene sia un alto reddito da lavoro sia un alto reddito da capitale” (vedi la mia nota sul libro di Milanovic).
[2] La Tabella mostra la percentuale di occupati tra i 55 ed i 64 anni (la linea arancione sono gli Stati Uniti, quella blu la Francia).
[3] Riferimento scherzoso al testo di economia scritto da Krugman e da sua moglie Robin Wells.
[4] Andamento delle ore lavorative annuali dal 1870 al 2017.
[5] Suppongo che si dica “portare indietro, riportare” perché quella aliquota venne diminuita dai tagli delle tasse di Trump. La misura proposta da Biden riporgerebbe ai livelli del passato.
[6] Spiacente, ma non riesco a comprendere la tabella. Alla fine mi sono accontentato di dedurre questo: che i ricchi che hanno grandi “redditi da lavoro” sono soprattutto i ricchissimi; quindi su tali redditi – partendo da una soglia superiore – si applicano le aliquote fiscali più alte.
By mm
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