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Il mito duraturo degli inferni urbani, di Paul Krugman (New York Times, 12 luglio 2021)

 

July 12, 2021

The Durable Myth of Urban Hellholes

By Paul Krugman

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Over the weekend J.D. Vance, the author of “Hillbilly Elegy” and now a Trumpist candidate for U.S. senator in Ohio, tweeted that he was planning a visit to New York, which he has heard is “disgusting and violent.” Vance, a graduate of Yale Law School who currently works as a venture capitalist, surely knows better. But he presumably hopes that Republican voters don’t.

But why do so many Americans still believe that our major cities are hellholes of crime and depravity? Why do so many politicians still believe that they can run on the supposed contrast between urban evil and small-town virtue when many social indicators look worse in the heartland than in the big coastal metropolitan areas?

To be sure, there was a national surge in homicides — although not in overall crime — during the pandemic, for reasons that remain unclear. But New York is still safer than it was a decade ago, vastly safer than it was 30 years ago, and, for what it’s worth, considerably safer than, say, Columbus, Ohio.

And if you wanted to single out some region as being in crisis, New York is hardly the place you’d choose. Our biggest social problems are in the “eastern heartland,” an arc running from Louisiana to Michigan. This is where an alarmingly large number of men in their prime working years don’t have jobs and where “deaths of despair” — that is, deaths from alcohol, suicide and drug overdoses — are running high.

Notice that I’m not attributing these heartland problems to some kind of moral collapse on the part of the region’s residents. The social deterioration of the eastern heartland pretty clearly has economic roots: The rise of a knowledge economy has led to a growing concentration of jobs and wealth in large, highly educated metropolitan areas, leaving much of small-town and rural America stranded. And this loss of opportunity has ended up being reflected in social disintegration, just as the disappearance of jobs did in many inner cities half a century ago.

Strange to say, however, self-proclaimed “populists” like Vance — or Donald Trump — aren’t drawing the obvious parallels between the heartland’s troubles and those of other Americans at other times, or proposing anything that might improve the situation.

Instead, they’re still demagoguing like it’s 1975, contrasting an idealized vision of the heartland that bears ever less resemblance to reality with a dark vision of urban life that’s decades out of date.

And the mythical contrast between bad big cities and good small towns is having destructive, even deadly effects on policy.

Some reporting suggests that one of the reasons the Trump administration downplayed the Covid-19 pandemic in its early stages was the belief that it was solely a large-city, blue-state problem; there were definitely many assertions that the risk was severe only in places with dense populations. And there were many pronouncements — some of them with an unmistakable tone of glee — to the effect that the pandemic would kill big cities and the states that contain them.

In reality, Covid-19, although it initially hit New York hard, was in no way a big-city problem; density doesn’t seem to have mattered at all. For example, South Dakota has roughly the same population as San Francisco; it has had four times as many Covid deaths. And right now rural, Republican-leaning states have much lower vaccination rates than blue states, so that if there is another wave of infections it will turn the myth of cities as hotbeds of disease on its head.

Oh, and while you may have heard that vast numbers of people are fleeing urban, liberal California, this may be just another myth. California has a serious NIMBY-driven housing crisis, but as with New York, if you’ve heard that it has become a terrible place to live that’s because you’ve heard right-wing propaganda.

Besides helping to cripple our pandemic response, the myth of rural virtue and urban vice means that many Republican voters seem unaware that they are among the major beneficiaries of the “big government” their party says it wants to eliminate. That is, they still imagine that the government spends money on urban welfare recipients, not on people like them.

For example, do red-state voters know that federal spending in their states — much of it taking the form of benefits from Social Security and Medicare — greatly exceeds the taxes they pay to Washington? In Kentucky, the most extreme example, the annual inflow of federal money per capita is $14,000 greater than the outflow.

If voters knew this, would they be so willing to support efforts to cut benefits for working Americans while slashing taxes on corporations and the wealthy?

Just to be clear, I’m not criticizing policies that in effect subsidize many states. We’re all Americans, and we should be willing to help each other out.

The problem, instead, lies with cynical politicians who disparage some parts of the country and suggest that those regions aren’t part of the “real America.” That cynicism has effectively killed thousands of people in the pandemic — and it could, all too easily, end up killing democracy.


 

Il mito duraturo degli inferni urbani,

di Paul Krugman

 

Nel corso del fine settimana J.D. Vance, l’autore di “Elegia del montanaro” ed ora candidato trumpiano per il senatore statunitense dell’Ohio, ha pubblicato su Twitter che stava programmando una visita a New York, che ha sentito dire è “disgustosa e violenta”. Certamente Vance, un laureato alla Scuola di Legge di Yale che attualmente opera come capitalista d’assalto, ne sa di più. Ma presumibilmente spera che gli elettori repubblicani siano all’oscuro di tutto.

Ma perché così tanti repubblicani credono ancora che le nostre principali città siano inferni del crimine e della depravazione? Perché così tanti politici credono ancora di poter gestire il presunto contrasto tra i mali urbani e le virtù delle piccole cittadine, quando molti indicatori appaiono peggiori nelle aree centrali del paese che non nelle aree metropolitane delle coste?

Di sicuro, c’è stata una crescita nazionale negli omicidi – sebbene non nei crimini complessivi – durante la pandemia, per ragioni che restano oscure. Ma New York è ancora più sicura di quello che era un decennio orsono, grandemente più sicura di quello che era 30 anni fa e, per quello che vale, considerevolmente più sicura, ad esempio, di Columbus, nell’Ohio.

E se si vuole identificare qualche regione in crisi, difficilmente è il luogo che si sceglierebbe. I nostri più grandi problemi sociali sono nel “cuore orientale dell’America”, una arco che corre dalla Louisiana al Michigan. È lì che un allarmante ampio numero di uomini negli anni della loro principale età lavorativa non hanno posti di lavoro e dove le “morti per disperazione” – ovvero, le morti per l’alcol, i suicidi e le overdosi di oppiacei [1] – sono alle stelle.

Si noti che non sto attribuendo questi fenomeni ai residenti di una parte della regione dell’America centrale. Il deterioramento sociale dell’area centro orientale  ha abbastanza chiaramente radici economiche: la crescita di una economia della conoscenza ha portato ad una crescente concentrazione di posti di lavoro e di ricchezza in ampie aree metropolitane altamente istruite, lasciando abbandonata gran parte delle piccole città e dell’America rurale. E questa perdita di opportunità ha finito per riflettersi nella disintegrazione sociale, proprio come la scomparsa dei posti di lavoro fece in molti quartieri poveri un secolo fa.

Strano a dirsi, tuttavia, gli auto proclamati “populisti” come Vance – o Donald Trump – non sono attratti dalle evidenti somiglianze tra i guai del centro del paese e quelli di altri americani in altre epoche, né propongono qualcosa che possa migliorare la situazione.

Piuttosto, stanno facendo demagogia come se fosse il 1975, contrapponendo una visione idealizzata delle aree centrali che non ha alcun riscontro nella realtà con una visione cupa della vita urbana che è vecchia di decenni.

E la mitica contrapposizione tra le grandi città cattive e le piccole cittadine buone sta avendo effetti distruttivi, persino letali, sulla politica.

Alcuni resoconti suggeriscono che le ragioni per le quali l’Amministrazione Trump ha sottovalutato la pandemia del Covid-19 nei suoi primi stadi è stata la convinzione che fosse unicamente un problema delle grandi città e degli Stati a guida democratica; c’erano chiaramente molte dichiarazioni secondo le quali il rischio era grave soltanto nei luoghi con forti concentrazioni di popolazione. E ci furono molte affermazioni – alcune delle quali con un tono inconfondibile di soddisfazione – secondo le quali la pandemia avrebbe liquidato le grandi città e gli Stati che le contengono.

In realtà, il Covid-19, sebbene inizialmente colpì duramente New York, non era in alcun modo una problema delle grandi città; la densità non sembra affatto essere stata importante. Ad esempio: il Sud Dakota ha circa la stessa popolazione di San Francisco; essa ha avuto quattro volte le morti di Covid della seconda.  E in questo momento gli Stati rurali a orientamento repubblicano hanno tassi di vaccinazione molto più bassi degli Stati o orientamento democratico, cosicché se ci fosse un’altra ondata di infezioni il mito delle città come focali della malattia si capovolgerebbe completamente.

Inoltre, se avete sentito parlare dei grandi numeri di persone che stanno scappando dalla California urbana e progressista, questo è probabilmente soltanto un altro mito. La California ha un seria crisi degli alloggi provocata dalla psicologia del NIMBY [2], ma come nel caso di New York, se avete sentito che è diventata un posto terribile da viverci, è perché date ascolto alla propaganda della destra.

Oltre a contribuire a indebolire la nostra risposta alla pandemia, il mito delle virtù rurali e dei vizi urbani comporta che molti elettori repubblicani sembrano inconsapevoli di essere tra i principali beneficiari del “grande Governo” che il loro partito dice di voler eliminare. Ovvero, si immaginano ancora che il Governo spenda soldi sui destinatari della assistenza urbana, non su persone come loro.

Ad esempio, gli elettori degli Stati repubblicani sanno che la spesa federale nei loro Stati – gran parte della quale ha la forma di sussidi dalla Previdenza Sociale e da Medicare – eccede grandemente le tasse che essi versano a Washington? Nel Kentucky, il caso più estremo, l’afflusso federale procapite di denaro è di 14 mila dollari superiore all’uscita.

Se gli elettori lo sapessero, sarebbero così disponibili a sostenere i tentativi di tagliare i sussidi per i lavoratori americani, al tempo stesso tagliando le tasse sulle grandi società e sui ricchi?

Per chiarezza, non sto criticando le politiche che in pratica sussidiano molti Stati. Siamo tutti americani, e dovremmo essere disponibili ad aiutarci l’uno con l’altro.

Il problema, piuttosto, consiste nei politici cinici che denigrano alcune parti del paese e le indicano come regioni che non fanno parte dell’ “America vera”. Durante la pandemia quel cinismo ha sostanzialmente ammazzato migliaia di persone – e potrebbe, anche troppo facilmente, finire col liquidare la democrazia.

 

 

 

 

 

[1] “Drug” può significare sia ‘droga’ che ‘medicina’. E in effetti il fenomeno delle overdosi si riferisce in parte alla diretta diffusione di stupefacenti, e in parte anche superiore all’uso di farmaci che contengono sostanze stupefacenti.

[2] Ovvero, da orientamenti dei cittadini che si oppongono a nuovi insediamenti nelle vicinanze delle loro abitazioni. NIMBY significa “Non nel mio cortile”, e vale per infrastrutture pubbliche  nello stesso modo che per nuove abitazioni private.

 

 

 

 

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