CLAREMONT, CALIFORNIA – US politicians from both congressional parties are worried that China is overtaking America as the global leader in science and technology. In a rare display of bipartisanship, the normally gridlocked Senate passed a bill in early June to spend close to $250 billion in the next decade to promote cutting-edge research. But lawmakers may be fretting unnecessarily, because the Chinese government seems to be doing everything possible to lose its tech race with America.
The latest example of China’s penchant for self-harm is the sudden and arbitrary regulatory action taken by the Cyberspace Administration of China (CAC) against Didi Chuxing, a ride-hailing company that recently raised $4.4 billion in an IPO on the New York Stock Exchange. On July 2, just two days after Didi’s successful offering, which valued the firm at more than $70 billion, the CAC, a department of the ruling Communist Party of China (CPC) masquerading as a state agency, announced a data-security review of the company. Two days later, the CAC abruptly ordered the removal of Didi from app stores, a move that wiped out nearly a quarter of the firm’s market value.
The CPC’s crackdown against Didi under the pretext of data security seems to be just the beginning of a wider campaign to assert control over China’s thriving tech sector. On July 9, the CAC further shocked tech entrepreneurs and their Western investors with an official announcement that all companies with data from more than one million users must pass its security review before listing on overseas stock exchanges. Once fully implemented, this new policy could choke off Chinese tech firms’ access to foreign capital.
Ironically, US China hawks have long dreamed of accomplishing just that. In December last year, Congress passed a law authorizing the delisting of Chinese companies from US stock exchanges if they fail to meet US auditing standards. Now, it seems that Congress need not have bothered. Its nemesis, the CPC, will be doing the same job far more effectively and thoroughly from now on.
Any so-called data-security review conducted by a secretive party agency with little technical expertise, no legal accountability, and a responsibility only to its political masters will erect another unpredictable regulatory hurdle deterring most, if not all, foreign investors. Since foreign backers of Chinese tech start-ups usually plan to exit their investment through an overseas listing – preferably in New York – the prospect of a CPC agency wielding a veto over future listings may make them extremely reluctant to invest.
Foreign investors, usually well-established venture-capital firms, bring not only much-needed financing, but also valuable expertise and best governance practices that are vital to the success of tech start-ups. Almost all dominant Chinese tech giants, including Alibaba, Tencent, and Baidu, relied on foreign funding to grow into spectacularly thriving companies. Had the CPC required a similar data-security review two decades ago, none of them would have existed – and China’s tech landscape today would be desolate.
The CAC’s crackdown on China’s most successful tech firms is not driven by concerns about data security. China’s surveillance state offers citizens no data security or privacy to speak of. And given that China’s data-security law already requires all tech companies to store their data inside the country’s borders, the government’s worries about a potential data leak by a ride-sharing platform such as Didi hardly merit radical rule changes and arbitrary restrictions. Minor regulatory tweaks would be more than adequate to address policymakers’ legitimate national-security concerns.
But foreign investors hoping that Chinese leaders will realize their folly and reverse course should think again. Killing the proverbial golden goose seems to be a CPC specialty. In fact, neither Didi nor Alibaba – which in April received a record $2.8 billion antitrust fine from the Chinese government – even come close to being the biggest such creature China has slaughtered recently. That unwanted distinction belongs to Hong Kong, whose autonomy and prosperity are in grave peril following the government’s imposition of a draconian national-security law last year.
Paranoia, bullying instincts, and contempt for property rights are deeply embedded in the CPC’s collective psyche, predisposing the Chinese government to self-destructive policies, regardless of well-intentioned advice or even evidence of their harmful consequences. And over-centralization of power under strongman rule in China today has made self-correction nearly impossible.
For China’s tech entrepreneurs, Didi’s travails should serve as a rude awakening. Many may think that they can thrive under a dictatorship as long as they stay out of politics and focus on making money. But, to paraphrase Leon Trotsky, they may not be interested in the dictatorship, but the dictatorship is very interested in them.
A well-known Chinese proverb applies to the CPC. The party keeps “hurting loved ones and delighting the enemy” (qintong choukuai). China’s tech bosses are learning the hard way that they may well have more to fear from their own government than from America’s bipartisan Sinophobia.
La Cina sta ammazzando la sua oca d’oro della tecnologia,
di Minxin Pei
CLAREMONT, CALIFORNIA – I politici statunitensi di entrambi i partiti del Congresso sono preoccupati che la Cina stia sopravanzando l‘America come leader globale nella scienza e nella tecnologia. In una rara manifestazione di unità, il normalmente bloccato Senato ha approvato ai primi di giugno una proposta di legge per spendere circa 250 miliardi di dollari nel prossimo decennio per promuovere tecnologie di avanguardia. Ma i legislatori forse si sono agitati senza necessità, perché il Governo cinese sembra fare tutto il possibile per perdere la sua gara tecnologica con l’America.
L’ultimo esempio della propensione della Cina a farsi danni da sola è l’improvvisa e arbitraria iniziativa regolamentare intrapresa dalla Amministrazione dello Spazio Internet della Cina (CAC) contro Didi Chuxing, una società che fornisce taxi a chiamata [1] che di recente ha raccolto 4 miliardi e 400 milioni di dollari in una Offerta Pubblica Iniziale (IPO) sulla Borsa di New York. Il 2 luglio, solo due giorni prima della offerta di successo di Didi, che aveva valutato l’impresa per più di 70 miliardi di dollari, la CAC, un dipertimento del Partito Comunista Cinese mascherato da agenzia statale, ha annunciato un esame di sicurezza dei dati della società. Due giorni dopo, la CAC ha all’improvviso ordinato la rimozione di Didi dai mercati delle applicazioni, una mossa che ha spazzato via quasi un quarto del valore di mercato dell’impresa.
Il giro di vite del Partito Comunista Cinese contro Didi con il pretesto della sicurezza dei dati sembra essere solo l’inizio di una più ampia campagna per affermare il controllo sul florido settore tecnologico cinese. Il 9 di luglio, la CAC ha ulteriormente sbalordito gli imprenditori tecnologici ed i loro investitori occidentali con un annuncio secondo il quale tutte le società con dati di più di un milione di utilizzatori devono passare i suoi esami di sicurezza prima di essere quotate sulle borse estere. Una volta pienamente applicata, questa nuova politica potrebbe bloccare l’accesso delle imprese tecnologiche cinesi ai capitali stranieri.
Paradossalmente, i falchi statunitensi sulla Cina da tempo sognavano di realizzare proprio quello. A dicembre dell’anno passato, il Congresso ha approvato una legge che autorizza la rimozione delle quotazioni di società cinesi dalle Borse statunitensi se esse non riescono a soddisfare gli standard di controllo statunitensi. Sembra adesso che il Congresso non avesse bisogno di preoccuparsi. Il suo esecutore, il Partito Comunista Cinese, d’ora in avanti farà il suo stesso lavoro più efficacemente e scrupolosamente.
E il cosiddetto esame delle sicurezza dei dati condotto da una agenzia di partito riservata con modesta competenza tecnica, con nessuna affidabilità legale e responsabile solo verso i suoi padrini, alzerà un altro imprevedibile ostacolo regolamentare che allontanerà la maggioranza, se non tutti, gli investitori stranieri. Dal momento che i sostenitori stranieri delle nuove imprese tecnologiche cinesi di solito programmano l’uscita dei loro investimenti attraverso quotazioni all’estero – preferibilmente a New York – la prospettiva di una agenzia del Partito Comunista Cinese che esercita un diritto di veto sulle future quotazioni può renderli estremamente riluttanti a investire.
Gli investitori stranieri, di solito imprese di capitali di rischio con solide basi, non solo apportano finanziamenti molto necessari, ma anche apprezzabile competenza e le migliori pratiche di governo che sono necessarie per il successo delle nuove imprese tecnologiche. Quasi tutti i principali giganti tecnologici cinesi della tecnologia, compresi Alibaba, Tencent e Baidu, si sono basate su finanziamenti stranieri per diventare società incredibilmente prospere. Se il Parito Comunista Cinese avesse richiesto due decenni orsono simili controlli di sicurezza dei dati, nessuna di esse sarebbe esisitita – e il paesaggio tecnologico della Cina sarebbe oggi desolante.
Il giro di vite della CAC sulle imprese tecnologiche di maggiore successo della Cina non è guidato da preoccupazioni sulla sicurezza dei dati. La sorveglianza di stato della Cina non offre ai cittadini nessuna sicurezza di dati o riservatezza. E dato che la legge sulla sicurezza dei dati della Cina già richiede a tutte le imprese tecnologiche di archiviare i loro dati all’interno dei confini nazionali, le preoccupazioni del Governo per una fuoriuscita di dati da una piattaforma di viaggi condivisi come quella di Didi difficilmente merita radicali cambiamenti di regole o restrizioni arbitrarie. Leggere modifiche regolamentari sarebbero più che sufficienti per soddisfare le legittime preoccupazioni sulla sicurezza nazionale delle autorità.
Ma gli investitori stranieri che sperano che i leader cinesi comprenderanno la loro follia e cambieranno indirizzo, dovrebbero pensarci due volte. Ammazzare la proverbiale oca d’oro sembra essere una specialità del Partito Comunista Cinese. Di fatto, né Didi né Alibaba – che in aprile ha ricevuto una sanzione record di 2.800 miliardi di dollari da parte del Governo Cinese – si sono neppure avvicinate ad essere le più importanti di tali creature che la Cina abbia massacrato di recente. Quel primato indesiderato appartiene ad Hong Kong, la cui autonomia e prosperità è in grave pericolo a seguito della legge draconiana sulla sicurezza nazionale dell’anno passato.
La paranoia, gli istinti di prepotenza e il disprezzo per i diritti di proprietà sono profondamente incarnati nella psiche collettiva del Partito Comunista Cinese, predisponendo il Governo cinese a politiche auto distruttive, senza alcun riguardo per i consigli a fin di bene o persino per le prove sulle loro conseguenze dannose. E la super centralizzazione del potere sotto l’uomo forte al comando nella Cina odierna ha reso l’auto correzione quasi impossibile.
Per gli imprenditori tecnologici della Cina, i guai di Didi dovrebbero servire come un rude ammonimento. Molti possono pensare che essi possono prosperare sotto una dittatura finché si tengono fuori dalla politica e si concentrano nel fare soldi. Ma, per parafrasare Leone Trotskij, essi possono non interessarsi alla dittatura, ma la dittatura è molto interessata a loro.
Al Partito Comunista si adatta un ben noto proverbio cinese. Il partito continua a “far danni ai suoi beneamati e a deliziare il nemico” (qintong choukuai). I leader della tecnologia cinese stanno apprendendo nel modo più duro che possono ben avere più paura del loro stesso Governo che non della sinofobia interpartitica americana.
[1] Cioè, qualcosa di simile a Uber.
By mm
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