Articoli sul NYT

I lavoratori non vogliono i loro vecchi posti di lavoro alle condizioni di un tempo, di Paul Krugman (New York Times, 23 agosto 2021)

 

Aug. 23, 2021

Workers Don’t Want Their Old Jobs on the Old Terms

By Paul Krugman

zz 898

The pandemic disrupted many Americans’ work lives. Some of us — generally highly educated white-collar workers with relatively well-paying jobs — were able to shift to remote work. Millions of other workers, especially many poorly paid service workers, simply saw their jobs disappear when consumers stopped eating out and traveling.

Now the economy is recovering — a recovery that will probably continue despite the spread of the Delta variant of the coronavirus. But many Americans don’t want to go back to the way things were before. After a year and a half of working from home, many don’t want to return to the stress of commuting. And at least some of those who were forced into unemployment have come to realize how unhappy they were with low pay and poor working conditions, and are reluctant to go back to their previous jobs.

To be honest, when businesses first began complaining about labor shortages I was skeptical. These kinds of complaints always surface when the economy begins to recover from a slump and often mean only that job applicants have gotten a bit less desperate. Some of us also remember how, seven or eight years ago, Very Serious People insisted that we faced a major “skills gap” and would never be able to get unemployment down to the levels that prevailed before the financial crisis. (Spoiler: We did.)

At this point, however, it seems clear that something really is going on. You can see this from the data on vacancies: There are far more unfilled job openings than you would normally expect to see given the current level of unemployment, which is still fairly high.

You can also see it by looking at what’s happening in the sector hit hardest by the pandemic, leisure and hospitality (think restaurants and hotels). Employment in that sector is still well below its prepandemic level; but to bring workers back, the sector has had to offer big wage increases, significantly above the prepandemic trend.

In other words, some workers really don’t seem willing to go back to their old jobs unless offered substantially more money and/or better working conditions. But why is this happening? And is it a bad thing?

Conservatives insist that it is indeed a bad thing: Workers, they say, are refusing to take jobs because government aid is making unemployment too comfortable. But they would say that, wouldn’t they? Remember, they said the same thing in the aftermath of the financial crisis, claiming that the unemployed were being coddled — when the actual reason recovery was slower than it should have been was the destructive fiscal austerity imposed by Republicans in Congress.

That said, the case for worrying about the incentive effects of unemployment benefits is better now than it was then. Aid to the unemployed has been far more generous during the pandemic than it was during the Great Recession; the $300 per week supplement to existing unemployment benefits enacted in December and extended in March, although less than the $600 per week supplement that prevailed for part of 2020, is, when combined with normal benefits, enough to replace most or all normal earnings for less-well-paid workers.

But have unemployment benefits actually had a major adverse effect on employment? No. State-level job numbers released Friday reinforced the conclusions of earlier studies that found at most a small negative effect.

This time, Republicans inadvertently provided the data needed to refute their own claims. Many red states rushed to cancel enhanced unemployment benefits earlier than their scheduled September expiration. If these benefits were a major force holding back job creation, these states should have seen noticeably faster employment growth than blue states that kept benefits in place. They didn’t.

But if it wasn’t government benefits, what explains the reluctance of some workers to return to their old jobs? There may be several factors. Fear of the virus hasn’t gone away, and it may be keeping some workers home. Child care is also an issue, with many schools still closed and day care still disrupted.

My guess, however — and it’s just a guess, although some of the go-to experts here seem to have similar views — is that, as I suggested at the beginning of this article, the pandemic disruption of work was a learning experience. Many of those lucky enough to have been able to work from home realized how much they had hated commuting; some of those who had been working in leisure and hospitality realized, during their months of forced unemployment, how much they had hated their old jobs.

And workers are, it seems, willing to pay a price to avoid going back to the way things were. This may, by the way, be especially true for older workers, some of whom seem to have dropped out of the labor force.

To the extent that this is the story behind recent “labor shortages,” what we’re looking at is a good thing, not a problem. Perversely, the pandemic may have given many Americans a chance to figure out what really matters to them — and the money they were being paid for unpleasant jobs, some now realize, just wasn’t enough.

 

I lavoratori non vogliono i loro vecchi posti di lavoro alle condizioni di un tempo,

di Paul Krugman

 

La pandemia ha portato turbamento nelle vite lavorative di molti americani. Alcuni di noi – in genere impiegati con elevata istruzione e posti di lavoro relativamente ben pagati – sono stati capaci di spostarsi al lavoro da remoto. Milioni di altri lavoratori, specialmente molti lavoratori dei servizi con paghe modeste, hanno semplicemente visto i loro posti di lavoro scomparire quando i consumatori hanno smesso di mangiar fuori e di viaggiare.

Ora l’economia si sta riprendendo – una ripresa che probabilmente continuerà nonostante la diffusione della variante Delta del coronavirus. Ma molti americani non vogliono tornare al modo in cui le cose andavano in precedenza. Dopo un anno e mezzo di lavoro dalle abitazioni, molti non vogliono tornare allo stress del pendolarismo. E almeno alcuni di quelli che sono sati costretti alla disoccupazione sono arrivati a comprendere come erano scontenti con basse paghe e con modeste condizioni lavorative, e sono riluttanti a tornare ai loro precedenti posti di lavoro.

A dire la verità, quando agli inizi le imprese hanno cominciato a lamentarsi sulla scarsità di forza lavoro, io ero scettico. Questo genere di lamentele vengono sempre a galla quando l’economia comincia a riprendersi e spesso significano soltanto che coloro che si candidano per un posto di lavoro sono diventati un po’ meno disperati. Alcuni di noi ricordano anche come, sette o otto anni fa, le Persone Molte Serie dicevano in continuazione che eravamo di fronte ad un importante “vuoto di competenze” e che non saremmo stati capaci di abbassare la disoccupazione ai livelli che avevamo prima della crisi finanziaria (vi svelo il finale: lo facemmo).

A questo punto, tuttavia, sembra chiaro che stia accadendo qualcosa di reale. Lo potete vedere dai dati sui posti di lavoro vacanti : ci sono molti più posti di lavoro disponibili non coperti [1] di quello che normalmente ci si aspetterebbe di vedere considerato l’attuale livello di disoccupazione, che è ancora abbastanza elevato.

Lo potete anche vedere osservando quello che sta accadendo nel settore più duramente colpito dalla pandemia, il tempo libero e l’accoglienza (si pensi ai ristoranti e agli alberghi). L’occupazione in quel settore è ancora ben al di sotto del livello precedente alla pandemia; ma per riportare la gente al lavoro, il settore ha dovuto offrire cospicui aumenti salariali, significativamente superiori della tendenza precedente alla pandemia.

In altre parole, alcuni lavoratori davvero non sembrano disponibili a tornare ai loro vecchi posti di lavoro se non vengono loro offerti sostanzialmente più soldi e/o migliori condizioni lavorative. Ma perché accade questo? Ed è una cosa negativa?

I conservatori insistono che è in effetti una cosa negativa: i lavoratori, dicono, stanno rifiutando di accettare posti di lavoro perché i sussidi del Governo stanno rendendo la disoccupazione troppo confortevole. Ma è quello che direbbero in ogni caso, non è così? Si ricordi, dicevano la stessa cosa nel periodo successivo alla crisi finanziaria, sostenendo che i disoccupati erano stati viziati – quando la ragione effettiva era che la ripresa era più lenta di quanto avrebbe dovuto essere per la distruttiva austerità nella finanza pubblica imposta dai repubblicani nel Congresso.

Ciò detto, l’argomento per aver timore degli effetti di incentivazione dei sussidi di disoccupazione è più fondato ora di allora. Gli aiuti ai disoccupati sono stati molto più generosi durante la pandemia di quanto furono durante la Grande Recessione; il supplemento di 300 dollari settimanali ai sussidi di disoccupazione esistenti varato in novembre e prorogato a marzo, sebbene inferiore ai 600 dollari settimanali che furono in vigore per una parte del 2020 è, quando considerato assieme ai sussidi normali, sufficiente per sostituire gran parte o tutti i normali compensi dei lavoratori meno ben pagati.

Ma i sussidi di disoccupazione hanno avuto effettivamente un effetto negativo importante sulla disoccupazione? No. I dati sui posti di lavoro al livello degli Stati pubblicati venerdì hanno rafforzato le conclusioni dei primi studi che avevano trovato al massimo un piccolo effetto negativo.

In questo caso, i repubblicani inavvertitamente hanno fornito i dati necessari per confutare i loro stessi argomenti. Molti Stati a guida repubblicana si sono precipitati a cancellare i sussidi di disoccupazione aumentati prima della loro prevista scadenza a settembre. Se questi sussidi fossero stati una componente importante nel trattenere la creazione di posti di lavoro, questi Stati avrebbero dovuto conoscere una crescita di occupazione considerevolmente più veloce degli Stati a direzione democratica, che hanno mantenuto in essere i sussidi. Il che non è avvenuto.

Ma se non è dipeso dai sussidi del Governo, come si spiega la riluttanza di alcuni lavoratori a tornare ai loro vecchi posti di lavoro? Ci possono essere vari fattori. La paura del virus non è scomparsa, ed essa può trattenere alcuni lavoratori a casa. Anche l’assistenza ai figli è un altro aspetto, con molte scuole ancora chiuse  e gli asili nido ancora bloccati.

La mia impressione, tuttavia – ed è solo una impressione, per quanto in questo caso alcuni di coloro che si affidano agli esperti sembrano avere una opinione simile – è che, come ho suggerito agli inizi di questo articolo, il turbamento pandemico del lavoro sia stato una esperienza istruttiva. Molti di coloro abbastanza fortunati da aver potuto lavorare da casa hanno compreso sino in fondo quanto detestavano il pendolarismo; alcuni di coloro che lavoravano nel settore del tempo libero e della accoglienza, durante i loro mesi di disoccupazione obbligata, hanno compreso quanto odiavano i loro vecchi posti di lavoro.

E, a quanto pare, i lavoratori sono disponibili a pagare un prezzo per evitare di tornare al passato. Questo, per inciso, può essere particolarmente vero per i lavoratori più anziani, alcuni dei quali sembrano essere usciti dalle forze di lavoro.

Nella misura in cui questa è la spiegazione che sta dietro le recenti “scarsità di lavoro”, quello a cui stiamo assistendo è una cosa positiva, non un problema. In modo contorto, la pandemia può aver offerto a molti americani una possibilità per immaginarsi cosa veramente è importante per loro – e alcuni adesso comprendono che i soldi che gli venivano pagati per posti di lavoro sgradevoli, non erano proprio abbastanza.

 

 

 

 

[1] L’articolo a quel punto offre una possibile connessione con una complicata tabella, che mostra la cosiddetta “Curva di Beveridge” – ovvero il rapporto tra i posti di lavoro disponibili e il tasso di disoccupazione – in situazioni riferite a diversi intervalli temporali (ad esempio, tra un mese del 2007 e un mese di un anno e mezzo dopo). L’intervallo temporale che interessa la situazione attuale, è quello relativo alla evoluzione della “curva” tra il luglio del 2009 e il giugno del 2021. Naturalmente la curva è più bassa – ovvero la relazione tra posti di lavoro disponibili e tasso di disoccupazione è più bassa – quando la disoccupazione è più elevata e ci sono in giro tanti lavoratori che hanno bisogno di cogliere le occasioni disponibili.

Quello che emerge è che il tasso di posti di lavoro disponibili in rapporto ad un livello di disoccupazione di circa il 6%, che in tutti gli altri momenti storici si era collocato in genere attorno ad un valore tra 3 e 4, adesso si colloca attorno ad un valore attorno a 7. Ovvero, il numero di posti di lavoro disponibili resta assai elevato.

 

 

 

 

By


Commenti dei Lettori (0)


E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"