BERKELEY – In August, the International Monetary Fund announced, to much fanfare, that its members had reached a historic agreement to issue $650 billion of special drawing rights (SDRs, the Fund’s unit of account) to meet the COVID-19 emergency. SDRs are bookkeeping claims that governments, through the IMF’s good offices, can convert into dollars and other hard currencies to pay for essential imports, such as vaccines. And $650 billion isn’t peanuts: it’s nearly 1% of global GDP. This could make a big difference for poor countries impacted by the virus.
The problem is that SDRs are allocated according to countries’ quotas, or automatic borrowing rights, within the IMF, and the quota formula depends heavily on countries’ aggregate GDP. As a result, barely 3% of the $650 billion total went to low-income countries, and only 30% went to middle-income emerging markets. Nearly 60% was allocated to high-income countries with no shortage of foreign-currency reserves and no difficulty borrowing to finance budget deficits. More than 17% went to the United States, which can print dollars at will.
The hope was that governments and the IMF would find a way for high-income countries to transfer their SDRs to developing countries in need. So far, there’s little sign of progress in this direction. With the Fund’s annual meetings coming in October, it’s time for the institution – and its members – to step up.
The precedents are not encouraging. In 1965, when serious discussions of creating the SDR first got underway, a group of experts working on behalf of the United Nations Conference on Trade and Development argued that SDRs should be allocated with a view to meeting the development needs of newly independent countries. But when SDRs were issued in 1970, they were allocated instead in proportion to IMF members’ quotas.
Then in 1972-73, spokesmen for developing countries proposed what came to be known as “the link.” They envisaged a bargain whereby advanced economies obtained a reformed international monetary system, in which the SDR performed the function executed by the dollar in the now-defunct Bretton Woods system, and developing countries, in exchange for their support, received the bulk of the next SDR allocation. In the end, developing countries were placated with a promise that the link might be considered in the future, and a second SDR allocation went ahead. As for the link, nothing was done.
And, more recently, when $250 billion of SDRs were issued in 2009 in response to the global financial crisis, the IMF again allocated them according to members’ quotas.
Why might this time be different? Earlier allocations were made to enhance the stability of the international monetary system and the liquidity of international financial markets. These are, in the main, rich-country problems. Today, by contrast, the raison d’être for the allocation is to relax financial constraints on fighting the pandemic. And it is in poor countries where those constraints bite. Rich-country governments know this – or they should.
So how might the resource transfer be accomplished? The IMF already has a Poverty Reduction and Growth Facility, which provides concessional loans, currently at zero interest rates, to low-income countries. High-income countries, which already lend to the PRGT, could use it to recycle their SDRs. But borrowing countries have to negotiate programs with the IMF, which is contentious and time-consuming, and its loans are subject to elaborate conditions. Given that the PRGT lends less than $2 billion in a typical year ($9 billion in 2020), recycling $400 billion of rich-country SDRs, or even a portion of them, appears to be beyond its capacity.
There are two better alternatives. First, the IMF’s shareholders could agree to create a dedicated COVID-19 trust. Conditionality attached to its loans would be limited to verifying that governments are using their concessional borrowing to obtain vaccines and other health-service inputs and are administering them fairly and efficiently. Effective monitoring would not be difficult. Money could be pushed out the door.
Second, members could recycle their SDRs, with intermediation by the IMF, to the regional development banks, which are already authorized to hold SDRs and to convert them into dollars and other hard currencies. This would avoid centralizing the lending process in Washington, DC. The regional development banks have boots on the ground and are attuned to local conditions, and they don’t share the IMF’s reputation as an outside interloper that imposes onerous conditions.
IMF management evidently has its own ideas. Managing Director Kristalina Georgieva has proposed a Resilience and Sustainability Trust, to be funded by recycled SDRs, that would help poor countries finance investments in climate-change mitigation and abatement in coming decades.
That is all well and good. But COVID-19 is the preeminent challenge of 2021. If the IMF and its members fail to meet it, none of their proposals for how to address the challenges of coming decades, climate-changed-related and otherwise, will be regarded as credible.
Questa allocazione dei Diritti Speciali di Prelievo deve essere diversa,
di Barry Eichengreen
BERKELEY – In agosto, il Fondo Monetario Internazionale ha annunciato, con molta enfasi, che i suoi membri avevano raggiunto l’accordo storico di emettere 650 miliardi di dollari di diritti speciali di prelievo (DSP, l’unità di conto del Fondo) per andare incontro all’emergenza del Covid-19. I DSP sono crediti contabili che i Governi, tramite i buoni uffici del FMI, possono convertire in dollari e in altre valute forti per pagare importazioni essenziali, come i vaccini. E 650 miliardi di dollari non sono noccioline: sono quasi l’1% del PIL globale. Per i paesi poveri colpiti dal virus, questo potrebbe fare una grande differenza.
Il problema è che i DSP sono allocati sulla base di quote dei paesi, o diritti automatici di indebitamento, all’interno del FMI, e che la formula delle quote dipende pesantemente dal PIL aggregato dei vari paesi. Di conseguenza, appena il 3% dei 650 miliardi è andato ai paesi a basso reddito, e solo il 30% è andato ai mercati emergenti a medio reddito. Quasi il 60% sono stati destinati a paesi ad alto reddito con nessuna carenza di riserve in valuta estera e nessuna difficoltà a indebitarsi per finanziare i deficit di bilancio. Più del 17% sono andati agli Stati Uniti, che possono stampare dollari a volontà.
La speranza era che i Governi e il FMI avrebbero trovato un modo per far trasferire dai paesi ad alto reddito ai paesi in via di sviluppo che ne hanno bisogno i loro DSP. Sinora, ci sono pochi segni di progresso in questa direzione. Con gli incontri annuali del Fondo in arrivo ad ottobre, è tempo che l’istituzione – e i suoi membri – diano una accelerata.
I precedenti non sono incoraggianti. Nel 1965, quando seri dibattiti per creare i DSP per la prima volta erano in corso, un gruppo di esperti che operava per conto della Conferenza sul Commercio e lo Sviluppo delle Nazioni Unite sostenne che i DSP dovevano essere allocati nella prospettiva di soddisfare i bisogni di sviluppo dei paesi di nuova indipendenza. Ma quando nel 1970 i DSP vennero emessi, vennero invece allocati in proporzione alle quote dei membri del FMI.
Poi nel 1972-72, i portavoce dei paesi in via di sviluppo proposero quello che divenne noto come “il collegamento”. Essi immaginarono una intesa per la quale le economie avanzate ottenevano un sistema monetario internazionale riformato, nel quale i DSP avrebbero svolto la funzione del dollaro nel passato sistema di Bretton Woods, e i paesi in via i sviluppo, in cambio del loro sostegno, avrebbero ricevuto il grosso della prossima allocazione del DSP. Alla fine, i paesi in via di sviluppo vennero placati con una promessa che il collegamento sarebbe stato considerato in futuro, e andò avanti una seconda allocazione dei DSP. Come per il collegamento, non fu fatto niente.
E più di recente, quando nel 2009 sono stati emessi 250 miliardi di dollari di DSP in risposta alla crisi finanziaria globale, il FMI ancora una volta li allocò secondo le quote dei membri.
Perché questa volta potrebbe andare diversamente? Agli inizi le allocazioni venivano fatte per aumentare la stabilità del sistema monetario internazionale e la liquidità dei mercati finanziari internazionali. Questi sono, generalmente, problemi dei paesi ricchi. Oggi, all’opposto, la ragion d’essere della allocazione è attenuare i condizionamenti finanziari nella lotta alla pandemia. Ed è nei paesi poveri che mordono quelle limitazioni. I Governi dei paesi ricchi lo sanno – o dovrebbero saperlo.
Come dunque dovrebbe essere eseguito il trasferimento di risorse? Il FMI ha già un Servizio per la Riduzione della Povertà e per la Crescita (PRGT), che fornisce prestiti agevolati, attualmente a tasso di interesse zero, ai paesi a basso reddito. I paesi ad alto reddito, che già danno prestiti al PRGT, potrebbero usarlo per riciclare i loro DSP. Ma i paesi che si indebitano debbono negoziare i programmi con il FMI, il che comporta controversie e perdite di tempo, e i suoi prestiti sono soggetti a complesse condizioni. Dato che il PRGT presta meno di 2 miliardi di dollari in un anno normale (9 miliardi nel 2020), riciclare 400 miliardi di dollari dei DSP dei paesi ricchi, o anche una parte di essi, sembra andare oltre le sue capacità.
Esistono due alternative migliori. La prima, gli azionisti del FMI potrebbero concordare di creare un fondo fiduciario dedicato al Covid-19. I condizionamenti connessi ai suoi prestiti sarebbero limitati a verificare che i Governi utilizzino il loro indebitamento agevolato per ottenere vaccini ed altri input del servizio sanitario e li amministrino correttamente e con efficienza. Un monitoraggio efficace non sarebbe difficile. Basterebbe mettere i soldi a disposizione.
La seconda, i membri potrebbero riciclare i loro DSP, con l’intermediazione del FMI, alle banche regionali di sviluppo, che sono già autorizzate a detenere DSP e a convertirli in dollari o in altre valute forti. Questo eviterebbe di centralizzare il processo dei prestiti a Washington, DC. Le banche regionali di sviluppo hanno uomini sul campo e sono in sintonia con le condizioni locali, e non condividono la reputazione del FMI di intruso forestiero che impone condizioni onerose.
La direzione del FMI ha evidentemente le proprie idee. L’Amministratrice Delegata Kristalina Georgieva ha proposto un Fondo Fiduciario di Resilienza e Sostenibilità da finanziare con diritti speciali di prelievo riciclati, che aiuterebbe i paesi poveri a finanziare investimenti nella mitigazione e nell’abbattimento del cambiamento climatico nei prossimi decenni.
Questo è tutto giusto e positivo. Ma il Covid-19 è la sfida principale del 2021. Se il FMI e i suoi membri non fossero capaci di fronteggiarla, nessuna delle loro proposte su come affrontare le sfide dei prossimi decenni, connesse col cambiamento climatico o con altro, sarebbe considerata credibile.
By mm
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