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Come impedire che le grandi società affossino il programma di Biden, di Paul Krugman (New York Times, 21 ottobre 2021)

 

Oct. 21, 2021

How Not to Let Corporations Kill Biden’s Agenda

By Paul Krugman

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I’m not one of those liberals who believe that corporate greed is the root of all evil. It’s the root of only some evil; there are other dark forces, especially white nationalism, stalking the U.S. body politic.

But corporate money is surely the villain behind the latest roadblock to President Biden’s agenda: Senator Kyrsten Sinema’s opposition to any rollback to Donald Trump’s big 2017 corporate tax cut.

After all, Sinema, who was in the House of Representatives at the time, voted against that tax cut. And she attacked the tax cut the next year during her run for the Senate. Given that raising taxes on corporations has overwhelming public support, it’s hard to see any reason for her flip other than the corporate lobbying blitz against Build Back Better.

It’s a distressing story. But here’s what you need to know: While the Trump tax cut was bad and should be reversed, reclaiming the lost revenue isn’t essential right now. If the key elements of the Biden agenda — investing in children and in protecting the planet against climate change — have to be paid for in part by borrowing, that’s OK. It would certainly be better than not making those investments at all.

About that tax cut: The Tax Cuts and Jobs Act was sold with claims that a lower corporate tax rate would induce U.S. businesses to bring back money they had invested overseas, leading to a surge in business investment that would increase productivity and wages. This was a slightly more plausible story than the usual justification for tax cuts, the claim that they will give already rich people an incentive to work harder. But none of it happened.

On paper the tax cut act did seem, briefly, to cause a repatriation of money to the United States. For a few quarters after the tax cut, U.S.-based multinationals reported that their overseas subsidiaries were disinvesting and sending their profits home via increased dividends paid to their parent companies. But this was a temporary blip, not a sustained change in behavior.

And there’s no indication that the tax cut led to any increase in business investment here beyond what you would have expected given the economic situation.

The most plausible interpretation of the data is that cutting corporate taxes basically had no economic effect at all. While U.S. businesses report having invested large sums overseas, a lot of that is “phantom” investment, an accounting fiction perpetrated to shift reported profits to low-tax jurisdictions like Ireland. A lower U.S. tax rate reduced the incentive to sustain this fiction, so some money was shifted back onto parent-company books. But nothing real actually happened.

So the Trump tax cut was just the latest in a long series of giveaways to the wealthy that were sold on false pretenses. And Sinema should be ashamed of herself for helping corporate interests perpetuate this grift.

That said, the Biden agenda doesn’t need the revenue from a higher corporate tax rate.

The budget resolution that will make it possible to move forward on that agenda if Sinema and Senator Joe Manchin can be brought on board doesn’t require that all investments in the future be fully paid for. In fact, it allows for up to $1.75 trillion in borrowing. And if opposition from the corporate wing of the Democratic Party — can we stop calling them “moderates”? — prevents tax increases, better to borrow than not to invest.

Should we be worried that increased borrowing would threaten U.S. solvency? No. The interest rate on long-term federal debt is only about 1.65 percent, so even adding $1.75 trillion in debt would mean only about $30 billion added to annual interest costs — 0.15 percent of gross domestic product, which is trivial.

And even this calculation greatly overstates the true debt burden, which should be calculated using the real, that is, inflation-adjusted, interest rate — which is negative.

What about concerns that deficit-financed spending might be inflationary? Again, it’s important to do the math. If the U.S. were to end up borrowing another $1.75 trillion, that would be over the course of a decade, not a single year — and the Congressional Budget Office projects total G.D.P. over the next decade of $288 trillion. So while it might sound as if we’re talking about huge deficit spending, the additional deficit would be only 0.6 percent of G.D.P., which simply isn’t a big deal.

In fact, given the arithmetic you might wonder why Biden ever wanted to raise taxes enough to fully pay for his investment agenda. The answer, I think, was more about the politics than the economics — that pitching his plans as deficit-neutral was supposed to reassure politicians who haven’t caught up with current mainstream economic thinking, and who still regard budget deficits as a major threat.

At this point, however, it looks as if a final budget deal, if there is one, will have to involve substantial borrowing. And that’s OK. We can deplore the the corporate influence that may block some justified tax increases, but borrowing to invest for the future isn’t a bad thing in itself. Hey, businesses do it all the time. So Democrats should just go for it.

 

 

Come impedire che le grandi società affossino il programma di Biden,

di Paul Krugman

 

Io non sono uno di quei progressisti che credono che l’avidità delle grandi società sia la radice di tutti i mali. È la radice soltanto di alcuni mali; ci sono altre forze oscure, specialmente il nazionalismo bianco, che perseguitano le istituzioni statunitensi.

Ma i soldi delle grandi società sono di certo la mascalzonata che è dietro l’ultimo sbarramento all’agenda del Presidente Biden: l’opposizione della Senatrice Kyrsten Sinema [1] ad ogni riduzione del grande taglio delle tasse di Donald Trump del 2017.

Dopo tutto, Sinema, che era al tempo alla Camera dei Rappresentanti, votò contro quel taglio delle tasse. E l’anno dopo attaccò il taglio delle tasse durante la sua corsa per il Senato. Dato che l’aumento della tasse sulle società ha il sostegno schiacciante dell’opinione pubblica, è difficile vedere una qualche ragione per il suo voltafaccia che non sia un blitz della lobby delle grandi società contro il programma del Ricostruire meglio.

È una storia sconfortante. Ma ecco cosa dovete sapere: mentre il taglio delle tasse di Trump fu negativo e dovrebbe essere rovesciato, in questo momento riprendersi le entrate perdute non è essenziale. Se gli elementi cruciali del programma di Biden – investire sui figli e sulla protezione del pianeta contro il cambiamento climatico – devono in parte essere finanziati con l’indebitamento, si può fare. Sarebbe certamente meglio che non fare quegli investimenti per niente.

A proposito di quel taglio delle tasse: la Legge sugli Sgravi Fiscali e sui Posti di Lavoro venne presentata con l’argomento che una aliquota fiscale più bassa avrebbe indotto le imprese statunitensi a portare indietro i soldi che avevano investito all’estero, portando ad una crescita degli investimenti delle imprese che avrebbe aumentato la produttività e i salari. Questa era una storia leggermente più plausibile della consueta giustificazione per gli sgravi fiscali, la pretesa che essi daranno alle persone già ricche un incentivo a lavorare più duramente. Ma non è accaduto niente del genere.

Sulla carta il taglio delle tasse sembrò, per un breve periodo, provocare un rimpatrio del denaro negli Stati Uniti. Per pochi trimestri dopo gli sgravi fiscali, le multinazionali con sede negli Stati Uniti riferirono che le loro sussidiarie all’estero stavano disinvestendo e spedendo i loro profitti a casa tramite il pagamento di accresciuti dividendi alle loro società madri. Ma si trattò di un contrattempo temporaneo, non di una modifica di comportamenti duratura.

E non c’è alcuna indicazione che gli sgravi fiscali abbiano comportato in quel caso alcun accrescimento degli investimenti delle imprese, oltre quello che ci si sarebbe aspettati data la situazione economica.

L’interpretazione più plausibile dei dati è che tagliare le tasse delle società non abbia avuto alcun effetto economico. Mentre le imprese statunitensi resocontano di avere investito grandi somme all’estero, una gran parte di quelli sono investimenti “fantasma”, una finzione contabile per spostare i profitti dichiarati in giurisdizioni con basse tasse come l’Irlanda. Una aliquota fiscale statunitense più bassa ha ridotto gli incentivi a proseguire quella finzione, cosicché una parte del denaro è stata rispostata nei libri contabili delle società madri.  Ma di fatto non è successo niente di reale.

Dunque i tagli delle tasse di Trump erano soltanto l’ultimo di una lunga serie di regali ai ricchi che sono stati rivenduti con falsi pretesti. E Sinema dovrebbe vergognarsi per aiutare gli interessi delle società a perpetuare questa truffa.

Ciò detto, il programma di Biden non ha bisogno delle entrate derivanti da una aliquota fiscale maggiore sulle società.

La risoluzione sul bilancio che renderà possibile andare avanti su quel programma se la Sinema e il Senatore Joe Manchin potranno essere portati a bordo non richiede che tutti gli investimenti nel futuro siano interamente finanziati. Di fatto, essa consente 1.750 miliardi di dollari di indebitamento. E se l’opposizione da parte dell’ala favorevole alle grandi società del Partito Democratico – possiamo smettere di chiamarli “moderati”? – impedisce aumenti delle tasse, meglio indebitarsi che non investire.

Dovremmo essere preoccupati perché l’aumentato indebitamento minaccerebbe la solvibilità degli Stati Uniti? No. Il tasso di interesse sul debito federale a lungo termine è soltanto circa l’1,65 per cento, dunque persino aggiungendo 1.750 miliardi di dollari di debito comporterebbe soltanto circa 30 miliardi di dollari da aggiungere ai costi per gli interessi – lo 0,15 per cento del PIL, che è una cifra banale.

E persino questo calcolo sovrastima l’effettivo peso del debito, che dovrebbe essere calcolato usando il tasso di interesse reale, cioè corretto per l’inflazione – che è negativo.

Che dire delle preoccupazioni secondo le quali la spesa finanziata in deficit potrebbe essere inflattiva? Ancora, è importante fare due conti. Se gli Stati Uniti dovessero finire con l’indebitarsi per ulteriori 1.750 miliardi di dollari, ciò avverrebbe nel corso di un decennio, non di un unico anno – e l’Ufficio Congressuale per il Bilancio stima il PIL totale del prossimo decennio in 288 mila miliardi di dollari. Dunque, mentre potrebbe sembrare che stiamo parlando di una grande spesa in deficit, il deficit aggiuntivo sarebbe soltanto lo 0,6 per cento del PIL, che semplicemente non è un gran problema.

Di fatto, considerata l’aritmetica potreste chiedervi perché mai Biden abbia voluto aumentare le tasse per ripagare pienamente il suo programma di investimenti. La risposta, penso, abbia riguardato più la politica che l’economia – quel promuovere i suoi programmi come neutrali dal punto di vista del deficit si pensava rassicurasse i politici che ancora non si sono aggiornati sul pensiero economico attualmente prevalente, e che considerano i deficit di bilancio come una minaccia importante.

A questo punto, tuttavia, sembra che un accordo finale sul bilancio, se ce ne sarà uno, dovrà comportare un sostanziale indebitamento. E non ci sono problemi. Possiamo deplorare che l’influenza delle società possa bloccare alcuni giustificati aumenti delle tasse, ma investire per il futuro non è una cosa in sé negativa. In fin dei conti, le imprese lo fanno in continuazione. Dunque è quello che i democratici dovrebbero proprio fare.

 

 

 

 

 

[1] È una senatrice del gruppo dei democratici sostanzialmente conservatori, della quale Krugman si era interessato – assieme al suo collega Joe Manchin – nell’articolo precedente sul NYT del 18 ottobre, qua tradotto. Ma questa volta forniamo anche il ritratto:

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