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Perché tutte queste preoccupazioni sull’inflazione? Di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 8 novembre 2021)

 

Nov 8, 2021

Why All the Inflation Worries? 

BRADFORD DELONG

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BERKELEY – In the past three years, technological advances have provided about one percentage point of warranted US real wage growth each year – admittedly, only half the rate of earlier times, but still something. Yet, real wages are currently 4% below their warranted value from adding on the underlying fundamental productivity trend to the pre-pandemic real wage Employment Cost Index (ECI) level. Does that sound like a “high-pressure” labor market to you?

Those who believe that the US labor market is in some sense “tight” point out that the ECI increased by 3.7% in the year to September – well above its 3% annual growth rate in the pre-pandemic years of former US President Donald Trump’s administration. But, because US consumer prices have increased by 5.4% over the past year, the ECI-basis real wage has fallen by 1.7% in that period. In a high-pressure economy with a tight labor market, workers would have enough bargaining power to obtain real wage increases.

Nowcasting is extremely difficult, and hazardous. But the “now” that I see today is the one I forecasted two to three quarters ago. Yes, the recovering US economy, like a driver who suddenly accelerates, is leaving inflationary skid marks on the asphalt. But, as I argued in May, these should not concern us, because “burning rubber to rejoin highway traffic is not the same thing as overheating the engine.”

The US is not currently in a situation where too much money is chasing too few goods, which would result in a surfeit of demand for labor and likely trigger an inflationary spiral. This is despite the fact that the ongoing COVID-19 pandemic and its associated disruptions continue to cause a substantial undersupply of labor.

Today, the US economy’s overall employment-to-population ratio is three percentage points below what we used to regard as its full-employment level. The ratios for women, African-Americans, and workers without a college degree are, respectively, five, 4.5, and four percentage points below this level.

Yet, economists whom I respect talk as if the economy is in serious inflationary trouble. Jason Furman, a former chairman of President Barack Obama’s Council of Economic Advisers, thinks “the original sin was an oversized American Rescue Plan,” the $1.9 trillion recovery package that President Joe Biden signed into law in March. In Furman’s view, it would have been better to have less aggressive policy measures and thus a slower employment and growth recovery this year, because Biden’s plan “contributed to higher output but also higher prices.” And according to the same New York Times report, former US Treasury Secretary Larry Summers thinks that “inflation now risks spiraling out of control.”

The inflation worriers then argue that the COVID-19 crisis has permanently damaged the supply side of the economy by causing a lot of early retirements, as well as lasting disruption to the lean-and-mean supply chains on which a good deal of productivity and prosperity had depended. Perhaps. But similar arguments in the early 2010s, in the aftermath of the 2008 global financial crisis, aimed to justify policies that did not put the pedal to the metal and attempt rapidly to re-employ so-called “zero-marginal-product” workers. One consequence of this timidity was the election of Trump, whose rise was fueled by the rage of those who thought “elites” cared more about immigrants and minorities than they did about blue-collar workers whose economic opportunities had never recovered to pre-2008 levels.

Lastly, some claim that, regardless of whether or not the labor market is tight, inflation – whether driven by supply-side or demand-side factors – is high and salient enough that firms and households will swiftly incorporate it into their expectations. Thus, the inflationary snake has to be scotched now, while it is small, before it grows and devours everything of value.

But so far, rising inflation has not been incorporated into any of the “sticky” prices in the economy, according to the measure constructed by the Atlanta Federal Reserve. True, the financial market’s current 30-year breakeven inflation rate, at 2.35%, is more than half a percentage point above where it settled in the second half of the 2010s. But today’s rate is similar to that in the first half of the decade, and slightly below the level that would be consistent with the US Federal Reserve’s inflation target of 2% per year.

The current uptick in US inflation is highly likely to be simply rubber on the road, resulting from the post-pandemic recovery. There is no sign that inflation expectations have become de-anchored. The labor market is still weak enough that workers are unable to demand substantial increases in real wages. Financial markets are blasé about the possibility of rising inflation. And a substantial fiscal contraction is already in train.

Given these facts, why would anybody argue that the “original sin” was the “oversized American Rescue Plan,” and that tightening monetary policy starting right now is the proper way to expiate it? I, for one, simply cannot follow their logic.

 

Perché tutte queste preoccupazioni sull’inflazione?

Di J. Bradford DeLong

 

BERKELEY – Nei tre anni passati, i progressi della tecnologia ci hanno fornito circa un punto percentuale di crescita assicurata dei salari reali statunitensi all’anno – per la verità, solo la metà del tasso dei tempi andati, ma pur sempre qualcosa. Eppure, i salari reali sono attualmente al di sotto del 4% del loro valore garantito dalla aggiunta della intrinseca tendenza di fondo della produttività al livello prepandemico dei salari reali dell’Indice del Costo del Lavoro (ECI). Questa vi sembra una “forte pressione” sul mercato del lavoro?

Coloro che credono che il mercato del lavoro statunitense sia in un certo senso “ristretto” indicano che l’ECI è cresciuto a settembre del 3,7% su base annua – ben sopra il suo tasso di crescita annuo del 3% negli anni prepandemici della Amministrazione del passato Presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ma, poiché i prezzi al consumo sono aumentati del 5,4% nel corso dell’anno passato, il salario reale sulla base dell’ECI , in quel periodo, è caduto dell’1,7%. In una economia ad elevata pressione con un mercato del lavoro ristretto, i lavoratori avrebbero sufficiente potere contrattuale per ottenere aumenti dei salari reali.

Le previsioni a brevissimo termine sono estremamente difficili ed azzardate. Ma il “brevissimo termine” che io vedo adesso è quello nel quale facevo previsioni due o tre mesi orsono. È vero, l’economia statunitense in ripresa, come un guidatore che accelera all’improvviso, sta lasciando segni di sbandamento inflazionistico sull’asfalto. Ma, come sostenevo a maggio, questi non dovrebbero preoccuparci, perché “bruciare le gomme per ricongiungerci al traffico autostradale non è la stessa cosa che surriscaldare il motore”.

Gli Stati Uniti non sono attualmente in una situazione nella quale molti soldi sono in cerca di pochi prodotti, che consisterebbe in una eccedenza di domanda di lavoro e probabilmente innescherebbe una spirale inflazionistica. Questo nonostante il fatto che la perdurante pandemia da Covid-19 e i disturbi con essa associati continuino a provocare una sostanziale inadeguata offerta di lavoro.

Oggi, il rapporto complessivo dell’economia statunitense tra occupazione e popolazione è tre punti percentuali al di sotto di quello che eravamo soliti considerare come il livello della piena occupazione. Il rapporto per le donne, per gli afro-americani e per i lavoratori senza un titolo di studio superiore sono rispettivamente cinque, 4,5 e quattro punti percentuali al di sotto di quel livello.

Tuttavia, economisti che io rispetto parlano come se l’economia fosse in un serio guaio inflazionistico. Jason Furman, una passato Presidente del Comitato dei Consulenti Economici del Presidente Barack Obama, pensa che “il peccato originale sia stato una sovradimensionato Programma Americano di Salvataggio”, il pacchetto dei 1.900 miliardi per la ripresa che il Presidente Joe Biden ratificò in legge a marzo. Secondo Furman, sarebbe stato meglio avere misure politiche meno aggressive e quindi una ripresa di occupazione e di crescita più lente quest’anno, perché il programma di Biden “ha contribuito ad una produzione più elevata ma anche a prezzi più elevati”. E secondo lo stesso resoconto del New York Times, il passato Segretario al Tesoro Larry Summers pensa che “oggi l’inflazione rischia di crescere fuori controllo”.

Coloro che sono in ansia per l’inflazione sostengono poi che la crisi del Covid-19 ha permanentemente danneggiato il versante dell’offerta dell’economia provocando una gran quantità di pensionamenti anticipati, anche nel mentre persiste una turbativa su scarne ed essenziale catene dell’offerta sulle quali faceva affidamento una buona parte della produttività e della prosperità. Può essere. Ma argomenti simili agli inizi del decennio 2010, in conseguenza della crisi finanziaria globale del 2008, furono rivolti a giustificare politiche che non spingevano al massimo sull’acceleratore e tentavano rapidamente di rioccupare i lavoratori del cosiddetto “prodotto marginale zero”. Una conseguenza di questa timidezza fu l’elezione di Trump, la cui ascesa fu alimentata dalla rabbia di coloro che pensavano che le “elite” si occupavano più di immigrati e minoranze che non dei lavoratori della produzione, le cui opportunità economiche non si sono mai riprese sino ai livelli precedenti il 2008.

Infine, alcuni sostengono che, a prescindere dal fatto che il mercato del lavoro sia o no ristretto, l’inflazione – spinta da fattori dl lato dell’offerta o dal lato della domanda – è alta e sufficientemente in crescita da finire rapidamente incorporata nelle aspettative delle imprese e delle famiglie. Dunque, il serpente inflazionistico deve essere fermato adesso, quando è piccolo, prima che cresca e divori tutto il valore.

Ma sinora, la crescente inflazione non è stata incorporata in nessuno dei prezzi “vischiosi” dell’economia, secondo le misurazioni elaborate dalla Federal Reserve di Atlanta. È vero, l’attuale tasso di inflazione di pareggio [1], al 2,35%, è più di metà punto percentuale superiore rispetto a dove si collocava nella prima metà del decennio del 2010. Ma il tasso odierno è simile a quello della prima metà del decennio, e leggermente inferiore al livello che sarebbe coerente con l’obbiettivo di inflazione annua del 2% della Federal Reserve degli Stati Uniti.

È assai probabile che l’attuale incremento dell’inflazione statunitense sia semplicemente la traccia del pneumatico sulla strada, conseguente alla ripresa postpandemica. Non c’è alcun segno che le aspettative di inflazione siano diventate disancorate. Il mercato del lavoro è ancora debole a sufficienza da non consentire ai lavoratori di chiedere aumenti sostanziali nei salari reali. I mercati finanziari sono apatici sulla possibilità di una inflazione in crescita. E una sostanziale contrazione della finanza pubblica è già in atto.

Considerati questi fatti, in che senso si può sostenere che il “peccato originale” sia stato un “eccessivo Programma Americano di Salvataggio”, e che la restrizione della politica monetaria che sta partendo adesso sarebbe il modo appropriato per farne ammenda? Per quello che mi riguarda, io semplicemente non riesco a seguire la loro logica.

 

 

 

 

 

[1] Il tasso di inflazione di pareggio, detto anche tasso di break-even, è il tasso che rende uguale il rendimento a scadenza del titolo nominale a tasso fisso e il rendimento del titolo reale della medesima durata.

 

 

 

 

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