Jan. 27, 2022
By Paul Krugman
If the stock market isn’t the economy — which it isn’t — then cryptocurrencies like Bitcoin really, really aren’t the economy. Still, crypto has become a pretty big asset class (and yielded huge capital gains to many buyers); by last fall the combined market value of cryptocurrencies had reached almost $3 trillion.
Since then, however, prices have crashed, wiping out around $1.3 trillion in market capitalization. As of Thursday morning, Bitcoin’s price was almost halfway down from its November peak. So who is being hurt by this crash, and what might it do to the economy?
Well, I’m seeing uncomfortable parallels with the subprime crisis of the 2000s. No, crypto doesn’t threaten the financial system — the numbers aren’t big enough to do that. But there’s growing evidence that the risks of crypto are falling disproportionately on people who don’t know what they are getting into and are poorly positioned to handle the downside.
What’s this crypto thing about? There are many ways to make digital payments, from Apple Pay and Google Pay to Venmo. Mainstream payment schemes, however, rely on a third party — usually your bank — to verify that you actually own the assets you’re transferring. Cryptocurrencies use complex coding to supposedly do away with the need for these third parties.
Skeptics wonder why this is necessary and argue that crypto ends up being an awkward, expensive way to do things you could have done more easily in other ways, which is why cryptocurrencies still have few legal applications 13 years after Bitcoin was introduced. The response, in my experience, tends to take the form of incomprehensible word salad.
Recent developments in El Salvador, which adopted Bitcoin as legal tender a few months ago, seem to bolster the skeptics: Residents attempting to use the currency find themselves facing huge transaction fees. Still, crypto has been effectively marketed: It manages both to seem futuristic and to appeal to old-style goldbug fears that the government will inflate away your savings, and huge past gains have drawn in investors worried about missing out. So crypto has become a large asset class even though nobody can clearly explain what legitimate purpose it’s for.
But now crypto has crashed. Maybe it will recover and soar to new heights, as it has in the past. For now, however, prices are way down. Who are the losers?
As I said, there are disturbing echoes of the subprime crash 15 years ago.
Crypto is unlikely to cause an overall economic crisis. It’s a big world out there, and even $1.3 trillion in losses is only about six percent of U.S. gross domestic product, a hit that’s an order of magnitude smaller than the effects of falling home prices when the housing bubble burst. And activities like Bitcoin mining, while environmentally destructive, are economically trivial compared with home-building, whose plunge played a large role in causing the Great Recession.
Still, some people are being hurt. Who are they?
Investors in crypto seem to be different from investors in other risky assets, like stocks, who consist disproportionately of affluent, college-educated whites. According to a survey by the research organization NORC, 44 percent of crypto investors are nonwhite, and 55 percent don’t have a college degree. This matches up with anecdotal evidence that crypto investing has become remarkably popular among minority groups and the working class.
NORC says that this is great, that “cryptocurrencies are opening up investing opportunities for more diverse investors.” But I remember the days when subprime mortgage lending was similarly celebrated — when it was hailed as a way to open up the benefits of homeownership to previously excluded groups.
It turned out, however, that many borrowers didn’t understand what they were getting into. Ned Gramlich, a Federal Reserve official who famously warned in vain about the growing financial dangers, asked, “Why are the most risky loan products sold to the least sophisticated borrowers?” He then declared, “The question answers itself.” Homeownership dropped sharply once the bubble burst.
And cryptocurrencies, with their huge price fluctuations seemingly unrelated to fundamentals, are about as risky as an asset class can get.
Now, maybe those of us who still can’t see what cryptocurrencies are good for other than money laundering and tax evasion are just missing the picture. Maybe the rising valuation (although not use) of Bitcoin and its rivals represents something more than a bubble, in which people buy an asset simply because other people have made money off that asset in the past. And it’s OK for investors to bet against the skeptics.
But these investors should be people who are both well equipped to make that judgment and financially secure enough to bear the losses if it turns out that the skeptics are right.
Unfortunately, that’s not what is happening. And if you ask me, regulators have made the same mistake they made on subprime: They failed to protect the public against financial products nobody understood, and many vulnerable families may end up paying the price.
Come le criptovalute sono diventate i nuovi ‘subprime’ [1],
di Paul Krugman
Se il mercato azionario non è l’economia – come non è – allora le criptovalute come il Bitcoin davvero non sono l’economia. Eppure sono diventate una classe di asset abbastanza grande (ed hanno generato enormi guadagni di capitale per molti compratori); nell’ultimo autunno il valore complessivo di mercato delle criptovalute aveva raggiunto quasi 3 mila miliardi di dollari.
Da allora, tuttavia, i prezzi sono crollati, spazzando via circa 1.300 miliardi di capitalizzazione sul mercato. Nella mattinata di giovedì, il prezzo del Bitcoin era quasi a mezza strada rispetto al picco di novembre. Dunque, chi è stato danneggiato da questo crollo e cosa potrebbe rappresentare esso per l’economia?
Ebbene, io sto osservando somiglianze sconfortanti con la crisi dei ‘subprime’ degli anni 2000. Non si tratta del fatto che le criptovalute minaccino il sistema finanziario – i numeri non sono grandi abbastanza per quello. Ma ci sono prove crescenti che i rischi delle criptovalute ricadono sproporzionatamente su persone che non sanno dove si stanno infilando e che sono attrezzate in modo modesto per gestire le perdite.
Che cosa riguarda il fenomeno delle criptovalute? Ci sono molti modi per fare pagamenti digitali, da Apple Pay a Google Pay a Venmo. I modelli principali di pagamento, tuttavia, si basano su una parte terza – solitamente la vostra banca – per verificare che effettivamente si possiedano gli asset che si stanno trasferendo. Le criptovalute usano una codificazione complicata che si suppone consenta di fare a meno di queste terze parti.
Gli scettici si chiedono perché questo sia necessario e sostengono che le criptovalute finiscono con l’essere un modo scomodo e costoso per fare ciò che si potrebbe fare più facilmente altrimenti, che è la ragione per la quale le criptovalute hanno ancora poche applicazioni legali, dopo 13 anni da quando venne introdotto il Bitcoin. Secondo la mia esperienza, la risposta a questa obiezione tende a prendere la forma di un incomprensibile guazzabuglio di parole.
I recenti sviluppi in El Salvador, che pochi mesi fa adottò il Bitcoin come valuta legale, sembrano dare conferma agli scettici: i residenti che cercano di usare la valuta si ritrovano di fronte ad elevate tariffe di transazione. Eppure, la criptovaluta è stata effettivamente messa su mercato: essa funziona il modo da sembrare sia futuristica che da attrarre le paure vecchio stile dei patiti dell’oro secondo le quali i Governi finiscono sempre per erodere i vostri risparmi, e i grandi guadagni del passato hanno attratto gli investitori preoccupati di lasciarsi sfuggire una occasione. Dunque le criptovalute sono diventate una ampia classe di asset, anche se nessuno sa chiaramente spiegare quale scopo legittimo abbiano.
Ma adesso le cripto sono crollate. Forse si riprenderanno e schizzeranno a nuove vette, come hanno fatto nel passato. Per il momento, tuttavia, i valori sono molto in basso. Chi sono i perdenti?
Come ho detto, ci sono fastidiose rimembranze del crollo dei ‘subprime’ di 15 anno orsono.
È improbabile che le criptovalute provochino una crisi economica complessiva. Fuori da esse c’è un gran mondo, e persino 1.300 miliardi di dollari di perdite sono appena il sei per cento del prodotto interno lordo degli Stati Uniti, un colpo che è di un ordine di grandezza più piccolo del declino dei prezzi delle abitazioni quando scoppiò la bolla immobiliare. E le attività connesse con ‘l’estrazione’ del Bitcoin, mentre sono ambientalmente distruttive [2], sono economicamente insignificanti al confronto con la costruzione di abitazioni, il cui crollo giocò un ruolo grande nel provocare la Grande Recessione.
Eppure, alcune persone vengono danneggiate. Chi sono costoro?
Gli investitori nelle cripto sembrano essere diversi dagli investitori in altri asset rischiosi, che consistono soprattutto di persone di razza bianca ricche e con istruzione universitaria. Secondo un sondaggio a cura della organizzazione di ricerca NORC, il 44 per cento degli investitori in criptovalute non sono bianchi e il 55 per cento non hanno titoli universitari. Questo si abbina ai riscontri aneddotici secondo i quali investire nelle cripto è diventato considerevolmente popolare nei gruppi delle minoranze e nella popolazione lavoratrice.
NORC afferma che questa è una gran cosa, che “le criptovalute stanno aprendo opportunità di investimento per gli investitori più diversi”. Ma io ricordo i giorni nei quali la concessione dei mutui ‘subprime’ veniva celebrata in modo simile – quando veniva salutata per aprire i benefici della proprietà di una abitazione ai gruppi sociali precedentemente esclusi.
Si scoprì, tuttavia, che molti di coloro che si indebitavano non capivano dove si stessero cacciando. Nel Gramlich, un dirigente della Federal Reserve che notoriamente aveva messo invano in guardia sui crescenti pericoli finanziari, si chiedeva: “Perché i tipi di prestito più rischiosi vengono concessi ai debitori meno sofisticati?” E poi affermava: “La domanda si risponde da sola”. Una volta che la bolla scoppiò, i proprietari di abitazioni precipitarono bruscamente.
E le criptovalute, con le loro fluttuazioni molto grandi dei prezzi in apparenza scollegate con i fattori economici fondamentali, sono circa altrettanto rischiose come può esserlo una classe di asset.
Ora, forse a coloro tra noi che ancora non sanno rendersi conto che le criptovalute siano utili – ad eccezione del riciclaggio del denaro sporco e della evasione fiscale – sta proprio sfuggendo il quadro più ampio. Forse la crescente valutazione del Bitcoin e dei suoi rivali rappresenta qualcosa di più di una bolla, nella quale le persone acquistano un asset perché altre persone hanno fatto soldi con quell’asset nel passato. E forse è positivo che gli investitori scommettano contro gli scettici.
Ma questi investitori dovrebbero essere persone sia ben attrezzate per esprimere quella opinione che finanziariamente abbastanza sicure da sopportare le perdite se si scoprisse che gli scettici hanno ragione.
Sfortunatamente, non è quello che sta avvenendo. E se volete il mio parere, i regolatori hanno fatto lo stesso errore che fecero con i ‘subprime’: non sono riusciti a proteggere il pubblico contro prodotti finanziari che nessuno capisce, e molte famiglie vulnerabili possono finire col pagarne il prezzo.
[1] Subprime è un termine della lingua inglese che indica quei prestiti che, nel contesto finanziario statunitense, vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore. Dalla metà degli anni novanta le banche americane cominciarono a concedere massicciamente mutui a clienti non meritevoli di fiducia creditizia. La successiva insolvenza di massa di questi mutuatari, però (aggravata dall’aumento dei tassi), ha contribuito in maniera determinante alla crisi finanziaria scoppiata 13 anni dopo.
[2] Il “mining” delle criptovalute – ovvero la loro ‘estrazione’ nel momento in cui si realizza l’operazione informatica di ogni transazione – hanno un costo energetico molto elevato, al punto da essere rilevanti anche sotto il profilo ambientale. Ovviamente Internet in quanto tale non inquina – almeno non inquina direttamente l’ambiente – ma l’energia necessaria per la complicate operazioni di transazione ha dimensioni tali da essere ambientalmente assai rilevante.
By mm
E' possibile commentare l'articolo nell'area "Commenti del Mese"