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Il riciclaggio del denaro sporco potrebbe essere il tallone di Achille di Putin, di Paul Krugman (NewYork Times, 24 febbraio 2022)

 

Feb. 24, 2022

Laundered Money Could Be Putin’s Achilles’ Heel

By Paul Krugman

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The United States and its allies aren’t going to intervene with their own forces against Vladimir Putin’s invasion of Ukraine. I’ll leave it to others with relevant expertise to speculate about whether we’ll send more arms to the Ukrainian government or, if the Russian attack achieves quick success, help arm the Ukrainian resistance.

For the most part, however, the West’s response to Putin’s naked aggression will involve financial and economic sanctions. How effective can such sanctions be?

The answer is that they can be very effective, if the West shows the will — and is willing to take on its own corruption.

By conventional measures the Putin regime doesn’t look very vulnerable, at least in the short run.

True, Russia will eventually pay a heavy price. There won’t be any more pipeline deals; there will be hardly any foreign direct investment. After all, who will want to make long-term commitments to a country whose autocratic leadership has shown such reckless contempt for the rule of law? But these consequences of Putin’s aggression will take years to become visible.

And there seems to be only limited room for trade sanctions. For that, we can and should blame Europe, which does far more trade with Russia than America does.

The Europeans, unfortunately, have fecklessly allowed themselves to become highly dependent on imports of Russian natural gas. This means that if they were to attempt a full-scale cutoff of Russian exports they would impose soaring prices and shortages on themselves. Given sufficient provocation, they could still do it: Modern advanced economies can be incredibly resilient in times of need.

But even the invasion of Ukraine probably won’t be enough to persuade Europe to make those sorts of sacrifices. It’s telling, and not in a good way, that Italy wants luxury goods — a favorite purchase of the Russian elite — excluded from any sanctions package.

Financial sanctions, reducing Russia’s ability to raise and move money overseas, are more easily doable — indeed, on Thursday President Biden announced plans to crack down on Russian banks. But the effects will be limited unless Russia is excluded from SWIFT, the Belgium-based system for payments between banks. And a SWIFT exclusion might in practice mean a stop to Russian gas supplies, which brings us back to the problem of Europe’s self-inflicted vulnerability.

Yet the world’s advanced democracies have another powerful financial weapon against the Putin regime, if they’re willing to use it: They can go after the vast overseas wealth of the oligarchs who surround Putin and help him stay in power.

Everyone has heard about giant oligarch-owned yachts, sports franchises and incredibly expensive homes in multiple countries; there’s so much highly visible Russian money in Britain that some people talk about “Londongrad.” Well, these aren’t just isolated stories.

Filip Novokmet, Thomas Piketty and Gabriel Zucman have pointed out that Russia has run huge trade surpluses every year since the early 1990s, which should have led to a large accumulation of overseas assets. Yet official statistics show Russia with only moderately more assets than liabilities abroad. How is that possible? The obvious explanation is that wealthy Russians have been skimming off large sums and parking them abroad.

The sums involved are mind-boggling. Novokmet et al estimate that in 2015 the hidden foreign wealth of rich Russians amounted to around 85 percent of Russia’s G.D.P. To give you some perspective, this is as if a U.S. president’s cronies had managed to hide $20 trillion in overseas accounts. Another paper co-written by Zucman found that in Russia, “the vast majority of wealth at the top is held offshore.” As far as I can tell, the overseas exposure of Russia’s elite has no precedent in history — and it creates a huge vulnerability that the West can exploit.

But can democratic governments go after these assets? Yes. As I read it, the legal basis is already there, for example in the Countering America’s Enemies Through Sanctions Act, and so is the technical ability. Indeed, Britain froze the assets of three prominent Putin cronies earlier this week, and it could give many others the same treatment.

So we have the means to put enormous financial pressure on the Putin regime (as opposed to the Russian economy). But do we have the will? That’s the trillion-ruble question.

There are two uncomfortable facts here. First, a number of influential people, both in business and in politics, are deeply financially enmeshed with Russian kleptocrats. This is especially true in Britain. Second, it will be hard to go after laundered Russian money without making life harder for all money-launderers, wherever they come from — and while Russian plutocrats may be the world champions in that sport, they’re hardly unique: Ultrawealthy people all over the world have money hidden in offshore accounts.

What this means is that taking effective action against Putin’s greatest vulnerability will require facing up to and overcoming the West’s own corruption.

Can the democratic world rise to this challenge? We’ll find out over the next few months.

 

Il riciclaggio del denaro sporco potrebbe essere il tallone di Achille di Putin,

di Paul Krugman

 

Gli Stati Uniti e i loro alleati non interverranno con le loro proprie forze contro l’invasione dell’Ucraina da parte di Putin. Lascio ad altri competenti sulla materia di ragionare se spediremo più armi al Governo ucraino o, nel caso che l’attacco russo ottenga un rapido successo, se aiuteremo con le armi la resistenza ucraina.

Per la maggior parte, tuttavia, la risposta dell’Occidente a Putin consisterà in sanzioni finanziarie ed economiche. Quanto possono essere efficaci queste sanzioni?

La risposta è che esse possono essere molto efficaci, se l’Occidente mostra determinazione – ed è disponibile a sfidare la sua stessa corruzione.

Secondo i criteri convenzionali, il regime di Putin non sembra molto vulnerabile, almeno nel breve periodo.

È vero, alla fine la Russia pagherà un prezzo pesante. Non ci saranno più accordi sui gasdotti; difficilmente ci saranno investimenti diretti all’estero. Dopo tutto, chi vorrà prendere impegni a lungo termine con un paese la cui dirigenza autocratica ha mostrato un tale avventato disprezzo per lo stato di diritto? Ma ci vorranno anni perché queste conseguenze della aggressione di Putin divengano visibili.

E sembra ci sia solo uno spazio limitato per le sanzioni commerciali. Per quello possiamo e dovremmo dare la responsabilità all’Europa, che ha molti più scambi commerciali con la Russia dell’America.

Gli europei, sfortunatamente, si sono concessi irresponsabilmente di diventare altamente dipendenti dalle importazioni di gas naturale russo. Questo comporta che se dovessero tentare di tagliare su vasta scala le esportazioni russe, dovrebbero imporre a loro stessi prezzi e scarsità crescenti. A fronte di una provocazione adeguata potrebbero ancora farlo: le economie avanzate moderne nei tempi del bisogno possono essere incredibilmente resilienti.

Ma persino l’invasione dell’Ucraina probabilmente non sarà sufficiente a persuadere l’Europa a sacrifici di questa natura. Si racconta, e non con toni positivi, che l’Italia voglia l’esclusione dei beni di lusso – gli acquisti favoriti dell’elite russa – da ogni pacchetto di sanzioni [1].

Le sanzioni finanziarie, che riducono la capacità della Russia di raccogliere e muovere capitali all’estero, sono più facilmente fattibili – in effetti giovedì il Presidente Biden ha annunciato piano per un giro di vite sulle banche russe. Ma gli effetti saranno limitati a meno che la Russia non sia esclusa dal SWIFT, il sistema dei pagamenti tra le banche con sede in Belgio. E una esclusione dal SWIFT potrebbe in pratica comportare uno stop alle offerte di gas russo, il che ci riporta al problema della vulnerabilità che l’Europa si è inflitta da sola.

Tuttavia le democrazie avanzate del mondo hanno un’altra arma potente contro il regime di Putin, se sono disponibili ad usarla: possono perseguire le enormi ricchezze estere degli oligarchi che stanno attorno a Putin e lo aiutano a restare al potere.

Tutti hanno sentito parlare dei giganteschi yacht e delle case incredibilmente costose posseduti dagli oligarchi e nel mondo degli sport: c’è così tanto visibilissimo denaro russo in Inghilterra che alcuni parlano di “Londongrad[2]. Ebbene, non sono soltanto racconti isolati.

Filip Novokmet, Thomas Piketty e Gabriel Zucman hanno messo in evidenza che la Russia ha gestito ogni anno enormi surplus commerciali a partire dai primi anni ’90, che dovrebbero aver portato ad una grande accumulazione di asset all’estero. Tuttavia le statistiche ufficiali mostrano che la Russia ha moderatamente più asset che passività all’estero. Come è possibile? La spiegazione ovvia è che i magnati russi abbiano fatto la cresta di grandi somme e le abbiano parcheggiate all’estero [3].

Le somme in questione sono strabilianti. Novokmet e gli altri stimano che nel 2015 la ricchezza straniera dei magnati russi corrispondeva a circa l’85 per cento del PIL russo. Per darvi un termine di paragone, è come se le clientele del Presidente statunitense fossero riuscite a nascondere 20 mila miliardi di dollari nei conti all’estero. Un altro studio elaborato assieme a Zucman ha scoperto che in Russia “la grande maggioranza della ricchezza tra i più ricchi è detenuta all’estero”. Per quanto posso dire, l’esposizione all’estero delle classi dirigenti russe non ha precedenti nella storia – ed essa crea una enorme vulnerabilità che l’Occidente può sfruttare.

Ma i Governi democratici possono perseguire questi asset? Possono farlo. Per come la interpreto, la basi legali già esistono, nella Legge per Contrastare i Nemici dell’America attraverso Sanzioni [3],  e di conseguenza c’è la fattibilità tecnica. In effetti l’Inghilterra agli inizi di questa settimana ha congelato gli asset di tre eminenti sodali di Putin, e potrebbe dare a molti altri lo stesso trattamento.

Dunque, abbiamo i mezzi per esercitare una enorme pressione finanziaria sul regime di Putin (anziché sull’economia russa). Ma abbiamo anche la volontà? È questa la domanda da mille miliardi di rubli.

Sotto questo aspetto, ci sono due fatti sconfortanti. Il primo, un certo numero di persone influenti, sia negli affari che nella politica, sono profondamente coinvolti dal punto di vista finanziario con i cleptocrati russi. Questo è particolarmente vero in Inghilterra. Il secondo, sarà difficile perseguire il riciclaggio del denaro russo senza rendere la vita più difficile a tutti i i riciclatori di denaro, da qualsiasi parte provengano – e se i plutocrati russi in quello sport sono forse i campioni del mondo, non sono certo gli unici: in tutto il mondo le persone ultraricche hanno denaro nascosto nei conti esteri.

Quello che questo comporta è che assumere una iniziativa efficace contro la più grande vulnerabilità di Putin richiederà di misurarsi e di prevalere sulla stessa corruzione dell’Occidente.

Il mondo democratico può essere all’altezza di questa sfida? Lo scopriremo nei prossimi mesi.

 

 

 

 

 

[1] La connessione nel testo inglese è con un articolo del NYT da Bruxelles. Ma l’unico riferimento all’Italia in quell’articolo è relativo al fatto che alcuni oligarchi russi possiedono lussuose ville italiane, ad esempio sul Lago di Como.

[2] In lingua russa, “la città di Londra”.

[3]  Le ricerche di Novokmet, Piketty e Zucman sono ampiamente sintetizzate in una articolo tradotto su Fata Turchina del 9 novembre 2017, dal titolo “Dai soviet agli oligarchi: ineguaglianza e patrimoni in Russia dal 1905 al 2017″.

[4] È una legge statunitense del febbraio del 2021. Nel titolo effettivo della legge, il riferimento è agli “avversari” e non ai “nemici” dell’America, che vengono delimitati ai casi della Russia, dell’Iran e della Corea del Nord.

 

 

 

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