March 24, 2022
By Paul Krugman
Rising prices will get worse before they get better. Russia’s invasion of Ukraine has caused the prices of oil, wheat and other commodities to soar. Official measures of the cost of shelter don’t yet fully reflect last year’s surge in the cost of newly rented apartments. So there’s still a lot of inflation in the pipeline.
The Federal Reserve, however, believes that high inflation will be a temporary phenomenon. Furthermore, the Fed believes that it can bring inflation down relatively painlessly — that it can achieve a so-called soft landing.
But doesn’t this fly in the face of history? After all, the last time America had to bring high inflation under control, during the 1980s, the cost was immense. The unemployment rate soared to 10.8 percent and didn’t get back to 1979 levels until 1987. Are there good reasons to believe that this time is different?
Actually, there are. The landing probably won’t be as soft as the Fed envisions, but this time disinflation shouldn’t, or at least needn’t, be an extremely painful process.
To see why, we need to look at history more closely and appreciate the important differences between the last big inflation and our current situation.
Forty years ago, as many economists will tell you, inflation was “entrenched” in the economy. That is, businesses, workers and consumers were making decisions based on the belief that high inflation would continue for many years to come.
One way to see this entrenchment is to look at the wage contracts — typically for three years — that unions were negotiating with employers. Even then, most workers weren’t unionized, but these deals are a useful indicator of what was probably happening to wage- and price-setting more generally.
So what did those wage deals look like? In 1979, union settlements with large companies that didn’t include a cost-of-living adjustment specified an average wage increase of 10.2 percent in the first year and an annual average of 8.2 percent over the life of the contract. As late as 1981, the United Mine Workers negotiated a contract that would raise wages 11 percent annually over the next several years.
Why were workers demanding, and employers willing to grant, such big pay hikes? Because everyone expected high inflation to persist for a long time. In 1980 the Blue Chip survey of professional forecasters predicted 8 percent annual inflation over the next decade. Consumers surveyed by the University of Michigan expected prices to rise by about 9 percent annually over the next five to 10 years.
With everyone expecting inflation to continue, workers wanted raises that would keep up with rising prices, and employers were willing to grant those raises because they expected their competitors’ costs to be rising as fast as their own. What this did, in turn, was make inflation self-perpetuating: Everyone was raising prices in anticipation of everyone else raising prices.
Ending this cycle required a huge shock — an economy so depressed both that inflation fell and that workers were compelled to accept major concessions.
Things are very different now. Back then almost everyone expected persistent high inflation; now few people do. Bond markets expect inflation eventually to return to prepandemic levels. While consumers expect high inflation over the next year, their longer-term expectations remain “anchored” at fairly moderate levels. Professional forecasters expect inflation to moderate next year.
This means that we almost surely aren’t experiencing the kind of self-perpetuating inflation that was so hard to end in the 1980s. A lot of recent inflation will subside when oil and food prices stop rising, when the prices of used cars, which rose 41 percent (!) over the past year during the shortage of new cars, come down, and so on. The big surge in rents also appears to be largely behind us, although the slowdown won’t show up in official numbers for a while. So it probably won’t be necessary to put the economy through an ’80s-style wringer to get inflation down.
That said, the Fed is probably too optimistic in believing that we can get inflation under control without any rise in unemployment. Statistical measures like the unprecedented number of unfilled job openings, anecdotal evidence of labor shortages and, yes, wage increases suggest that the job market is running unsustainably hot. Cooling that market off will probably require accepting an uptick in the unemployment rate, although not a full-on recession.
And for what it’s worth, the Fed’s plan for gradual rate hikes, which has already led to a major rise in mortgage rates, is likely to cause that unfortunately necessary cooling-off, especially combined with the fact that fiscal policy has turned contractionary as the big spending of early 2021 recedes in the rearview mirror.
So my message for those intoning dire warnings about the return of ’70s-type stagflation — which some of them have been itching to do for years — is that they should look at their history more carefully. The inflation of 2021-22 looks very different, and much easier to solve, from the inflation of 1979-80.
Come scenderà l’alta inflazione,
di Paul Krugman
Gli aumenti dei prezzi peggioreranno, prima di migliorare. L’invasione russa dell’Ucraina ha fatto schizzare in alto i prezzi del petrolio, del grano e di altre materie prime. Le misurazione ufficiali del costo delle spese abitative non riflettono ancora pienamente l’impennata dello scorso anno nel costo dei nuovi appartamenti in affitto. Dunque, c’è ancora molta inflazione nei condotti dell’economia.
La Federal Reserve, tuttavia, crede che l’alta inflazione sarà un fenomeno temporaneo. Inoltre, la Fed crede di poter far scendere l’inflazione in modo relativamente indolore – di poter ottenere un cosiddetto atterraggio morbido.
Ma questo non è in aperta contraddizione con la storia? Dopo tutto, l’ultima volta che l’America dovette riportare l’alta inflazione sotto controllo, durante gli anni ’80, il costo fu immenso. Il tasso di disoccupazione salì al 10,8 per cento e non tornò ai livelli del 1979 prima del 1987. Ci sono buone ragioni per credere che questa volta sarà diverso?
In effetti, ci sono. L’atterraggio probabilmente non sarà così morbido come si immagina la Fed, ma questa volta la disinflazione non dovrebbe essere un fenomeno estremamente doloroso, o almeno non ce n’è bisogno.
Per capire perché, dobbiamo guardare alla storia in modo più attento e considerare le importanti differenze tra l’ultima grande inflazione e la nostra situazione attuale.
Quaranta anni fa, come vi diranno molti economisti, l’inflazione si era “incorporata” nell’economia. Cioè, le imprese, i lavoratori ed i consumatori prendevano decisioni basare sulla convinzione che l’elevata inflazione sarebbe proseguita per molti anni a venire.
Un modo per intendere questa ‘incorporazione’ è osservare i contratti salariali – normalmente della durata di tre anni – che i sindacati stavano negoziando con i datori di lavoro. Anche allora, la maggioranza dei lavoratori non erano sindacalizzati, ma questi accordi sono un indicatore utile di cosa stesse accadendo nella fissazione dei salari e più in generale dei prezzi.
Dunque, a cosa assomigliavano quelle intese salariali? Nel 1979, gli accordi sindacali con le grandi società che non includevano un adeguamento al costo della vita prevedevano un aumento medio dei salari del 10,2 per cento per i primo anno e un aumento medio annuale dell’8,2 per cento per la durata del contratto. Ancora nel 1981, i Lavoratori Uniti delle Miniere negoziarono un contratto che avrebbe elevato annualmente i salari dell’11 per cento per vari anni successivi.
Perché i lavoratori chiedevano, e i datori di lavoro erano disponibili a concedere, tali forti aumenti dei compensi? Perché tutti si aspettavano che l’inflazione persistesse per un lungo tempo. Nel 1980 il sondaggio tra gli analisti professionali delle società più quotate in Borsa prevedeva una inflazione annua dell’8 per cento per il decennio successivo. I consumatori oggetto di sondaggi dall’Università del Michigan si aspettavano prezzi in crescita annuale per circa il 9 per cento, per un periodo dai cinque ai dieci anni successivi.
Con tutti che si aspettavano che l’inflazione continuasse, i lavoratori volevano aumenti che tenessero il passo con i prezzi in crescita, e i datori di lavoro erano disponibili a garantire quegli aumenti perché si aspettavano che i costi dei loro concorrenti crescessero al pari dei propri. Quello che questo comportava, a sua volta, era una inflazione che si auto riproduceva: ognuno elevava in anticipo i prezzi prima che tutti gli altri li aumentassero.
Per porre un termine a questo ciclo ci volle un enorme shock – una economia così depressa che l’inflazione cadde e i lavoratori vennero costretti ad accettare importanti concessioni.
Oggi le cose sono molto diverse. Allora quasi tutti si aspettavano un persistente inflazione elevata, oggi poche persone se lo aspettano. I mercati delle obbligazioni si aspettano che l’inflazione alla fine torni ai livelli precedenti la pandemia. Mentre i consumatori si aspettano alta inflazione nel prossimo anno, le loro aspettative a più lungo termine restano “ancorate” a livelli piuttosto moderati. Gli analisti di professione si aspettano che l’inflazione si attenui il prossimo anno.
Questo comporta che quasi sicuramente non stiamo sperimentando quel tipo di inflazione che si autoperpetua che fu così difficile da interrompere negli anni ’80. Una buona parte dell’inflazione recente recederà quando i prezzi del petrolio e dei generi alimentari smetteranno di crescere, quando scenderanno i prezzi delle auto usate, che sono cresciuti del 41 per cento (!) nell’anno passato, nel periodo della carenza di nuove automobili, e così via. Anche la grande impennata degli affitti sembra essere in larga parte alle nostre spalle, sebbene il rallentamento non si mostrerà nei dati ufficiali per un certo periodo. Dunque probabilmente non sarà necessario far passare l’economia da una stretta del genere degli anni ’80 per ridurre l’inflazione.
Ciò detto, probabilmente la Fed è troppo ottimista nel credere che si possa mettere l’inflazione sotto controllo senza alcun aumento di disoccupazione. I dati statistici come il numero senza precedenti di posti di lavoro vacanti [1], le prove che vengono riferite sulla scarsità di lavoro e, anche, gli aumenti dei salari indicano che il mercato del lavoro è insostenibilmente surriscaldato. Probabilmente raffreddare quel mercato richiederà di accettare un ritocco nel tasso di disoccupazione, sebbene non una vera e propria recessione.
E per quello che vale, il programma della Fed di graduali rialzi dei tassi di interesse, che ha già portato ad una importante crescita dei tassi sui mutui, è probabile che provochi quello sfortunatamente necessario raffreddamento, particolarmente combinato con il fatto che la politica della finanza pubblica è già tornata ad essere restrittiva, come la grande spesa degli inizi del 2021 svanisce alle nostre spalle.
Dunque, il mio messaggio per coloro che innalzano terribili ammonimenti sul ritorno di una stagflazione del genere degli anni ’70 – che alcuni di loro non vedevano l’ora di fare da anni – è che dovrebbero guardare alla storia con maggiore attenzione. L’inflazione del 2021-22 sembra assai diversa, e molto più facile da risolvere, dell’inflazione del 1979-80.
[1] Per “vacanti” si intendono i posti di lavoro disponibili non occupati. Da una tabella nella connessione si apprende, ad esempio, che tali posti di lavoro erano a novembre del 2018 4,8 milioni, a maggio del 2020 3,5 milioni e a gennaio del 2022 7 milioni.
By mm
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