March 10, 2022
By Paul Krugman
Just a few weeks ago many influential figures on the U.S. right loved, just loved Vladimir Putin. In fact, some of them still can’t quit him. For example, Tucker Carlson, while he has grudgingly backed off from full-on Putin support, is still blaming America for the war and promoting Russian disinformation about U.S.-funded bioweapons labs.
For the most part, however, America’s Putin lovers are having a moment of truth. It’s not so much that Putin stands revealed as a tyrant willing to kill large numbers of innocent people — they knew or should have known that already. The problem is that the strongman they admired — whom Donald Trump praised as “savvy” and a “genius” just before he invaded Ukraine — is turning out to be remarkably weak. And that’s not an accident. Russia is facing disaster precisely because it is ruled by a man who accepts no criticism and brooks no dissent.
On the military side, a war Russia clearly envisioned as a blitzkrieg that would overrun Ukraine in days has yet to capture any of the country’s top 10 cities — although long-range bombardment is turning those cities into rubble. On the economic side, Putin’s attempt to insulate himself from potential Western sanctions has been a debacle, with everything indicating that Russia will have a depression-level slump. To see why this matters, you need to understand the sources of the right’s infatuation with a brutal dictator, an infatuation that began even before Trump’s rise.
Some of this dictator-love reflected the belief that Putin was a champion of antiwokeness — someone who wouldn’t accuse you of being a racist, who denounced cancel culture and “gay propaganda.”
Some of it reflected a creepy fascination with Putin’s alleged masculinity — Sarah Palin declared that he wrestled bears while President Barack Obama wore “mom jeans” — and the apparent toughness of Putin’s people. Just last year Senator Ted Cruz contrasted footage of a shaven-headed Russian soldier with a U.S. Army recruiting ad to mock our “woke, emasculated” military.
Finally, many on the right simply like the idea of authoritarian rule. Just a few days ago Trump, who has dialed back his praise for Putin, chose instead to express admiration for North Korea’s Kim Jong-un. Kim’s generals and aides, he noted, “cowered” when the dictator spoke, adding that “I want my people to act like that.”
But we’re now relearning an old lesson: Sometimes, what looks like strength is actually a source of weakness.
Whatever eventually happens in the war, it’s clear that Russia’s military was far less formidable than it appeared on paper. Russian forces appear to be undertrained and badly led; there also seem to be problems with Russian equipment, such as communications devices.
These weaknesses might have been apparent to Putin before the war if investigative journalists or independent watchdogs within his government had been in a position to assess the country’s true military readiness. But such things aren’t possible in Putin’s Russia.
The invaders were also clearly shocked by Ukraine’s resistance — both by its resolve and by its competence. Realistic intelligence assessments might have warned Russia that this might happen; but would you want to have been the official standing up and saying, “Mr. President, I’m afraid we may be underestimating the Ukrainians”?
On the economic side, I have to admit that both the West’s willingness to impose sanctions and the effectiveness of those sanctions have surprised just about everyone, myself included.
Still, economic officials and independent experts in Russia should have warned Putin in advance that “Fortress Russia” was a deeply flawed idea. It shouldn’t have required deep analysis to realize that Putin’s $630 billion in foreign exchange reserves would become largely unusable if the world’s democracies cut off Russia’s access to the world banking system. It also shouldn’t have required deep analysis to realize that Russia’s economy is deeply dependent on imports of capital goods and other essential industrial inputs.
But again, would you have wanted to be the diplomat telling Putin that the West isn’t as decadent as he thinks, the banker telling him that his vaunted “war chest” will be useless in a crisis, the economist telling him that Russia needs imports?
The point is that the case for an open society — a society that allows dissent and criticism — goes beyond truth and morality. Open societies are also, by and large, more effective than closed-off autocracies. That is, while you might imagine that there are big advantages to rule by a strongman who can simply tell people what to do, these advantages are more than offset by the absence of free discussion and independent thought. Nobody can tell the strongman that he’s wrong or urge him to think twice before making a disastrous decision.
Which brings me back to America’s erstwhile Putin admirers. I’d like to think that they’ll take Russia’s Ukraine debacle as an object lesson and rethink their own hostility to democracy. OK, I don’t really expect that to happen. But we can always hope.
La destra americana ha un problema Putin,
Di Paul Krugman
Solo poche settimane fa molti personaggi influenti della destra statuntitense amavano, proprio amavano, Vladimir Putin. Ad esempio, Tucker Carlson, se è tornato indietro a denti stretti da un pieno sostegno a Putin, sta ancora dando la colpa della guerra all’America e promuovendo la disinformazione russa sui laboratori di armi biologiche finanziati dagli Stati Uniti.
Per la maggior parte, tuttavia, i simpatizzanti americani di Putin stanno avendo un’illuminazione. Non si tratta tanto del fatto che Putin si stia rivelando un tiranno disponibile ad uccidere un gran numero di persone innocenti – lo sapevano o avrebbero dovuto già saperlo. Il problema è che l’uomo forte che ammiravano – colui che Donald Trump elogiava come un “esperto” e un “genio” appena prima che invadesse l’Ucraina – si sta rivelando essere considerevolmente debole. E non è un caso. La Russia è di fronte ad un disastro precisamente perché è governata da un individuo che non accetta critiche e non tollera dissensi.
Da punto di vista militare, una guerra che la Russia chiaramente considerava come un ‘blitzkrieg’ che avrebbe annientato l’Ucraina nel giro di giorni non ha ancora conquistato alcuna delle prime dieci città del paese – sebbene i bambardamenti da lunga distanza stiano trasformando quelle città in macerie. Dal punto di vista economico, il tentativo di Putin di proteggersi dalle potenziali sanzioni occidentali è stato una debacle, mentre tutto indica che la Russia avrà una recessione al livello di una depressione. Per capire perché questo è importante, si devono comprendere le fonti dell’infatuazione della destra per un dittatore brutale, una infatuazione che cominciò anche prima dell’ascesa di Trump.
Una parte di questo amore per i dittatori rifletteva la convinzione che Putin fosse irriducibilmente ostile ai diritti delle persone – qualcuno che non ci avrebbe denunciato di essere razzisti, che denunciava la ‘cultura del rigetto’ [1] e la “propaganda gay”.
In parte essa rifletteva una inquietante attrazione per la pretesa mascolinità di Putin e l’apparente rudezza della sua gente – Sarah Pelin dichiarò che lui combatteva con gli orsi mentre il Presidente Barack Obama indossava “jeans da signora anziana”. Solo l’anno scorso il Senatore Ted Cruz metteva a confronto un video di un soldato russo con la testa rasata e una pubblicità per il reclutamento nell’esercito statunitense per ironizzare sulle nostre forze armate “effeminate e politicamente corrette”.
Infine, a molti della destra semplicemente piace l‘idea dei governi autoritari. Solo pochi giorni fa Trump, che si è rimangiato il suo elogio per Putin, ha invece espresso ammirazione per il nord coreano Kim Jong-un. I generali e gli assistenti di Kim, ha notato, “si ritraevano” quando parlava il dittatore, aggiungendo che lui “vuole che la (sua) gente si comporti in quel modo”.
Ma adesso stiamo riapprendendo una lezione antica: talvolta, quella che sembra forza è in effetti una fonte di debolezza.
Qualsiasi cosa alla fine accada nella guerra, è chiaro che l’esercito russo era meno formidabile di quello che sembrava sulla carta. Le forze russe paiono poco addestrate e mal guidate; sembra ci siano anche problemi con l’equipaggiamento russo e con i congegni della comunicazione.
Queste debolezze potrebbero essere state evidenti a Putin prima della guerra se giornalisti che fanno inchieste o osservatori indipendenti all’interno del suo governo fossero stati nella condizione di valutare l’effettiva preparazione dell’esercito. Ma cose del genere non sono possibili nella Russia di Putin.
Gli invasori sono anche rimasti chiaramente impressionati dalla resistenza dell’Ucraina – sia per la sua determinazione che per la sua competenza. Valutazioni realistiche dell’intelligence avrebbero potuto mettere in guardia la Russia che questo poteva avvenire; ma avreste voluto essere al posto dell’ufficiale che si alzava e diceva: “Signor Presidente, ho paura che stiamo sottovalutando gli ucraini”?
Dal punto di vista economico, devo ammettere che sia la volontà dell’Occidente di imporre sanzioni che l’efficacia di quelle sanzioni hano sorpreso quasi tutti, incluso il sottoscritto.
Eppure, i dirigenti economici e gli esperti indipendenti in Russia avrebbero dovuto mettere in guardia in anticipo Putin che la “Fortezza Russa” era un’idea profondamente difettosa. Non avrebbe dovuto essere necessaria una analisi profonda per comprendere che i 630 miliardi di dollari di Putin in riserve valutarie estere sarebbero diventati in gran parte inutilizzabili se le democrazie mondiali avessero tagliato l’accesso della Russia al sistema bancario mondiale. Non avrebbe dovuto neanche essere necessaria una profonda analisi per comprendere che l’economia della Russia è profondamente dipendente dalla importazione di beni capitali e di altre essenziali componenti industriali.
Ma ancora, avreste voluto essere al posto del diplomatico che dice a Putin che l’Occidente non è decadente come lui pensa, o del banchiere che gli dice che in suo vantato “bottino di guerra” sarà inutile in una crisi, o dell’economista che gli dice che la Russia ha bisogno di importazioni?
Il punto è che gli argomenti a favore di una società aperta – una società che permette il dissenso e le critiche – vanno oltre la verità e la moralità. Le società aperte sono anche, in generale, più efficaci delle autocrazie chiuse in se stesse. Ovvero, mentre si potrebbe immaginare che ci siano grandi vantaggi col governo di un uomo forte che semplicemente dice al popolo cosa fare, questi vantaggi sono più che bilanciati dalla assenza di una discussione libera e di un pensiero indipendente. Nessuno può dire all’uomo forte che ha torto o spingerlo a pensarci due volte prima di prendere una decisione disastrosa.
Il che mi riporta ai precedenti ammiratori americani di Putin. Mi piacerebbe pensare che essi considerino la debacle ucraina come una lezione basata sui fatti e ripensino alla loro ostilità verso la democrazia. Di fatto, in realtà non mi aspetto che accada. Ma possiamo sempre sperare.
[1] Ovvero che avrebbe denunciato quei movimenti che, in particolare in America, si battono per la messa al bando (ad esempio, con la rimozione dei relativi monumenti) di coloro che furono personalmente responsabili dello schiavismo, del razzismo o anche nelle stragi dei popoli indigeni. Posizioni che negli USA vengono sintetizzate come “cultura della cancellazione”.
By mm
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