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La prospettiva macroeconomica dell’America, Di J. Bradford DeLong (da Project Syndicate, 25 marzo 2022)

 

Mar 25, 2022

America’s Macroeconomic Outlook 

BRADFORD DELONG

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BERKELEY – Many who now worry about rising inflation in the United States may disagree, but the US Federal Reserve should take a victory lap. Just consider what the Fed has achieved over the past two years.

At this time in 2020, the COVID-19 pandemic had pushed employment down by a massive 14% when large portions of the economy were forced to shut down. And although employment bounced back when the economy began to reopen, it nonetheless remained 7% below its pre-pandemic level.

Getting back that remaining 7% was always going to be difficult, because it required a re-division of labor. During the disappointing, anemic, unsatisfactory recovery from the Great Recession a decade ago, re-knitting the fabric of the labor market occurred at a pace that increased employment only about 1.3 percentage points per year. Because demand was slack and growing only very slowly during this period, it was difficult to figure out which business models would be profitable and where labor was really needed.

This time, the re-knitting happened much faster. Employment rose by 5% in the space of just a year, because the Fed and US President Joe Biden’s administration did not take their feet off the accelerator too soon, as their predecessors had done in the early 2010s. They should regard today’s economy as a massive policy victory – perhaps the greatest that I have seen in the US. Fed Chair Jerome Powell and his colleagues should be very proud.

Higher inflation, as a side effect and a consequence of the robust recovery, was inevitable and therefore not regrettable. When you rapidly rejoin highway traffic at full speed, you are going to leave some rubber on the road. The question now is what will happen next. The bond market seems to think that this wave of inflation will pass, with price stability returning in the medium term. The market currently anticipates that in 5-10 years, inflation will average 2.2% per year.

There is always a chance that the market is wrong. But in this case, I trust its judgment. The bond market can be trusted not because it is a good forecaster (it is not), but because of what it tells us about expectations. If current US inflation does not fade away quickly, that will be because people did not expect it to do so. Fortunately, as Joseph E. Gagnon of the Peterson Institute for International Economics points out, the people whose expectations matter here are largely the same people placing bets on the bond market.

Taking a broader historical view, there were six episodes of US inflation above 5% in the twentieth century. One came during World War I, but this inflation turned into substantial deflation and a deep, short recession, owing to what Milton Friedman later determined to have been an excessive increase in interest rates (from 3.75% to 7%) by the Fed.

Another episode was during World War II, when inflation was tamped down with price controls. The next two were after WWII and after the Korean War, when inflation proved transitory and passed quickly without substantial monetary tightening. And the last two came to define the 1970s, with the final episode ultimately being scotched by a deep recession following Fed Chair Paul Volcker’s massive interest-rate hikes.

Whether they realize it or not, everybody making arguments about the likely course of today’s inflation is arguing not from theoretical principles but from arbitrary historical analogies. Some, like my sharp former teacher, Olivier Blanchard, see the 1970s as the best analogy. But while that may prove to be correct, they have a weak case. The 1974 outbreak of inflation came after a previous inflationary bout that had shifted expectations. By 1973, people had come to expect that the inflation rate, in the absence of a recession, would remain around where it had been the previous year – if not a little higher. By contrast, I see zero evidence today to suggest that US inflation expectations have become unanchored.

Moreover, US employment is still some 7.3 million below its pre-pandemic trend. In a recent paperLawrence H. Summers (another sharp former teacher) and Alex Domash attribute a 2.7 million shortfall to structural factors such as population aging and immigration restrictions. But that still leaves 4.6 million people who have left the labor force but could be tempted back by a sufficiently strong economy. This potential labor pool reduces my fear of an inflationary wage spiral, which happens when employers try to hire more workers than can be made available.

In addition to a wage-price spiral, the other two commonly named culprits for non-transitory inflation are supply-chain bottlenecks and self-fulfilling expectations. Among these three, the only potentially serious risk is that we may not be able to resolve key supply-chain disruptions.

That brings us to the bad news. Supply-chain risks may have grown more acute now that Russia’s war against Ukraine has sent oil and grain prices spiraling upward, as happened in the early 1970s. Thanks to Russian President Vladimir Putin, the 1970s could turn out to be the right analogy after all.

 

La prospettiva macroeconomica dell’America,

Di J. Bradford DeLong

 

BERKELEY – Molti di coloro che adesso si preoccupano per l’inflazione in crescita negli Stati Uniti possono non essere d’accordo, ma la Federal Reserve statunitense dovrebbe essersi aggiudicata un giro vittorioso. Si consideri soltanto quello che la Fed ha realizzato nei due anni passati.

Nel 2020, di questi tempi, la pandemia del Covid-19 aveva spinto in basso l’occupazione ad un impressionante 14%, quando ampi settori dell’economia furono costretti a chiudere. E sebbene l’occupazione sia rimbalzata quando l’economia ha cominciato a riaprire, ciononostante essa resta del 7% sotto il suo livello precedente alla pandemia.

Recuperare quel rimanente 7% era comunque destinato ad essere difficile, perché richiedeva una nuova divisione del lavoro. Durante la deludente, anemica, insoddisfacente ripresa dalla Grande Recessione dieci anni fa, fu necessario ritessere il tessuto del mercato del lavoro ad un ritmo che aumentava l’occupazione soltanto di 1,3 punti percentuali all’anno. Poiché durante quel periodo la domanda era fiacca e si era cresciuti solo molto lentamente, era difficile immaginarsi quali modelli di impresa sarebbero stati redditizi e dove il lavoro sarebbe stato realmente necessario.

Questa volta, la ritessitura è avvenuta molto più velocemente. L’occupazione è cresciuta del 5% nello spazio di appena un anno, perché la Fed e l’Amministrazione del Presidente Joe Biden non hanno tolto i piedi dall’acceleratore troppo presto, come fecero i loro predecessori agli inizi degli anni 2010. Essi dovrebbero considerare l’economia odierna come una impressionante vittoria politica – forse la più grande che io abbia visto negli Stati Uniti. Il Presidente della Fed Jerome Powell ed i suoi colleghi dovrebbero essere molto orgogliosi.

La più alta inflazione, come effetto collaterale e conseguenza della solida ripresa, è stata inevitabile e di conseguenza non deprecabile. Quando ci si ricollega al traffico di una autostrada ad alta velocità, si lascia un po’ di gomma sulla strada. Il mercato delle obbligazioni sembra pensare che questa ondata di inflazione passerà, con i prezzi che torneranno stabili nel medio termine. Attualmente il mercato prevede che in 5-10 anni, la media dell’inflazione sarà del 2,2% all’anno.

C’è sempre la possibilità che il mercato sbagli. Ma in questo caso, io ho fiducia nel suo giudizio. Il mercato delle obbligazioni può essere creduto non perché sia un buon previsore (non lo è), ma per quello che ci dice delle aspettative. Se l’attuale inflazione non recedesse rapidamente, dipenderebbe dal fatto che le persone non si aspettano che lo faccia. Fortunatamente, come nota Joseph E. Gagnon dell’ Istituto Peterson per la Politica Internazionale, le persone le cui aspettative sono importanti sono in gran parte le stesse che scommettono sul mercato delle obbligazioni.

Per assumere un  punto di vista storico più generale,  nel ventesimo secolo ci sono stati sei episodi di inflazione superiore al 5% negli Stati Uniti. Uno venne durante la Prima Guerra Mondiale, ma questa inflazione si tradusse in una sostanziale deflazione e in una profonda, breve recessione, a provocare la quale, come stabilì successivamente Milton Friedman, era stato un aumento eccessivo dei tassi di interesse (dal 3,75% al 7%) da parte della Fed.

Un altro episodio avvenne durante la Seconda Guerra Mondiale, quando l’inflazione fu compressa con i controlli dei prezzi. I due successivi furono dopo la guerra e dopo la Guerra Coreana, quando l’inflazione si mostrò transitoria e passò rapidamente senza una sostanziale restrizione monetaria. E le ultime due vennero a chiusura degli anni ’70, con l’episodio finale che venne definitivamente interrotto da una profonda recessione che seguì innalzamenti massicci dei tassi di interesse del Presidente della Fed Paul Volcker.

Che lo comprendano o meno, tutti coloro che avanzano argomenti a proposito dei probabili sviluppi dell’inflazione odierna non li sostengono sulla base di principi teorici, ma di arbitrarie analogie storiche. Alcuni, come il mio passato acuto docente, Olivier Blanchard, considerano gli anni ‘70 come l’analogia migliore. Ma se ciò potrebbe essere corretto, essi usano una argomentazione debole. L’esplosione dell’inflazione del 1974 venne dopo un precedente periodo inflazionistico che aveva spostato le aspettative. Col 1973, le persone erano arrivate ad aspettarsi che il tasso di inflazione, in assenza di una recessione, sarebbe rimasto grosso modo quello che era stato l’anno precedente – se non un po’ più elevato. All’opposto, io oggi non vedo alcuna prova che le aspettative di inflazione statunitensi siano diventate “disancorate” [1].

Inoltre, l’occupazione statunitense è ancora al di sotto della sua tendenza prepandemica per 7,3 milioni di lavoratori. In un saggio recente, Lawrence H. Summers (un altro acuto passato mio docente) e Alex Domash attribuiscono un disavanzo di 2,7 milioni di persone a fattori strutturali come l’invecchiamento della popolazione e le restrizioni sull’immigrazione. Eppure resterebbero ancora 4,6 milioni di persone che hanno lasciato la forza lavoro ma potrebbero essere tentate di tornarvi da una economia sufficientemente forte. Questo potenziale bacino di forza lavoro riduce i miei timori di una spirale salariale inflazionistica, che ha luogo quando i datori di lavoro cercano di assumere più lavoratori di quanti possano essere disponibili.

In aggiunta ad una spirale salari-prezzi, gli altri due fattori comunemente definiti come responsabili di una inflazione non transitoria sono le strozzature nelle catene dell’offerta e le aspettative che si auto avverano. Tra questi tre, l’unico serio rischio potenziale è che non si sia capaci di risolvere blocchi fondamentali nelle catene dell’offerta.

Il che ci porta alle cattive notizie. I rischi nelle catene dell’offerta possono essere diventati più acuti adesso che la guerra della Russia contro l’Ucraina ha fatto salire i prezzi del petrolio e del grano in una spirale verso l’alto, come avvenne nei primi anni ’70. In fin dei conti, grazie al Presidente russo Vladimir Putin, gli anni ’70  potrebbero tornare ad essere l’analogia giusta.  

 

 

 

 

 

[1] Quando si ragiona di inflazione, e di ‘aspettative’ di inflazione, si usano spesso i termini ‘ancoraggio’ o ‘disancoraggio’. Ci si riferisce al fatto che l’inflazione può essere dipendente da singoli fenomeni oggettivi (ad esempio, una stagione inclemente che aumenta il prezzo di alcune materie prime alimentari), ma ad un certo punto può finire dal dipendere principalmente dalle ‘aspettative’ dei produttori. Quando l’inflazione inizia a dipendere fortemente da tali fattori e calcoli, di apre una spirale che influenza direttamente una rincorsa tra salari e prezzi. Le imprese sfruttano il loro ‘potere di mercato’ nel fissare i prezzi, si imitano l’una con l’altra nell’alzarli, e i lavoratori cercano di stare al passo con i rincari. A quel punto l’inflazione non dipende più principalmente da fattori oggettivi e si dice che si è ‘disancorata’.

 

 

 

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