April 7, 2022
By Paul Krugman
Vladimir Putin’s war of aggression runs on the money Russia gets by selling fossil fuels to Europe. And while Ukraine has, incredibly, repelled Russia’s attempt to seize Kyiv, Putin won’t be definitively stopped until Europe ends its energy dependence.
Which means that Germany — whose political and business leaders insist that they can’t do without Russian natural gas, even though many of its own economists disagree — has in effect become Putin’s prime enabler. This is shameful; it is also incredibly hypocritical given recent German history.
The background: Germany has been warned for decades about the risks of becoming dependent on Russian gas. But its leaders, focused on the short-run benefits of cheap energy, ignored those warnings. On the eve of the Ukraine war, 55 percent of German gas came from Russia.
There’s no question that quickly cutting off, or even greatly reducing, this gas flow would be painful. But multiple economic analyses — from the Brussels-based Bruegel Institute, the International Energy Agency and ECONtribute, a think tank sponsored by the Universities of Bonn and Cologne — have found that the effects of drastically reducing gas imports from Russia would be far from catastrophic to Germany.
As one member of the German Council of Economic Experts, which fills a role somewhat similar to that of the U.S. Council of Economic Advisers, put it, an embargo on Russian gas would be difficult but “feasible.”
The ECONtribute analysis offers a range of estimates, but their worst-case number is that an embargo on Russian gas would temporarily reduce Germany’s real G.D.P. by 2.1 percent. I’ll put that number in context shortly.
Now, German industrialists refuse to accept economists’ estimates, insisting that a gas embargo would indeed be catastrophic. But they would say that, wouldn’t they? Industrial leaders everywhere always claim that any proposed restriction on their activities would be an economic disaster.
For example, back in 1990 U.S. industry groups issued dire warnings against policies to reduce acid rain, insisting that they would cost hundreds of billions and even lead to “the potential destruction of the Midwest economy.” None of that happened; in fact, the new rules produced large public health benefits at modest financial cost.
Unfortunately, Germany’s political leaders, including Chancellor Olaf Scholz, have taken the side of the scaremongers. The revelations of Russian atrocities in Ukraine have led to grudging acknowledgments that something must be done, but still not much sense of urgency.
What strikes me — a parallel that for some reason I haven’t seen many people drawing — is the contrast between Germany’s current reluctance to make moderate sacrifices, even in the face of horrific war crimes, and the immense sacrifices Germany demanded of other countries during the European debt crisis a decade ago.
As some readers may remember, early last decade much of southern Europe faced a crisis as lending dried up, sending interest rates on government debt soaring. German officials were quick to blame these countries for their own plight, insisting, with much moralizing, that they were in trouble because they had been fiscally irresponsible and now needed to pay the price.
As it turns out, this diagnosis was mostly wrong. Much of the surge in southern European interest rates reflected a market panic rather than fundamentals; borrowing costs plunged, even for Greece, after the president of the European Central Bank said three words — “whatever it takes” — suggesting that the bank would, if necessary, step in to buy the debt of troubled economies.
Yet Germany took the lead in demanding that debtor nations impose extreme austerity measures, especially spending cuts, no matter how large the economic costs. And those costs were immense: Between 2009 and 2013 the Greek economy shrank by 21 percent while the unemployment rate rose to 27 percent.
But while Germany was willing to impose economic and social catastrophe on countries it claimed had been irresponsible in their borrowing, it has been unwilling to impose far smaller costs on itself despite the undeniable irresponsibility of its past energy policies.
I’m not sure how to quantify this, but my sense is that Germany received far more and clearer warning about its feckless reliance on Russian gas than Greece ever did about its pre-crisis borrowing. Yet it seems as if Germany’s famous eagerness to treat economic policy as a morality play applies only to other countries.
To be fair, Germany has moved on from its initial unwillingness to help Ukraine at all; Ukraine’s ambassador to Germany claims, although the Germans deny it, that he was told there was no point in sending weapons because his government would collapse in hours. And maybe, maybe, the realization that refusing to shut off the flow of Russian gas makes Germany de facto complicit in mass murder will finally be enough to induce real action.
But until or unless this happens, Germany will continue, shamefully, to be the weakest link in the democratic world’s response to Russian aggression.
Come la Germania è diventata la favoreggiatrice di Putin,
di Paul Krugman
La guerra di aggressione di Putin va avanti col denaro che la Russia ottiene vendendo combustibili fossili all’Europa. E mentre l’Ucraina ha, incredibilmente, respinto il tentativo della Russia di conquistare Kiev, Putin non sarà definitivamente fermato finché l’Europa non interrompe la sua dipendenza energetica.
Il che significa che la Germania – i cui leader politici e di impresa insistono che non possono fare a meno del gas naturale russo, anche se molti dei suoi stessi economisti non sono d’accordo – è di fatto diventata la principale favoreggiatrice di Putin. Questo è vergognoso; considerata la storia recente della Germania, è anche incredibilmente ipocrita.
I fatti pregressi: da decenni la Germania viene messa in guardia sui rischi del divenire dipendente dal gas russo. Ma le sue autorità, concentrate sui benefici a breve termine dell’energia conveniente, hanno ignorato questi ammonimenti. Al momento della guerra in Ucraina, il 55 per cento del gas tedesco proveniva dalla Russia.
Non c’è dubbio che tagliare rapidamente, o persino ridurre grandemente, questo flusso di gas sarebbe doloroso. Ma molteplici analisi economiche – dall’Istituto Bruegel con sede a Bruxelles, dall’Agenzia Internazionale per l’Energia e da ECONtribute, un gruppo di ricerca sponsorizzato dalle Università di Bonn e di Colonia – hanno scoperto che gli effetti di una drastica riduzione delle importazioni di gas dalla Russia sarebbero tutt’altro che catastrofici per la Germania.
Come si è espresso un componente del Comitato Tedesco degli Esperti Economici, che svolge un ruolo in qualche modo simile a quello del Comitato del Consulenti Economici statunitense, un embargo sul gas russo sarebbe difficile ma “fattibile”.
La analisi di ECONtribute offre una gamma di stime, ma il loro dato nell’ipotesi peggiore è che l’embargo sul gas russo ridurrebbe temporaneamente il PIL reale della Germania del 2,1 per cento. Metterò tra un attimo quel dato entro un po’ di contesto.
Ora, gli industriali tedeschi si rifiutano di accettare le stime degli economisti, insistendo che un embargo del gas sarebbe effettivamente catastrofico. Ma l’avrebbero detto in ogni caso, non è così? Dappertutto i dirigenti industriali sostengono sempre che qualsiasi restrizione proposta sulle loro attività sarebbe un disastro economico.
Ad esempio, nel passato 1990 gruppi industriali statunitensi pubblicarono terribili ammonimenti contro le politiche per ridurre le piogge acide, insistendo che sarebbero costate centinaia di miliardi e avrebbero persino comportato “la distruzione potenziale dell’economia del Midwest”. Non avvenne niente di ciò: di fatto, le nuove regole produssero ami benefici alla salute pubblica ed un modesto costo finanziario.
Sfortunatamente, i leader politici della Germania, compreso il Cancelliere Olaf Scholz, hanno scelto la parte degli allarmisti. Le rivelazioni sulle atrocità russe in Ucraina hanno portato a riconoscimenti a denti stretti che qualcosa deve essere fatto, ma manca ancora la sensazione dell’urgenza.
Quello che mi colpisce – un parallelo che per qualche ragione non ho visto trarre da molte persone – è il contrasto tra l’attuale riluttanza della Germania a fare moderati sacrifici, e gli immensi sacrifici che la Germania chiese ad altri paesi durante la crisi del debito di un decennio fa.
Come alcuni lettori possono ricordare, agli inizi del decennio passato buona parte dell’Europa meridionale affrontò una crisi quando i prestiti di disseccarono, facendo salire alle stelle i tassi di interesse sul debito pubblico. I dirigenti tedeschi furono rapidi nel dare la colpa a questi paesi per le loro traversie, insistendo, con molto moralismo, che essi erano nei guai perché erano stati irresponsabili nella gestione della finanza pubblica e a quel punto dovevano pagare un prezzo.
Si scoprì che questa diagnosi era in gran parte sbagliata. Gran parte della crescita dei tassi di interesse nell’Europa meridionale rifletteva un panico del mercato piuttosto che fattori economici di fondo; i costi dell’indebitamento crollarono dopo che il Presidente della Banca Centrale Europea disse tre parole –“tutto quello che occorre” – indicando che la Banca, se necessario, si sarebbe fatta avanti per acquistare il debito delle economie in difficoltà.
Tuttavia la Germania si mise alla testa nel chiedere che alle nazioni debitrici si imponessero misure estreme di austerità, in particolare tagliando la spesa, a prescindere da quanto sarebbero stati grandi i costi economici. E quei costi furono immensi: tra il 2009 e il 2013 l’economia greca si ridusse del 21 per cento mentre il tasso di disoccupazione crebbe del 27 per cento.
Ma mentre la Germania fu disponibile a costringere ad una catastrofe economica e sociale i paesi che sosteneva erano stati irresponsabili nel loro indebitamento, è stata indisponibile a imporre a se stessa costi più piccoli nonostante l’innegabile irresponsabilità delle sue passate politiche energetiche.
Non saprei come quantificarlo, ma la mia sensazione è che la Germania abbia ricevuto di gran lunga maggiori e più chiari ammonimenti per il suo inetto affidarsi al gas russo di quanto non fosse accaduto alla Grecia per l’indebitamente precedente alla crisi. Tuttavia sembra che il noto entusiasmo della Germania nel trattare la politica economica come una rappresentazione moralistica si applichi soltanto agli altri paesi.
Ad esser giusti, la Germania si è spostata dalla sua inziale indisponibilità ad aiutare in ogni modo l’Ucraina: l’ambasciatore ucraino in Germania sostiene, sebbene la Germania lo neghi, che gli era stato detto che non c’era alcuna ragione per lo spedire armamenti perché il suo Governo sarebbe collassato nel giro di ore. E forse, solo forse, la comprensione che il rifiuto di interrompere il flusso di gas russo renderebbe la Germania complice di fatto negli assassinii di massa, alla fine di per sé la indurrà ad una iniziativa reale.
Ma finché o a meno che non accada questo, la Germania continuerà, vergognosamente, a essere l’anello più debole nella risposta del mondo democratico all’aggressione russa.
By mm
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