April 11, 2022
By Paul Krugman
On April 12, 1861, rebel artillery opened fire on Fort Sumter, beginning the U.S. Civil War. The war eventually became a catastrophe for the South, which lost more than a fifth of its young men. But why did the secessionists believe they could pull it off?
One reason was they believed themselves to be in possession of a powerful economic weapon. The economy of Britain, the world’s leading power at the time, was deeply dependent on Southern cotton, and they thought a cutoff of that supply would force Britain to intervene on the side of the Confederacy. Indeed, the Civil War initially created a “cotton famine” that threw thousands of Britons out of work.
In the end, of course, Britain stayed neutral — in part because British workers saw the Civil War as a moral crusade against slavery and rallied to the Union cause despite their suffering.
Why recount this old history? Because it has obvious relevance to the Russian invasion of Ukraine. It seems fairly clear that Vladimir Putin saw the reliance of Europe, and Germany in particular, on Russian natural gas the same way slave owners saw Britain’s reliance on King Cotton: a form of economic dependence that would coerce these nations into enabling his military ambitions.
And he wasn’t entirely wrong. Last week I castigated Germany for its unwillingness to make economic sacrifices for the sake of Ukraine’s freedom. But let’s not forget that Germany’s response to Ukraine’s pleas for military aid on the eve of war was also pathetic. Britain and the United States rushed to provide lethal weapons, including hundreds of the anti-tank missiles that were so crucial in repelling Russia’s attack on Kyiv. Germany offered and dragged its feet on delivering … 5,000 helmets.
And it’s not hard to imagine that if, say, Donald Trump were still president here, Putin’s bet that international trade would be a force for coercion, not peace, would have been vindicated.
If you think I’m trying to help shame Germany into becoming a better defender of democracy, you’re right. But I’m also trying to make a broader point about the relationship between globalization and war, which isn’t as simple as many people have assumed.
There has been a longstanding belief among Western elites that commerce is good for peace, and vice versa. America’s long push for trade liberalization, which began even before World War II, was always in part a political project: Cordell Hull, Franklin Roosevelt’s secretary of state, firmly believed that lower tariffs and increased international trade would help lay the foundations for peace.
The European Union, too, was both an economic and a political project. Its origins lie in the European Coal and Steel Community, established in 1952 with the explicit goal of making French and German industry so interdependent that there could never be another European war.
And the roots of Germany’s current vulnerability go back to the 1960s, when the West German government began pursuing Ostpolitik — “eastern policy” — seeking to normalize relations, including economic relations, with the Soviet Union, in the hope that growing integration with the West would strengthen civil society and move the East toward democracy. Russian gas began flowing to Germany in 1973.
So does trade promote peace and freedom? Surely it does in some cases. In other cases, however, authoritarian rulers more concerned with power than with prosperity may see economic integration with other nations as a license for bad behavior, assuming that democracies with a strong financial stake in their regimes will turn a blind eye to their abuses of power.
I’m not talking just about Russia. The European Union has stood by for years while Viktor Orban of Hungary has systematically dismantled liberal democracy. How much of this weakness can be explained by the large Hungarian investments that European, and especially German, companies have made while pursuing cost-cutting outsourcing?
And then there’s the really big question: China. Does Xi Jinping see China’s close integration with the world economy as a reason to avoid adventurous policies — such as invading Taiwan — or as a reason to expect a weak-kneed Western response? Nobody knows.
Now, I’m not suggesting a return to protectionism. I am suggesting that national-security concerns about trade — real concerns, not farcical versions like Trump’s invocation of national security to impose tariffs on Canadian aluminum — need to be taken more seriously than I, among others, used to believe.
More immediately, however, law-abiding nations need to show that they won’t be deterred from defending freedom. Autocrats may believe that financial exposure to their authoritarian regimes will make democracies afraid to stand up for their values. We need to prove them wrong.
And what that means in practice is both that Europe must move quickly to cut off imports of Russian oil and gas and that the West needs to supply Ukraine with the weapons it needs, not just to hold Putin at bay, but to win a clear-cut victory. The stakes here are much bigger than Ukraine alone.
Commerci e pace: la grande illusione,
di Paul Krugman
Il 12 aprile 1861, l’artiglieria ribelle aprì il fuoco contro Fort Sumter, dando avvio alla Guerra Civile americana. Alla fine la guerra divenne una catastrofe per il Sud, che perse più di un quinto dei suoi giovani. Ma perché i secessionisti credettero he avrebbero potuto riuscirci?
Una ragione era che si credevano in possesso di una potente arma economica. L’economia dell’Inghilterra, all’epoca la principale potenza del mondo, era profondamente dipendente dal cotone del Sud, ed essi pensavano che un taglio di quell’offerta l’avrebbe costretta a intervenire dalla parte della Confederazione. In effetti, la Guerra Civile agli inizi creò una “carestia del cotone” che gettò migliaia di britannici fuori dal lavoro.
Alla fine, naturalmente, l’Inghilterra rimase neutrale – in parte perché i lavoratori inglesi considerarono la guerra civile come una crociata morale contro la schiavitù e aderirono alla causa dell’Unione nonostante le loro sofferenze.
Perché racconto questa storia antica? Perché essa ha un evidente rilievo nella invasione russa dell’Ucraina. Sembra abbastanza chiaro che Vladimir Putin abbia considerato l’affidamento dell’Europa, e della Germania in particolare, al gas naturale russo nello stesso modo nel quale i proprietari degli schiavi consideravano l’affidamento inglese al Re Cotone: una forma di dipendenza economica che avrebbe costretto queste nazioni a consentire alle sue ambizioni militari.
E non aveva del tutto torto. La scorsa settimana io ho rimproverato la Germania per la sua indisponibilità a fare sacrifici economici nell’interesse della libertà ucraina. Ma non si deve dimenticare che anche la risposta della Germania alle suppliche di un aiuto militare dell’Ucraina alla vigilia della guerra, era stata patetica. L’Inghilterra e gli Stati Uniti si sono precipitati a fornire armamenti letali, inclusi centinaia di missili anti carri armati che sono stati così fondamentali nel respingere l’attacco della Russia su Kiev. La Germania ha offerto, tirandola per le lunghe nella consegna … 5.000 elmetti.
E non è difficile immaginare, ad esempio, che se da noi fosse ancora Presidente Donald Trump, la scommessa di Putin che il commercio internazionale sarebbe stato un fattore di costrizione, non di pace, sarebbe stata giustificata.
Se voi pensate che stia cercando di dare una mano perché la Germania si vergogni e divenga un miglior difensore della democrazia, non vi sbagliate. Ma sto anche cercando di avanzare un argomento più generale sulle relazioni tra la globalizzazione e la guerra, che non è così semplice come molti hanno considerato.
C’è stato da lunga data un convincimento tra le elite occidentali secondo il quale il commercio è positivo per la pace, e viceversa. La tradizionale spinta dell’America per la liberalizzazione degli scambi, che cominciò anche prima della Seconda Guerra Mondiale, in parte fu sempre un progetto politico: Cordell Hull, Segretario di Stato di Franklin Roosevelt, credeva fermamente che tariffe più basse e un accresciuto commercio internazionale avrebbero aiutato a gettare le basi per la pace.
Anche l’Unione Europea è stata sia un progetto economico che politico. Le sue origini si collocano nella Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, istituita nel 1952 con l’esplicito obbiettivo di rendere le industrie francese e tedesca così interdipendenti, che non ci sarebbe mai stata un’altra guerra europea.
E le radici dell’attuale vulnerabilità della Germania riportano agli anni ’60, quando il Governo della Germania occidentale cominciò a perseguire la Ostpolitik – la “politica orientale” – cercando di normalizzare le relazioni, incluse quelle economiche, con l’Unione Sovietica, nella speranza che una crescente integrazione con l’Occidente avrebbe rafforzato la società civile e spostato l’Oriente verso la democrazia. Il gas russo cominciò s scorrere verso la Germania nel 1973.
Dunque, il commercio promuove la pace e la libertà? Certamente, in alcuni casi accade. In altri casi, tuttavia, i governanti autoritari più preoccupati del potere che della prosperità possono considerare l’integrazione economica con altre nazioni come una licenza per cattive condotte, considerando che le democrazie con un forte interesse economico nei loro regimi chiuderanno un occhio sui loro abusi di potere.
Non sto parlando solo della Russia. L’Unione Europea per molti anni ha tollerato mentre l’ungherese Viktor Orban smantellava in modo sistematico la democrazia liberale. Quanto di questa debolezza può essere spiegata dai grandi investimenti che le grandi imprese europee, specialmente tedesche, realizzavano per perseguire esternalizzazioni con tagli dei costi?
E poi c’è la questione realmente grande: la Cina. Xi Jinping considera le stretta integrazione della Cina con l’economia mondiale come una ragione per evitare politiche avventurose – come una invasione di Taiwan – oppure per aspettarsi una debole risposta occidentale? Nessuno lo sa.
Ora, io non sto suggerendo un ritorno al protezionismo. Sto suggerendo che le preoccupazioni di sicurezza nazionale sul commercio – le vere preoccupazioni, non le versioni farsesche come l’invocazione della sicurezza nazionale di Trump per imporre tariffe sull’alluminio canadese – devono essere considerate più seriamente di quanto io, assieme ad altri, ero solito credere.
Nell’immediato, tuttavia, le nazioni rispettose della legge devono dimostrare che non saranno dissuase dal difendere la libertà. Gli autocrati possono credere che l’esposizione finanziaria verso i loro regimi autoritari renderà le democrazie timorose nel prendere posizione per i loro valori. Dobbiamo dimostragli che sbagliano.
E quello che ciò comporta in pratica è che l’Europa deve muoversi rapidamente per tagliare le importazioni del petrolio e del gas russo e che l’Occidente ha bisogno d offrire all’Ucraina le armi di cui ha bisogno, non solo per tenere Putin alla larga, ma per ottenere una vittoria lampante. La posta in gioco è molto più grande della sola Ucraina.
By mm
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