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America, di nuovo l’arsenale della democrazia, di Paul Krugman (New York Times, 28 aprile 2022)

 

April 28, 2022

America, Again the Arsenal of Democracy

By Paul Krugman

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When Russia invaded Ukraine, the idea that it might lose seemed far-fetched. Vladimir Putin appeared to have a powerful, modernized army, supported by a defense budget a dozen times larger than Ukraine’s. You didn’t have to buy into Ted Cruz-style fantasies about the prowess of a military that wasn’t “woke” and “emasculated” to expect a quick Russian battlefield victory.

And even after Ukraine’s miraculous defeat of Russia’s initial attack, one had to wonder about the longer-term prospects. Before the war, Russia’s economy was about eight times bigger than Ukraine’s; despite the toll that sanctions are taking on Russian production, the destruction in Ukraine wrought by the invasion probably means that the gap is even bigger now. So you might have expected Russia to eventually win a battle of attrition through sheer weight of resources.

But that isn’t what seems to be happening. Nobody can be sure about the extent to which Putin himself understands how the war is going; are his terrified officials willing to tell him the truth? But the way Russia is lashing out, with dire but vague threats against the West and self-destructive tantrums like Wednesday’s cutoff of natural gas flows to Poland and Bulgaria, suggests that at least somebody in Moscow is worried that time is not on Russia’s side. And U.S. officials are beginning to talk optimistically, not just about holding Russia off, but about outright Ukrainian victory.

How can this be possible? The answer is that America, while not directly engaged in combat, is once again doing what it did in the year before Pearl Harbor: We, with help from our allies, are serving as the “arsenal of democracy,” giving the defenders of freedom the material means to keep fighting.

For those who aren’t familiar with this history: Britain in 1940, like Ukraine in 2022, had unexpected success against a seemingly unstoppable enemy, as the Royal Air Force defeated the Luftwaffe’s attempt to achieve air superiority, a necessary precondition for invasion. Nonetheless, by late 1940 the British were in dire straits: Their war effort required huge imports, including both military hardware and essentials like food and oil, and they were running out of money.

Franklin Delano Roosevelt responded with the Lend-Lease Act, which made it possible to transfer large quantities of arms and food to the beleaguered British. This aid wasn’t enough to turn the tide, but it gave Winston Churchill the resources he needed to hang on, which eventually set the stage for Allied victory.

Now Lend-Lease has been revived, and large-scale military aid is flowing to Ukraine, not just from the United States but also from many of our allies.

Thanks to this aid, the arithmetic of attrition is actually working strongly against Putin. Russia’s economy may be much bigger than Ukraine’s, but it’s small compared with the American economy, let alone the combined economies of the Western allies. And with its limited economic base, Russia doesn’t appear to have the capacity to replace its battlefield losses; Western experts believe, for example, that the fighting in Ukraine so far has cost Russia two years’ worth of tank production.

Ukraine’s army, by contrast, is getting better equipped, with ever more heavy weapons, by the day. Assuming Congress agrees to President Biden’s request for an additional $33 billion in aid — a sum we can easily afford — cumulative Western support for Ukraine will soon come close to Russia’s annual military spending.

In other words, as I said, time appears to be on Ukraine’s side. Unless the Russians can pull off the kind of dramatic battlefield success that has eluded them so far — such as a blitzkrieg-style assault that encircles a large part of Ukraine’s forces — and do it very soon, the balance of power seems set to keep shifting in Ukraine’s favor.

And let’s be clear about two things.

First, if Ukraine really does win, it will be a triumph for the forces of freedom everywhere. Would-be aggressors and war criminals will be given pause. Western enemies of democracy, many of whom were huge Putin fanboys just the other day, will have been given an object lesson in the difference between macho posturing and true strength.

Second, while credit for this victory, if it materializes, will, of course, go above all to the Ukrainians themselves, this wouldn’t have been possible without brave, effective leadership in some (if, alas, not all) Western nations.

Whatever else you may say about Boris Johnson, Britain has been a rock in this crisis. Poland and other Eastern European nations have risen to the occasion, defying Russian threats. And Joe Biden has done an incredible job, holding the Western alliance together while supplying Ukraine with the weapons it needs.

Previous U.S. presidents have given stirring speeches about freedom: “Tear down this wall,” “Ich bin ein Berliner.” And it’s good that they have. But Biden has arguably done more to defend freedom, in substantive ways that go beyond mere words, than any president since Harry Truman.

I wonder whether and when he’ll get the credit he deserves.

 

America, di nuovo l’arsenale della democrazia,

di Paul Krugman

 

Quando la Russia ha invaso l’Ucraina, l’idea che potesse perdere pareva inverosimile. Sembrava che Putin avesse un potente esercito moderno, sorretto da un bilancio della difesa una dozzina di volte più grande di quello dell’Ucraina. Non era necessario credere alle fantasie del genere  di quelle di Ted Cruz sul valore di forze militari che non erano “woke[1] e “svirilizzate”, per aspettarsi una vittoria rapida dei russi sul campo di battaglia.

E persino dopo la sconfitta miracolosa da parte degli ucraini dell’iniziale attacco della Russia, ci si interrogava sulle prospettive a più lungo termine. Prima della guerra, l’economia russa era circa otto volte più grande di quella dell’Ucraina; nonostante il tributo che le sanzioni stanno provocando sulla produzione russa, le distruzioni in Ucraina inflitte dall’invasione probabilmente comportano che il divario sia adesso persino maggiore. Dunque ci si poteva aspettare che la Russia alla fine vincesse una battaglia di logoramento, per effetto del mero peso delle risorse.

Ma non è quello che sembra stia avvenendo. Nessuno può essere certo quanto lo stesso Putin  comprenda come sta andando la guerra; i suoi ufficiali terrorizzati sono disposti a raccontargli la verità? Ma il modo in cui la Russia sta sbraitando, con minacce terribili ma vaghe contro l’Occidente e scatti autodistruttivi come il taglio di mercoledì dei flussi di gas naturale alla Polonia e alla Bulgaria, indica che almeno qualcuno a Mosca è preoccupato che il tempo non sia dalla parte della Russia.  E i dirigenti statunitensi stanno cominciando a parlare con ottimismo, non solo sul tenere la Russia a distanza, ma su una completa vittoria ucraina.

Come può essere possibile? La risposta è che l’America, per quanto non impegnata direttamente nei combattimenti,  sta una volta ancora facendo quello che fece l’anno prima di Pearl Harbor: con l’aiuto dei nostri alleati, stiamo funzionando come “arsenale della democrazia”, dando ai difensori della democrazia i mezzi materiali per combattere.

Per coloro che non conoscono questa storia: l’Inghilterra nel 1940, come l’Ucraina nel 2022, ebbe un inatteso successo contro un nemico apparentemente inarrestabile, quando la Royal Air Force sconfisse il tentativo della Luftwaffe di conseguire la superiorità aerea, una precondizione necessaria per l’invasione.  Ciononostante, verso la fine del 1940 gli inglesi erano in tremenda difficoltà: il loro sforzo di guerra richiedeva enormi importazioni, comprese attrezzature militari e prodotti essenziali come il cibo e il petrolio, ed erano a corto di denaro.

Franklin Delano Roosevelt risposte con la Legge sui Prestiti e gli Affitti, che rese possibile il trasferimento di grandi quantità di armi e di generi alimentari agli inglesi assediati. Questo aiuto non fu sufficiente a invertire la rotta, ma diede a Winston Churchill le risorse di cui aveva bisogno per resistere, il che alla fine creò la premessa per la vittoria alleata.

Adesso quella legge è stata resuscitata, e un aiuto militare su vasta scala sta affluendo in Ucraina, non solo dagli Stati Uniti ma anche da molti dei nostri alleati.

Grazie a questo aiuto, la matematica del logoramento sta effettivamente funzionando fortemente contro Putin. L’economia della Russia può essere molto più grande di quella dell’Ucraina, ma è poca cosa a confronto dell’economia americana, per non dire delle economie congiunte degli alleati occidentali. E con la sua limitata base economica, non sembra che la Russia abbia la capacità si rimpiazzare le sue perdite sul campo di battaglia; gli esperti occidentali credono, ad esempio, che sino a questo punto i combattimenti in Ucraina siano costati alla Russia il valore di due anni di produzione di carri armati.

All’opposto, le forze armate ucraine, stanno diventando meglio equipaggiate, con sempre più armi pesanti, di giorno in giorno. Ammesso che il Congresso concordi con la richiesta del Presidente Biden di un aiuto aggiuntivo di 33 miliardi di dollari – una somma che possiamo facilmente permetterci – il sostegno occidentale all’Ucraina sarà presto vicino alla spesa militare annuale della Russia.

In altre parole, come ho detto, il tempo sembra essere dalla parte dell’Ucraina. A meno che i russi non riescano a realizzare uno spettacolare successo sul campo di battaglia che sinora gli è mancato – come un assalto stile guerra-lampo che circondi larga parte delle forze ucraine – e lo faccia molto presto, l’equilibrio delle forze sembra destinato a continuare a spostarsi a favore dell’Ucraina.

E siamo chiari su due aspetti.

Il primo, se l’Ucraina davvero vincesse, quello sarebbe un trionfo per le forze della libertà dappertutto. Gli aspiranti aggressori e criminali di guerra  subirebbero una interruzione. I nemici occidentali della democrazia, molti dei quali erano sino all’altro ieri tifosi di Putin, riceverebbero una lezione pratica sulla differenza tra gli atteggiamenti macho e la vera forza.

In secondo luogo, mentre il merito di questa vittoria, se si materializzasse, andrebbe ovviamente soprattutto agli ucraini stessi, esso non sarebbe stato possibile senza una guida coraggiosa ed efficace in alcune (sebbene, ahimè, non in tutte) nazioni occidentali.

Qualsiasi cosa si possa dire di Boris Johnson, in questa crisi l’Inghilterra è stata una roccia. La Polonia ed altre nazioni dell’Europa Occidentale sono state all’altezza del momento, sfidando le minacce russe. E Joe Biden ha fatto un lavoro incredibile, tenendo insieme l’alleanza occidentale nel mentre forniva all’Ucraina le armi di cui ha bisogno.

Precedenti Presidenti statunitensi hanno fornito discorsi emozionanti sulla libertà: “Abbatta questo muro”, “Ich bin ein Berliner[2]. Ed è bene che lo abbiano fatto. Ma Biden ha probabilmente fatto di più per difendere la libertà, in modi sostanziali che vanno oltre le semplici parole, di ogni altro Presidente a partire da Harry Truman.

Mi chiedo se e quando otterrà il credito che merita.  

 

 

 

 

 

[1] Viene voglia di non tradurre, visto che è uno dei pochi casi nei quali in italiano non c’è proprio un termine corrispondente. Il più simile, ma assai lambiccato, sarebbe “politicamente corretto”, ma “woke” si riferisce ad una correttezza etnica e sociale, più che politica in senso stretto. Con l’aggravante che il termine ha due accezioni opposte: quella nata un secolo fa nei movimenti afroamericani, positiva e antirazzistica (significava letteralmente “consapevole” delle iniquità razziali e sociali); e quella in uso adesso nella destra americana, con un senso dispregiativo (la ‘pedanteria’ dei ‘socialmente corretti’).

[2] La prima espressione, Tear down this wall! (Abbatta questo muro!) venne pronunciata il 12 giugno 1987 dall’allora presidente degli Stati Uniti d’America Ronald Reagan durante un discorso tenuto presso la Porta di Brandeburgo, in occasione dei 750 anni di Berlino.  La frase era un’esortazione rivolta al segretario generale del PCUS Michail Gorbačëv ad abbattere il Muro di Berlino.

La seconda, «Ich bin ein Berliner» è una frase pronunciata il 26 giugno 1963 a Berlino Ovest dal presidente statunitense John F. Kennedy durante il discorso tenuto a Rudolph-Wilde-Platz in occasione della visita ufficiale alla città. Tradotta in italiano la frase significa «Io sono un berlinese», e divenne una delle più note e iconiche della breve presidenza di Kennedy, che fu assassinato cinque mesi più tardi.

 

 

 

 

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