May 19, 2022
By Paul Krugman
Russia’s military failure in Ukraine has defied almost everyone’s predictions. First came abject defeat at the gates of Kyiv. Then came the incredible shrinking blitzkrieg, as attempts to encircle Ukrainian forces in the supposedly more favorable terrain in the east have devolved into a slow-motion battle of attrition.
What’s important about this second Russian setback is that it interacts with another big surprise: The remarkable — and, in some ways, puzzling — effectiveness, at least so far, of Western economic sanctions against the Putin regime, sanctions that are working in an unexpected way.
As soon as the war began there was a great deal of talk about bringing economic pressure to bear against the invading nation. Most of this focused on ways to cut off Russia’s exports, especially its sales of oil and natural gas. Unfortunately, however, there has been shamefully little meaningful movement on that front. The Biden administration has banned imports of Russian oil, but this will have little impact unless other nations follow our lead. And Europe, in particular, still hasn’t placed an embargo on Russian oil, let alone done anything substantive to wean itself from dependence on Russian gas.
As a result, Russian exports have held up, and the country appears to be headed for a record trade surplus. So is Vladimir Putin winning the economic war?
No, he’s losing it. That surging surplus is a sign of weakness, not strength — it largely reflects a plunge in Russia’s imports, which even state-backed analysts say is hobbling its economy. Russia is, in effect, making a lot of money selling oil and gas, but finding it hard to use that money to buy the things it needs, reportedly including crucial components used in the production of tanks and other military equipment.
Why is Russia apparently having so much trouble buying stuff? Part of the answer is that many of the world’s democracies have banned sales to Russia of a variety of goods — weapons, of course, but also industrial components that can, directly or indirectly, be used to produce weapons.
However, that can’t be the whole story, because Russia seems to have lost access to imports even from countries that aren’t imposing sanctions. Matt Klein of the blog The Overshoot estimates that in March, exports from allied democracies to Russia were down 53 percent from normal levels (and early indications are that they fell further in April). But exports from neutral or pro-Russian countries, including China, were down almost as much — 45 percent.
Some of this may, as Klein has suggested, reflect fear, even in non-allied countries, of “being on the wrong side of sanctions.” Imagine yourself as the chief executive of a Chinese company that relies on components produced in South Korea, Japan or the United States. If you make sales to Russia that might be seen as helping Putin’s war effort, wouldn’t you worry about facing sanctions yourself?
Sanctions on Russia’s financial system, such as the freezing of the central bank’s reserves and the exclusion of some major private banks from international payment systems, may also be crimping imports. Hard currency may be flowing into Russia, but using that currency to buy things abroad has become difficult. You can’t conduct modern business with suitcases full of $100 bills.
Now, it’s possible, even likely, that over time Russia will find workarounds that bypass Western sanctions. But time is one thing Putin doesn’t seem to have.
As I said, the war in Ukraine appears to have devolved into a battle of attrition, and that’s not a battle Putin seems likely to win: Russia has suffered huge equipment losses that it won’t be able to replace any time soon, while Ukraine is receiving large equipment inflows from the West. This war may well be over, and not to Putin’s advantage, before Russia finds ways around Western sanctions.
One final point: The effect of sanctions on Russia offers a graphic, if grisly, demonstration of a point economists often try to make, but rarely manage to get across: Imports, not exports, are the point of international trade.
That is, the benefits of trade shouldn’t be measured by the jobs and incomes created in export industries; those workers could, after all, be doing something else. The gains from trade come, instead, from the useful goods and services other countries provide to your citizens. And running a trade surplus isn’t a “win”; if anything, it means that you’re giving the world more than you get, receiving nothing but i.o.u.s in return.
Yes, I know that in practice there are caveats and complications to these statements. Trade surpluses can sometimes help boost a weak economy, and while imports make a nation richer, they may displace and impoverish some workers. But what’s happening to Russia illustrates their essential truth. Russia’s trade surplus is a sign of weakness, not strength; its exports are (alas) holding up well despite its pariah status, but its economy is being crippled by a cutoff of imports.
And this in turn means that Putin is losing the economic as well as the military war.
Come l’Occidente sta strangolando l’economia di Putin,
di Paul Krugman
Il fallimento militare della Russia in Ucraina ha sfidato le previsioni di quasi tutti. Prima è arrivata l’umiliante sconfitta alle porte di Kiev. Poi è arrivato l’incredibile restringimento della guerra-lampo, con i tentativi di circondare le forze ucraine sul terreno ritenuto più favorevole dell’est che si sono risolti in una battaglia di logoramento al rallentatore.
Quello che è importante in questa seconda battuta d’arresto è che essa interagisce con un’altra grande sorpresa: la considerevole – e in qualche modo sconcertante – efficacia, almeno sino a questo punto, delle sanzioni economiche occidentali contro il regime di Putin, sanzioni che stanno funzionando in modi inattesi.
Appena la guerra è cominciata c’è stato un gran parlare sull’esercitare pressioni economiche contro la nazione che invadeva. Per la maggior parte ci si concentrava sui modi per tagliare le esportazioni della Russia, in particolare le sue vendite di petrolio e di gas naturale. Sfortunatamente, tuttavia, su quel fronte ci sono state iniziative significative vergognosamente modeste. L’Amministrazione Biden ha messo al bando le importazioni di petrolio russo, ma questo avrà poco effetto se altre nazioni non seguono il nostro esempio. E l’Europa, in particolare, non ha ancora stabilito un embargo sul petrolio russo, per non dire che non ha fatto niente di sostanziale per fare a meno della sua dipendenza dal gas russo.
Come risultato, le esportazioni russe hanno resistito, e il paese sembra essere indirizzato verso un record nel surplus commerciale. Dunque, Vladimir Putin sta vincendo la guerra economica?
No, in realtà la sta perdendo. Quel surplus in crescita è un segno del crollo delle importazioni russe, che persino gli analisti sostenuti dallo Stato dicono stanno azzoppando la sua economia. In effetti, la Russia sta facendo un sacco di soldi vendendo petrolio e gas, ma ha difficoltà nell’usare quel denaro per acquistare le cose di cui ha bisogno, incluse, a quanto si riferisce, componenti cruciali nella produzione di carri armati e di altre attrezzature militari.
Perché la Russia sta in apparenza avendo tante difficoltà nell’acquistare prodotti? In parte la risposta è che molte democrazie del mondo hanno messo al bando le vendite alla Russia di un varietà di prodotti – armi, ovviamente, ma anche componenti industriali che possono, direttamente o indirettamente, essere utilizzate per produrre armi.
Tuttavia, quella non può essere tutta la storia, perché la Russia sembra aver perso l’accesso ad importazioni da paesi che non stanno imponendo sanzioni. Matt Klein del blog The Overshoot stima che in marzo le esportazioni dalle democrazie alleate verso la Russia siano calate del 53 per cento dai livelli normali (e le prime indicazioni sono che sono calate ulteriormente in aprile). Ma le esportazioni da paesi neutrali o favorevoli alla Russia, compresa la Cina, sono calate quasi altrettanto – del 45 per cento.
In parte questo può riflettere il timore, come suggerisce Klein, persino in paesi non alleati, di “ritrovarsi dalla parte sbagliata delle sanzioni”. Immaginate di essere al posto di un amministratore delegato di una società cinese che si basa su componenti prodotte nella Corea del Sud, nel Giappone o negli Stati Uniti. Se faceste vendite alla Russia che possono essere considerate come un aiuto allo sforzo bellico di Putin, non sareste preoccupati di finire voi stessi sotto sanzioni?
Anche le sanzioni al sistema finanziario russo, come il congelamento delle riserve della Banca Centrale e l’esclusione di alcune importanti banche private dal sistema internazionale dei pagamenti, possono star mettendo in difficoltà le importazioni. Valute forti possono affluire in Russia, ma utilizzare quelle valute per acquistare prodotti è diventato difficile. Non si possono condurre gli affari moderni con valige ripiene di banconote da 100 dollari.
Ora, è possibile, persino probabile, che con il tempo la Russia troverà espedienti per aggirare le sanzioni occidentali. Ma il tempo è una cosa che sembra Putin non abbia.
Come ho detto, la guerra in Ucraina sembra stia risolvendosi in una battaglia di logoramento, e quelle non è un battaglia che Putin è probabile vinca: la Russia ha sofferto vaste perdite di equipaggiamento che non sarà capace di sostituire in breve, mentre l’Ucraina sta ricevendo ampi flussi di attrezzature dall’Occidente. Questa guerra potrebbe ben esaurirsi, e non a vantaggio di Putin, prima che la Russia trovi modi per aggirare le sanzioni occidentali.
Un aspetto finale: gli effetti delle sanzioni sulla Russia offrono una dimostrazione, per quanto terribile, di un argomento che gli economisti cercano spesso di avanzare, che che raramente riescono a comunicare: le importazioni, non le esportazioni, sono i vero tema del commercio internazionale.
Ovvero, i benefici del commercio non dovrebbero essere misurati nei posti di lavoro e nei redditi creati dalle industrie delle esportazioni; quei lavoratori, dopo tutto, potrebbero fare qualcos’altro. I vantaggi dal commercio provengono invece dai prodotti e dai servizi utili che altri paesi forniscono ai vostri cittadini. E gestire un surplus commerciale non significa “vincere”; semmai, significa che si sta offrendo al mondo meno si quello che si riceve, ricevendo in cambio nient’altro che “promesse di pagamento”.
È vero, so che in pratica ci sono riserve e complicazioni a questi argomenti. I surplus commerciali possono talvolta aiutare a sostenere un’economia debole, e mentre le importazioni rendono una nazione più ricca, esse possono lasciare disoccupati e impoverire alcuni lavoratori. Ma quello che sta accadendo alla Russia illustra la sostanziale verità di questi argomenti. Il surplus commerciale della Russia è un segno di debolezza, non di forza; le sue esportazioni stanno (purtroppo) resistendo ben oltre la sua condizione di paria economico, ma la sia economia viene danneggiata dal taglio delle importazioni.
E questo a sua volta comporta che Putin sta perdendo la guerra economica, allo stesso modo di quella militare.
By mm
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