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Cosa ci dice del futuro un lago che muore, di Paul Krugman (New York Times, 13 giugno 2022)

 

June 13, 2022

What a Dying Lake Says About the Future

By Paul Krugman

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A few days ago The Times published a report on the drying up of the Great Salt Lake, a story I’m ashamed to admit had flown under my personal radar. We’re not talking about a hypothetical event in the distant future: The lake has already lost two-thirds of its surface area, and ecological disasters — salinity rising to the point where wildlife dies off, occasional poisonous dust storms sweeping through a metropolitan area of 2.5 million people — seem imminent.

As an aside, I was a bit surprised that the article didn’t mention the obvious parallels with the Aral Sea, a huge lake that the Soviet Union had managed to turn into a toxic desert.

In any case, what’s happening to the Great Salt Lake is pretty bad. But what I found really scary about the report is what the lack of an effective response to the lake’s crisis says about our ability to respond to the larger, indeed existential, threat of climate change.

If you aren’t terrified by the threat posed by rising levels of greenhouse gases, you aren’t paying attention — which, sadly, many people aren’t. And those who are or should be aware of that threat but stand in the way of action for the sake of short-term profits or political expediency are, in a real sense, betraying humanity.

That said, the world’s failure to take action on climate, while inexcusable, is also understandable. For as many observers have noted, global warming is a problem that almost looks custom-designed to make political action difficult. In fact, the politics of climate change are hard for at least four reasons.

First, when scientists began raising the alarm in the 1980s, climate change looked like a distant threat — a problem for future generations. Some people still see it that way; last month a senior executive at the bank HSBC gave a talk in which he declared, “Who cares if Miami is six meters underwater in 100 years?”

This view is all wrong — we’re already seeing the effects of climate change, largely in the form of a rising frequency and intensity of extreme weather events, like the megadrought in the American West that is contributing to the death of the Great Salt Lake. But that’s a statistical argument, which brings me to the second problem with climate change: It’s not yet visible to the naked eye, at least the naked eye that doesn’t want to see.

Weather, after all, fluctuates. Heat waves and droughts happened before the planet began warming; cold spells still happen even with the planet warmer on average than in the past. It doesn’t take fancy analysis to show that there is a persistent upward trend in temperatures, but many people aren’t convinced by statistical analysis of any kind, fancy or not, only by raw experience.

Then there’s the third problem: Until recently, it looked as if any major attempt to reduce greenhouse gas emissions would have significant economic costs. Serious estimates of these costs were always much lower than claimed by anti-environmentalists, and spectacular technological progress in renewable energy has made a transition to a low-emission economy look far easier than anyone could have imagined 15 years ago. Still, fears about economic losses helped block climate action.

Finally, climate change is a global problem, requiring global action — and offering a reason not to move. Anyone urging U.S. action has encountered the counterargument, “It doesn’t matter what we do, because China will just keep polluting.” There are answers to that argument — if we ever do get serious about emissions, carbon tariffs will have to be part of the mix. But it’s certainly an argument that affects the discussion.

As I said, all of these issues are explanations for inaction on climate, not excuses. But here’s the thing: None of these explanations for environmental inaction apply to the death of the Great Salt Lake. Yet the relevant policymakers still seem unwilling or unable to act.

Remember, we’re not talking about bad things that might happen in the distant future: Much of the lake is already gone, and the big wildlife die-off might begin as early as this summer. And it doesn’t take a statistical model to notice that the lake is shrinking.

In terms of the economics, tourism is a huge industry in Utah. How will that industry fare if the famous lake becomes a poisoned desert? And how can a state on the edge of ecological crisis still be diverting water desperately needed to replenish the lake to maintain lush green lawns that serve no essential economic purpose?

Finally, we aren’t talking about a global problem. True, global climate change has contributed to reduced snowpack, which is one reason the Great Salt Lake has shrunk. But a large part of the problem is local water consumption; if that consumption could be curbed, Utah needn’t worry that its efforts would be negated by the Chinese or whatever.

So this should be easy: A threatened region should be accepting modest sacrifices, some barely more than inconveniences, to avert a disaster just around the corner. But it doesn’t seem to be happening.

And if we can’t save the Great Salt Lake, what chance do we have of saving the planet?

 

Cosa ci dice del futuro un lago che muore,

di Paul Krugman

 

Pochi giorni fa il Times ha pubblicato un rapporto sul prosciugamento del Grande Lago Salato [1], una storia che mi vergogno di di ammettere era sfuggita alla mia attenzione. Non stiamo parlando di un evento ipotetico in un distante futuro: il lago ha già perso due terzi delle sua area di superficie, ed i disastri ecologici – crescita della salinità sino al punto in cui la fauna selvatica scompare, occasionali tempeste tossiche di polvere che si diffondono in un’area metropolitana di due milioni e mezzo di persone – sembrano imminenti.

Per inciso, sono rimasto un po’ sorpreso che l’articolo non menzionasse l’evidente somiglianza con il Mare di Aral, una vasto lago che l’Unione Sovietica riuscì  ridurre ad un deserto tossico.

In ogni caso, quello che sta accadendo al Grande Lago Salato è piuttosto grave. Ma quello che ho trovato davvero spaventoso nel rapporto è quello che la mancanza di alcuna efficace risposta alla crisi del lago ci dice sulla nostra capacità di rispondere alla più grande minaccia, effettivamente esistenziale, del cambiamento climatico.

Se non siete terrorizzati dalla minaccia costituita dai livelli crescenti dei gas serra, vuol dire che non state prestando attenzione – il che, tristemente, è quello che fanno molte persone. E coloro che sono o dovrebbero essere consapevoli di quella minaccia ma impediscono ogni iniziativa nell’interesse di profitti a breve termine o di vantaggi politici personali stanno, letteralmente, tradendo l’umanità.

Ciò detto, l’incapacità del mondo ad assumere iniziativa sul clima, mentre è imperdonabile, è anche comprensibile. Come hanno notato molti osservatori, il riscaldamento globale è un problema che sembra quasi fatto su misura per rendere difficile l’iniziativa politica. In sostanza, la politica del cambiamento climatico è difficile per almeno quattro ragioni.

La prima, quando gli scienziati cominciarono a sollevare l’allarme negli anni ’80, il cambiamento climatico sembrava una minaccia lontana – un problema delle generazioni future. Alcuni lo considerano ancora in quel modo; il mese scorso un importante dirigente della banca HSBC ha tenuto un discorso nel quale ha dichiarato: “Chi si preoccupa se Miami finisce sotto l’acqua di sei metri in cento anni?”

Questo punto di vista è completamente sbagliato – noi stiamo già assistendo agli effetti del cambiamento climatico, in gran parte nella forma di una crescente frequenza e intensità degli eventi atmosferici estremi, come la grande siccità nell’Occidente dell’America che sta contribuendo alla morte del Grande Lago Salato. Ma questo è un argomento statistico, il che mi porta al secondo problema del cambiamento climatico: esso non è ancora visibile ad occhio nudo, almeno all’occhio nudo che si rifiuta di vederlo.

Il clima, in fin dei conti, fluttua. Le ondate di caldo e di siccità avvenivano prima che il pianeta cominciasse a riscaldarsi; periodi di freddo avvengono ancora anche con il pianeta in media più caldo che nel passato. Non serve una analisi accurata per dimostrare che c’è un tendenza all’aumento delle temperature , ma molte persone non si convincono per le analisi statistiche di qualsiasi genere, accurate o meno, ma soltanto per la cruda esperienza.

A quel punto, c’è il terzo problema: sino ai tempi recenti, sembrava che ogni importante tentativo di ridurre le emissioni dei gas serra avrebbero avuto costi economici significativi. Le stime serie di questi costi sono sempre state più basse di quello che sostenevano gli antiambientalisti, e lo spettacolare progresso tecnologico nelle energie rinnovabili  fa apparire una transizione ad una economia a basse emissioni assai più semplice di quanto nessuno si sarebbe potuto immaginare 15 anno orsono. Eppure, le paure sulle perdite economiche contribuiscono a bloccare l’iniziativa sul clima.

Infine, il cambiamento climatico è un problema globale, che richiede una iniziativa globale – il che offre una ragione per non muoversi. Chiunque spinga per una iniziativa sul clima si è misurato con il contro argomento: “Non è importante quello che si fa, perché la Cina continuerà ad inquinare nello stesso modo”. A tale argomento ci sono risposte – se un giorno faremo sul serio sulle emissioni, le tariffe sul carbonio dovranno essere una parte della strategia. Ma questo è certamente un argomento che influisce sul dibattito.

Come ho detto, tutti questi temi sono spiegazioni della mancanza di iniziativa sul clima, non scuse. Ma c’è un punto: nessuna di queste spiegazioni per la mancanza di iniziativa sul clima si applica alla morte del Grande Lago Salato. Tuttavia, le autorità che hanno responsabilità sembrano ancora indisponibili o incapaci di agire.

Si ricordi, non stiamo parlando di cose negative che potrebbero accadere in un futuro lontano: un gran parte del lago se ne è già andata e la grande scomparsa della fauna naturale potrebbe già avere inizio questa estate. E non occorre un modello statistico per accorgersi che il lago si sta riducendo.

Dal punto di vista dell’economia, il turismo è un vasto settore economico nello Utah. Cosa accadrà a quel settore se il famoso lago diventa un deserto tossico? E come può uno Stato sull’orlo di una crisi ecologica stare ancora deviando acqua disperatamente necessaria per alimentare il lago, per mantenere rigogliosi prati verdi che non hanno alcuno scopo economico?

Infine, non stiamo parlando di un problema globale. È vero, il cambiamento climatico ha contribuito a ridurre gli accumuli nevosi, che è una ragione per la quale il lago si è ritirato. Ma una gran parte del problema è il consumo locale dell’acqua; se quel consumo potesse essere limitato, l’Utah non avrebbe bisogno di preoccuparsi che i suoi sforzi vengano contrastati dai cinesi o da qualcos’altro.

Dunque, dovrebbe essere facile: una regione minacciata dovrebbe accettare modesti sacrifici, alcuni appena più che seccature, per evitare un disastro proprio dietro l’angolo. Ma non sembra che stia avvenendo.

E se non possiamo salvare il Grande Lago Salato, che possibilità abbiamo di salvare il Pianeta?

 

 

 

[1] Il Gran Lago Salato è quanto oggi resta del lago Bonneville, un vasto bacino preistorico che si è in gran parte prosciugato. Il lago si trova ad un’altitudine media di 1.280 m. Ha una lunghezza di circa 120 km e una larghezza che varia tra 48 km e 80 km. La superficie media del lago è di 4.400 km² (che ne fa il secondo lago per dimensioni fra quelli interamente all’interno dei confini degli Stati Uniti, dopo il Lago Michigan), ed è soggetta a forti variazioni stagionali. Il lago è mediamente poco profondo (4,5 m).

Le acque del Gran Lago Salato hanno una composizione chimica molto simile a quella delle acque oceaniche. La concentrazione salina varia tra 50 g/l (50 grammi di sale per litro) e 270 g/l (la salinità media del mare è di circa 35 g/l). A causa dell’elevata salinità, poche specie viventi sono in grado di abitarlo. La specie più rappresentativa è costituita dai piccoli crostacei della specie Artemia salina.

D’estate il lago attrae turisti e popolazione locale, che vi si recano per farsi il bagno, analogamente a quanto succede nel Mar Morto. Wikipedia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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