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I folli, i codardi e il golpe di Trump, di Paul Krugman New York Times, 30 giugno 2022)

 

June 30, 2022

Crazies, Cowards and the Trump Coup

By Paul Krugman

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Like many people, I expected the worst from the Jan. 6 committee: long, droning speeches, grandstanding by posturing politicians, lots of he-said-she-said.

What we’ve gotten instead has been riveting and terrifying. The usual suspects are, of course, nit-picking at the details — although never over the crucial points, like Donald Trump’s desire to participate in an armed assault on the Capitol, and never, tellingly, under oath — and some in the news media are, shamefully, playing along. But realistically there is no longer any doubt that Trump tried to overturn the results of a lawful election, and when all else had failed, encouraged and tried to abet a violent attack on Congress.

I’ll leave it to the legal experts to figure out whether the evidence should lead to formal criminal proceedings, and in particular whether Trump himself should be charged with seditious conspiracy. But no reasonable person can deny that what happened after the 2020 election was an attempted coup, a betrayal of everything America stands for.

I still see some people comparing this scandal to Watergate. That’s like comparing assault and battery to a traffic violation. Trump’s actions were by far the worst thing any American president has ever done.

But here’s the thing: Dozens of people in or close to the Trump administration must have known what was going on; many of them surely have firsthand knowledge of at least some aspects of the coup attempt. Yet only a handful have come forward with what they know.

And what about Republicans in Congress? Almost surely many if not most of them realize the enormity of what happened — after all, the assault on the Capitol placed their own lives in danger. Yet 175 House Republicans voted against creating a national commission on the Jan. 6 insurrection, with only 35 in favor.

How can we explain this abdication of duty? Even now, full-on MAGA cultists are probably a minority among G.O.P. politicians. For every Lauren Boebert or Marjorie Taylor Greene, there are most likely several Kevin McCarthys — careerists, not crazies, apparatchiks rather than fanatics. Yet the noncrazy wing of the G.O.P., with only a handful of exceptions, has nonetheless done everything it can to prevent any reckoning over the attempted coup.

Which has me thinking about the nature of courage, and the way courage — or cowardice — is mediated by institutions.

Human beings can be incredibly brave. As we see in the news from Ukraine every day, many soldiers are willing to hold their ground under deadly artillery barrages. Firefighters rush into burning buildings. Indeed, the Capitol Police were heroic in their defense of Congress on Jan. 6.

Such displays of physical courage aren’t commonplace — most of us will never know how we’d perform in such circumstances. Yet if physical courage is rare, moral courage — the willingness to stand up for what you believe to be right, even in the face of social pressure to conform — is even rarer. And moral courage is what Trump’s associates and Republican members of Congress so conspicuously lack.

Is this a partisan thing? We can’t really know how members of the other party would respond if a Democratic president tried a similar coup — but that’s partly because such an attempt is more or less inconceivable. For as political scientists have long noted, the two parties are very different, not just in their policies, but in their institutional structures as well.

The Democratic Party, while it may be more unified than in the past, remains a loose coalition of interest groups. Some of these interest groups are praiseworthy, some not so much, but in any case the looseness gives Democrats room to criticize their leaders and, if they choose, take a stand on principle.

The Republican Party is a far more monolithic entity, in which politicians compete over who adheres most faithfully to the party’s line. That line used to be defined by economic ideology, but these days it is more about positioning in the culture wars — and personal loyalty to Trump. It takes great moral courage for Republicans to defy the party’s diktats, and those who do are promptly excommunicated.

There’s an exception that proves the rule: the surprising pro-democracy stand of the neocons, the people who gave us the Iraq war. That was a terrible sin, never to be forgotten. But during the Trump years, as most of the G.O.P. bent its knee to a man whose awfulness it fully understood, just about all the prominent neocons — from William Kristol and Max Boot to, yes, Liz Cheney — sided firmly with the rule of law.

Where’s this coming from? I don’t think it’s a slur on these people’s courage to note that the neocons were always a distinct group, never fully assimilated by the Republican monolith, with careers that rested in part on reputations outside the party. This arguably leaves them freer than garden-variety Republicans to act in accord with their consciences.

Unfortunately, that still leaves the rest. If the Democrats are a coalition of interest groups, Republicans are now a coalition of crazies and cowards. And it’s hard to say which Republicans present the greater danger.

 

I folli, i codardi e il golpe di Trump,

di Paul Krugman

 

Come molti, mi aspettavo il peggio dalla commissione sul 6 gennaio: lunghi discorsi soporiferi, il mettersi in mostra di politici che fanno la scena, un mucchio di riferimenti a quanto detto da quello e da quell’altro.

Quello che invece abbiamo avuto è stato coinvolgente e terrificante. Ovviamente, i soliti noti cavillano sui dettagli – sebbene mai sui passaggi cruciali, come il desiderio di Trump di partecipare ad un assalto armato al Campidoglio, e mai, significativamente, sotto giuramento – e nei notiziari alcuni, vergognosamente, stanno al gioco. Ma realisticamente non c’è più alcun dubbio che Trump abbia cercato di rovesciare i risultati di elezioni legittime, e quando tutto il resto era fallito, di incoraggiare e di cercare di agevolare un attacco violento al Congresso.

Lascerò agli esperti legali di risolvere la questione se le prove debbano portare ad un formale procedimento penale, e in particolare se Trump stesso debba essere accusato di cospirazione sediziosa. Ma nessuna persona ragionevole può negare che dopo le elezioni del 2020 venne tentato un golpe, un tradimento di tutto quello per cui l’America si distingue.

Vedo ancora persone che paragonano questo scandalo al Watergate. È come paragonare una aggressione aggravata ad una violazione del codice stradale. Le azioni di Trump sono di gran lunga la cosa peggiore che un Presidente americano abbia mai fatto.

Ma il punto è questo: dozzine di persone della Amministrazione Trump o ad essa vicine possono aver saputo cosa stava accadendo; molti di loro avevano sicuramente una conoscenza di prima mano di alcuni aspetti del tentativo di golpe. Ma solo una manciata di esse si sono fatte avanti con quello che sapevano.

E cosa dire dei repubblicani del Congresso? Quasi certamente molti, se non la maggioranza di loro, comprendono l’enormità di quello che è accaduto – dopotutto, l’assalto al Campidoglio metteva in pericolo le loro stesse vite. Tuttavia, 175 repubblicani della Camera hanno votato contro la creazione di una commissione nazionale sulla insurrezione del 6 giugno; con soltanto 35 a favore.

Come possiamo spiegare questa abdicazione dal dovere? Anche adesso, i cultori assoluti del MAGA sono probabilmente una minoranza tra i politici repubblicani. Per ciascun Lauren Boebert o Majorie Taylor Greene, e più probabile che ci siano vari Kevin McCarhty [1] – carrieristi non folli, uomini d’apparato piuttosto che fanatici. Tuttavia l’ala non folle del Partito Repubblicano, con solo una manciata di eccezioni, ha fatto tutto quello che poteva per impedire una resa dei conti sul tentato golpe.

Il che mi spinge a ragionare sulla natura del coraggio, e sul modo in cui il coraggio – o la viltà – è mediato dalle istituzioni.

Gli esseri umani possono essere incredibilmente audaci. Come constatiamo ogni giorno nelle notizie dall’Ucraina, molti soldati sono disponibili a mantenere le loro posizioni sotto il mortale sbarramento della artiglieria. I pompieri si precipitano negli edifici in fiamme. In effetti, la polizia del Campidoglio fu eroica nella sua difesa del Congresso il 6 gennaio.

Tali manifestazioni di coraggio fisico non sono usuali – la maggioranza di noi non saprà mai come si comporterebbe in tali circostanze. Tuttavia se il coraggio fisico è raro, il coraggio morale – la disponibilità a battersi per quello che si crede sia giusto, anche di fronte ad una pressione collettiva a uniformarsi – è persino più raro. E il coraggio morale è ciò di cui i soci di Trump e i membri repubblicani del Congresso difettano maggiormente.

È un caratteristica di parte? Noi davvero non sappiamo come i membri dell’altro Partito risponderebbero se un Presidente democratico provasse un golpe del genere – ma ciò in parte dipende dal fatto che un tale tentativo è più o meno inconcepibile. Perché, come hanno notato da tempo gli scienziati della politica, i due partiti sono molto differenti, non solo nelle loro politiche, ma anche nelle loro strutture istituzionali.

Il Partito Democratico, se può essere più unificato del passato, resta una approssimativa coalizione di gruppi di interesse. Alcuni di questi gruppi di interesse sono encomiabili, altri non altrettanto, ma in ogni caso quella approssimazione dà ai democratici margini per criticare i loro dirigenti e, se lo scelgono, per prendere una posizione di principio.

Il Partito Repubblicano è un’entità più monolitica, nella quale la competizione tra i politici avviene su chi aderisce con la maggiore lealtà alla linea del partito. Un tempo quella linea era definita dalla ideologia economica, ma oggi essa riguarda maggiormente il posizionamento nelle guerre culturali – e la personale lealtà a Trump. Ci vuole grande coraggio morale per i repubblicani per sfidare i diktat del partito, e quelli che lo fanno sono immediatamente scomunicati.

C’è una eccezione che conferma la regola: la sorprendente presa di posizione a favore della democrazia dei neoconservatori, le persone che ci regalarono la guerra in Iraq. Quello fu un peccato terribile, da non dimenticare mai. Ma durante gli anni di Trump, quando la maggioranza del Partito Repubblicano si inchinò dinanzi ad un uomo la cui scarsa qualità comprendeva pienamente, quasi tutti i più eminenti neoconservatori – da William Kristol e da Max Boot sino a, va riconosciuti, Liz Cheney – si schierarono fermamente con lo stato di diritto [2].

Da dove è derivato tutto questo? Non penso sia un insulto al coraggio di queste persone notare che i neoconservatori sono sempre stati un gruppo distinto, mai pienamente assimilato al monolite repubblicano, le cui carriere si basavano in parte su una reputazione esterna al partito. Questo verosimilmente li ha lasciati più liberi dei repubblicani più comuni di agire in accordo con le loro coscienze. Sfortunatamente, ciò che ancora manca agli altri. Se i democratici sono una coalizione di gruppi di interesse, i repubblicani sono oggi una coalizione di folli e di codardi. Ed è difficile dire quali repubblicani rappresentino il pericolo maggiore.

 

 

 

 

 

[1] Lauren Opal Boebert è una politica statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato del Colorado dal 2021; Marjorie Taylor Greene è una politica e imprenditrice statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della Georgia dal 2021 e nota per avere dato credito alla teoria del complotto QAnon, già circolante in ambienti della estrema destra, da lei sostenuta attraverso un video su Facebook; Kevin Owen McCarthy è un politico statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato della California.

Quest’ultimo è distinto da primi due non perché non sia stato un trumpiano convinto, sino a negare la vittoria elettorale di Biden ed a partecipare agli sforzi legali per sovvertirla, ma per aver almeno – successivamente – condannato l’assalto al Campidoglio.

[2] William Kristol e un giornalista ed analista politico statunitense e dirige il “Progetto per un nuovo secolo americano”; ebbe incarichi sia da amministrazioni democratiche che con Reagan e Bush padre. Max Boot è uno scrittore, conferenziere ed esperto storico militare russo americano (nacque a Mosca ma nel 1976 i suoi genitori, entrambi russi di origini ebraiche, si trasferirono a Los Angeles). Anche lui un collaboratore del “Progetto per un nuovo secolo americano”.

Elizabeth Lynne “Liz” Cheney Perry è una politica statunitense, membro della Camera dei Rappresentanti per lo stato del Wyoming dal 2017. È figlia del ben noto Dick Cheney, uno dei massimi protagonisti della guerra in Iraq, da lei affiancato nei momenti più significativi della carriera politica (paterna). Ma nel gennaio del 2021 votò a favore dell’impeachment contro Donald Trump per il suo ruolo nel sobillare l’assalto al Campidoglio.

 

 

 

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