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Le criptovalute stanno crollando. Dov’erano I regolatori? Di Paul Krugman (New York Times 11 luglio 2022)

 

July 11, 2022

Crypto Is Crashing. Where Were the Regulators?

By Paul Krugman

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When the Federal Reserve speaks, it speaks in Fedspeak. A pithy turn of phrase or a striking metaphor can all too easily turn into a headline, causing big market moves and a public backlash. So dry technical language and euphemisms are usually the way to go.

Given this reality, the bluntness of a recent speech on crypto regulation by Lael Brainard, the Fed vice chair, is almost shocking.

True, Brainard didn’t go as far as Jim Chanos, the famous short-seller, who called crypto a “predatory junkyard.” But she came close. The very first heading in her remarks was, “Distinguishing Responsible Innovation From Regulatory Evasion,” and she strongly suggested that much of the crypto universe is driven by the latter. Traditional banking is regulated for a reason; crypto, in bypassing these regulations, she said, has created an environment subject to bank runs, not to mention “theft, hacks and ransom attacks” — plus “money laundering and financing of terrorism.”

Other than that, it’s all good.

The thing is, most of Brainard’s litany has been obvious for some time to independent observers. So why are we only now hearing serious calls for regulation?

Cryptocurrencies have been around since 2009, and in all this time they have never come to play a major role in real-world transactions — El Salvador’s much-hyped attempt to make bitcoin its national currency has become a debacle.

So how did cryptocurrencies come to be worth almost $3 trillion at their peak? (Two-thirds of that value has now vanished.) Why was nothing done to rein in “stablecoins,” which were supposedly pegged to the U.S. dollar but were clearly subject to all the risks of unregulated banking, and are now experiencing a cascading series of collapses reminiscent of the wave of bank failures that helped make the Great Depression great?

My answer is that while the crypto industry has never managed to come up with products that are much use in the real economy, it has been spectacularly successful at marketing itself, creating an image of being both cutting edge and respectable. It has done so, in particular, by cultivating prominent people and institutions.

I’m not talking here about the embrace of crypto by libertarians and MAGA types, nor am I talking about embarrassing episodes like that crypto ad starring Matt Damon. What strikes me, instead, is the extent to which crypto has gained a reputation for respectability through association with high-status institutions and individuals.

Suppose, for example, that you use a digital payments app like Venmo, which has amply demonstrated its usefulness for real-world transactions (you can even use it to buy produce at sidewalk fruit stands). Well, if you go to Venmo’s home page, you encounter an invitation to use the app to “begin your crypto journey”; in the app itself, a “Crypto” tab appears right after “Home” and “Cards.” Surely, then, crypto must be serious business.

Suppose you want to learn about crypto. Many famous universities offer programs, typically online subscription courses.

Suppose you want to know who’s advising major players in the crypto industry. Well, the board of Digital Currency Group, one of the biggest players, includes a co-chair of the Brookings Institution’s board of trustees and boasts a former Treasury secretary as an adviser.

Given this aura of mainstream approval, how many people would have been willing to believe that the digital emperor had no clothes? More to the point, how many would have been willing to accept a regulatory crackdown?

Why were these mainstream institutions and people lending cover to what is, as Brainard made clear, a highly dubious industry? I doubt there was any corruption (as opposed to what goes on in the crypto sector itself, which is overrun with fraudsters). Indeed, I know from personal experience that one can draw a paycheck doing what seems like honest work and find out only later that the people signing the check were scammers.

Still, there clearly were and are financial rewards involved. I don’t know how much money Venmo makes from people buying and selling crypto on its platform, but it’s certainly not offering the service out of sheer good will. If you want to take, say, M.I.T.’s online blockchain course, it will cost you $3,500.

The way I see it, crypto evolved into a sort of postmodern pyramid scheme. The industry lured investors in with a combination of technobabble and libertarian derp; it used some of that cash flow to buy the illusion of respectability, which brought in even more investors. And for a while, even as the risks multiplied, it became, in effect, too big to regulate.

One way to read Brainard’s speech is that she was saying that the crypto crash offers an opportunity — a moment in which effective regulation has become politically possible. And she urges us to take advantage of this moment, before crypto stops being a mere casino and becomes a threat to financial stability.

That’s very good advice. I hope the Fed and other policymakers take it.

 

Le criptovalute stanno crollando. Dov’erano I regolatori?

Di Paul Krugman

 

Quando parla la Federal Reserve, parla il linguaggio della Federal Reserve. Una frase stringata o una metafora fuori dall’ordinario può trasformarsi anche troppo facilmente in una grande notizia, provocando grandi movimenti sul mercato e contraccolpi nell’opinione pubblica. Dunque, un linguaggio tecnico arido e gli eufemismi sono normalmente il modo in cui procede.

Dato questo fatto, la schiettezza di un recente discorso di Lael Brainard, vicepresidente della Fed,  sulla regolamentazione delle criptovalute, è quasi impressionante.

È vero, la Brainard non è arrivata al punto di Jim Chanos, il famoso ‘venditore allo scoperto’ [1], che definì le criptovalute una “discarica per accaparratori”. Ma c’è andata vicina. Il primissimo titolo nelle sue osservazioni è stato: “Distinguere l’innovazione responsabile dalla evasione delle regole”, ed ella ha suggerito con forza che buona parte dell’universo delle criptovalute sia guidata dal secondo fattore. Il sistema bancario tradizionale è regolamentato per un ragione: le criptovalute, aggirando questi regolamenti hanno creato – così si è espressa – un ambiente soggetto agli assalti agli sportelli, per non dire “ad attacchi a scopo di furto, di impostura e di estorsione” – oltre che “a riciclaggio di denaro sporco e al finanziamento del terrorismo”.

Se non fosse per quello, sarebbe una buona cosa.

Il punto è che gran parte della serie di orrori della Brainard era evidente da un po’ di tempo per gli osservatori indipendenti. Dunque, perché soltanto adesso ascoltiamo serie richieste di regolamentazione?

Le criptovalute sono in circolazione dal 2009, e in tutto questo tempo non sono mai arrivate ad esercitare un ruolo importante nelle transazioni del mondo reale – il tentativo molto propagandato di El Salvador di fare dei bitcoin la propria valuta nazionale si è risolto in una debacle.

Dunque, come è accaduto che le criptovalute, al loro picco, sono arrivate ad avere un valore di quasi tre mila miliardi di dollari (due terzi di quel valore adesso sono svaniti)? Perché non è stato fatto niente per controllare le cosiddette “criptovalute stabili” [2], che si supponeva fossero ancorate al dollaro statunitense ma erano chiaramente soggette a tutti i rischi dei sistemi bancari non regolamentati, e adesso stanno conoscendo una serie di collassi a cascata che ricordano l’ondata dei fallimenti di banche che contribuirono a rendere ciò che fu la Grande Depressione?

La mia risposta è che mentre il settore delle criptovalute non è mai riuscito a caratterizzarsi come i prodotti che sono molto in uso nell’economia reale, esso ha avuto un successo spettacolare nel promuovere se stesso, creando una immagine di strumento sia innovativo che rispettabile. Lo ha fatto, in particolare, per la cura con cui è stato trattato da persone e da istituzioni eminenti.

Non sto parlando dell’abbraccio delle criptovalute da parte di soggetti libertariani e di cultori del MAGA [3], e neanche sto parlando degli episodi imbarazzanti come quello del protagonista assoluto delle criptovalute Matt Damon. Quello che mi impressiona, piuttosto, è la misura nella quale le criptovalute hanno guadagnato una reputazione di rispettabilità attraverso l’associazione con istituzioni e personaggi con elevata considerazione.

Supponiamo, ad esempio, che utilizziate una applicazione per i pagamenti digitali come Venmo, che ha dimostrato ampiamente la sua utilità nelle transazioni nel mondo reale (potete perfino utilizzarla per acquistare prodotti alle bancarelle della frutta sui marciapiedi). Ebbene, se andate alla home page di Venmo, ci trovate un invito ad usare l’applicazione per “cominciare il vostro viaggio cripto”; nella applicazione stessa il tasto “crypto” appare subito dopo “home” e “cards”. Di sicuro, dunque, cripto deve essere una cosa seria.

Supponiamo che vogliate imparare qualcosa sulle criptovalute. Molte Università famose offrono programmi, solitamente corsi con sottoscrizione online.

Supponiamo che vogliate sapere chi siano le importanti persone di spicco nella consulenza del settore delle criptovalute. Ebbene, il consiglio di amministrazione del Digital Currency Group, uno dei principali protagonisti, include un copresidente del comitato direttivo della Brookings Institution e vanta come consigliere un passato Segretario del Tesoro [4].

Data questa aura di convenzionale approvazione, quante persone sarebbero disposte a credere che l’imperatore sia nudo? Più precisamente, quanti saranno disponibili ad accettare un giro di vite regolamentare?

Perché queste principali istituzioni e individui si sono prestate ad una copertura verso quello che, come ha chiarito la Brainard, è un settore economico assai dubbio? Non credo che si sia trattato di corruzione (al contrario di quello che procede nello stesso settore delle criptovalute, che è invaso da truffatori). In effetti, so per esperienza personale che si può percepire un compenso da quello che sembra un lavoro onesto e scoprire solo successivamente che le persone che firmano l’assegno erano degli imbroglioni.

Eppure, ci sono chiaramente stati e ci sono ricompense finanziarie. Non so quanti soldi faccia Venmo dalle persone che comprano e vendono criptovalute sulla sua piattaforma, ma essa non sta certamente offrendo quel servizio per buon cuore. Se volete, ad esempio, acquistare un indirizzo online sulla ‘blockchain’ [5] del MIT, vi costerà 3.500 dollari.

Per come la vedo io, le criptovalute si sono evolute in una sorta di schema a piramide postmoderno. Il settore ha attratto investitori con una combinazione di gergo tecnichese e di sciocchezze libertariane; ha utilizzato quel flusso di contante per comprarsi una illusione di rispettabilità, il che ha portato ancora più investitori. E nel frattempo, persino quando i rischi si moltiplicavano, è diventato troppo grande per essere regolamentato.

Un modo di leggere l’intervento della Brainard è che lei stesse dicendo che il crollo delle criptovalute offre una opportunità – un momento nel quale una effettiva regolamentazione è diventata politicamente possibile. Ed ella ci sollecita a trarre vantaggio da questo momento, prima che le criptovalute cessino di essere una semplice casa da gioco e divengano una minaccia alla stabilità finanziaria.

È  un ottimo consiglio. Mi auguro che la Fed ed altre autorità lo facciano proprio.

 

 

 

 

 

[1] Per “vendita allo scoperto” si intende “la vendita di una attività finanziaria che non si possiede, ma che si è semplicemente persa a prestito da un terzo e deve essere acquistata entro un termine definito per restituirla al prestatore”.

[2] Il termine “criptovalute stabili” si riferisce a quelle criptovalute che cercano di fissare il loro valore di mercato a qualche riferimento esterno; può trattarsi, ad esempio, di valute legali come il dollaro statunitense, o di materie prime come l’oro. Per ottenere una certa stabilità dei prezzi, le criptovalute possono anche non essere garantite da altri asset, ma basarsi su calcoli algoritmici riferiti all’acquistare o al vendere altri asset (in pratica, basandosi su obblighi di mercato simili a quelli che le Banche Centrali impongono agli istituti di credito).

Quanto tutto questo non abbia in pratica funzionato granché, è spiegata nell’articolo di Barry Eichengreen qua tradotto del 13 luglio 2021, dal titolo “L’illusione delle criptovalute stabili”.

[3] Per una comprensione del termine “libertariano” nella cultura politica statunitense, è sufficiente una ricerca su questo blog, dove il termine è comparso moltissime volte; MAGA è invece la parola d’ordine preferita dai seguaci di Donald Trump.

[4] Si tratta, nientedimeno, di Lawrence Summers, che pudicamente – ma forse anche velenosamente – Krugman evita di nominare per esteso.

[5] “La Blockchain è una sottofamiglia di tecnologie, o un insieme di tecnologie, in cui il registro è strutturato come una catena di blocchi contenenti le transazioni e il consenso è distribuito su tutti i nodi della rete”. Ovvero, direi, qualcosa che rimane inaccessibile a chi è estraneo alle singole transazioni ed è al tempo stesso attivabile, ovvero mette in contatto, tutti coloro che sono interessati a realizzare transazioni. Qualcosa che ha il dono della ubiquità ma connette esclusivamente i singoli tra di loro.

 

 

 

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