July 7, 2022
By Paul Krugman
On Wednesday the five-year breakeven inflation rate fell to 2.48 percent. If that doesn’t mean anything to you — which is completely forgivable if you aren’t a professional economy-watcher — try this: The wholesale price of gasoline has fallen about 80 cents a gallon since its peak a month ago. Only a little of this plunge has been passed on to consumers so far, but over the weeks ahead we’re likely to see a broad decline in prices at the pump.
Incidentally, what are the odds that falling gas prices will get even a small fraction of the media coverage devoted to rising prices?
What these numbers and a growing accumulation of other data, from rents to shipping costs, suggest is that the risk of stagflation is receding. That’s good news. But I’m worried that policymakers, especially at the Federal Reserve, may be slow to adapt to the new information. They were clearly too complacent in the face of rising inflation (as was I!); but now they may be clinging too long to a hard-money stance and creating a gratuitous recession.
Let’s talk about what the Fed is afraid of.
Obviously we’ve had serious inflation problems over the past year and a half. Much, probably most, of this inflation reflected presumably temporary disruptions of supply ranging from supply-chain problems to Russia’s invasion of Ukraine. But part of the inflation surge also surely reflected an overheated domestic economy. Even those of us who are usually monetary doves agreed that the Fed needed to hike interest rates to cool the economy down — which it has. The Fed’s rate hikes, plus the anticipation of more hikes to come, have caused the interest rates that matter for the real economy — notably mortgage rates — to soar, which will reduce overall spending.
Indeed, there are early indications of a significant economic slowdown.
But the just-released minutes of last month’s meeting of the Fed’s Open Market Committee, which sets interest rates, suggest considerable fear that just cooling the economy off won’t be enough, that expectations of future inflation are becoming “unanchored” and that inflation “could become entrenched.”
This isn’t a foolish concern in principle. Over the course of the 1970s just about everyone came to expect persistent high inflation, and this expectation got built into wage- and price-setting — for example, employers were willing to lock in 10-percent-a-year wage increases because they expected all their competitors to be doing the same. Purging the economy of those entrenched expectations required an extended period of very high unemployment — stagflation.
But why did the Fed believe that something like this might be happening now? Both the minutes and remarks from the chair, Jerome Powell, suggest that an important factor was a preliminary release of survey results from the University of Michigan, which seemed to show a jump in long-term inflation expectations.
Even at the time, some of us warned against putting too much weight on one number, especially given the fact that other numbers weren’t telling the same story. Sure enough, the Michigan number was a blip: Most of that jump in inflation expectations went away when revised data was released a week later.
And for what it’s worth, financial markets are now more or less sounding the all-clear on persistent inflation. That five-year breakeven is the spread between ordinary interest rates and the interest rates on bonds that are protected against rising prices; it is therefore an implicit forecast of future inflation. And a closer look at the markets shows not just that they expect relatively low inflation over the medium term but also that they expect it to subside after the next year or so, returning thereafter to a level consistent with the Fed’s long-run target.
To be fair, bond traders don’t set wages and prices, and it’s possible in principle that inflation is getting entrenched in the minds of workers and businesses even as investors decide that it’s under control. But it’s not likely.
Also, there may be an element of self-denying prophecy here, with investors marking down their expectations of future inflation precisely because they expect the Fed to slam too hard on the brakes.
Still, it’s disturbing to read reports suggesting that the Fed is getting more hawkish even as the economy weakens and the prospects for sustained inflation are receding.
I don’t know exactly what’s going on here. Part of it may be the all too common tendency of policymakers to double down on a course of action even when the facts stop supporting it. Part of it may be that, having gotten past inflation wrong, Fed officials are, perhaps unconsciously, susceptible to bullying from Wall Street types determined to be hysterical about future inflation. And in part they may just be overcompensating for their previous underestimation of inflation risks.
In any case, there’s an old joke about the motorist who runs over a pedestrian, then tries to fix the mistake by backing up — and in so doing runs over the pedestrian a second time. I fear that something like that may be about to happen in economic policy.
Quella era la stagflazione che era,
di Paul Krugman
Mercoledì, il tasso di inflazione ‘al pareggio’ nei cinque anni è caduto al 2,48 per cento. Se ciò non vi dice niente – il che è del tutto perdonabile se non siete una osservatore professionale di economia – provate in questo modo: dal momento del suo picco di un mese fa, il prezzo complessivo della benzina è caduto di circa 80 centesimi al gallone. Sinora, solo una piccola parte di questo calo è stata trasferita ai consumatori, ma nel corso delle prossime settimane è probabile che assisteremo ad un declino generale di prezzi ai distributori.
Per inciso, quante probabilità che sono che il calo dei prezzi della benzina ricevano persino una parte minima della attenzione dei media sul tema dei prezzi in crescita?
Quello che questi dati ed un cumulo crescente di altri dati, dagli affitti ai costi delle spedizioni via nave, indicano è che il rischio della stagflazione sta recedendo. Questa è una buona notizia. Ma io sono preoccupato che le autorità, specialmente alla Federal Reserve, possano essere lente nell’adattarsi alle nuove notizie. Esse sono state chiaramente troppo indifferenti dinanzi alla inflazione in crescita (come era!); ma adesso possono restare troppo a lungo attaccati ad una posizione di restrizione monetaria e creare una recessione non necessaria.
Parliamo di quello che spaventa la Fed.
Ovviamente, nel corso dell’anno e mezzo passato, abbiamo avuto seri problemi di inflazione. Buona parte, probabilmente la maggior parte, di questa inflazione rifletteva presumibilmente disturbi temporanei dell’offerta che spaziano dai problemi delle catene dell’offerta all’invasione russa dell’Ucraina. Ma una parte dell’inflazione ha certamente riflesso anche una economia nazionale surriscaldata. Persino coloro tra noi che di solito sono ‘colombe monetarie’ concordavano che la Fed avesse bisogno di alzare i tassi di interesse per raffreddare l’economia – il che è accaduto. I rialzi del tasso della Fed, in aggiunta alla anticipazione che ci sarebbero stati altri rialzi, hanno comportato che i tassi di interesse che contano per l’economia reale – principalmente i tassi sui mutui – schizzassero in alto, il che ridurrà la spesa complessiva.
In effetti, ci sono prime indicazioni di un rallentamento economico.
Ma i verbali appena pubblicati dell’incontro del mese passato della Commissione di Mercato Aperto della Fed, che stabilisce i tassi di interesse, indicano un considerevole timore che solo raffreddare l’economia non sarebbe stato sufficiente, che le aspettative della inflazione prossima stavano diventando “disancorate”, che l’inflazione “poteva mettere radici”.
Questa, in linea di principio, non è una preoccupazione sciocca. Nel corso degli anni ’70 praticamente tutti giunsero ad aspettarsi un’alta inflazione persistente, e questa aspettativa prendeva piede nella definizione dei salari e dei prezzi – ad esempio, i datori di lavoro erano disponibili a stabilire aumenti salariali del 10 per cento all’anno perché si aspettavano che tutti i loro competitori facessero lo stesso. Per purgare l’economia da queste aspettative che avevano messo radice occorse un periodo prolungato di disoccupazione molto alta – la stagflazione.
Ma perché la Fed crede che qualcosa del genere possa accadere adesso? Sia i verbali che i commenti da parte del Presidente, Jerome Powell, indicano che un fattore importante è stata una pubblicazione preliminare dei risultati di un sondaggio dell’Università del Michigan, che sembrava mostrare un balzo nelle aspettative di inflazione a lungo termine.
Anche in quel momento, alcuni di noi misero in guardia dal dare troppo peso ad un dato, particolarmente considerato che altri dati non stavano raccontando la stessa storia. Come si immaginava, il dato del Michigan era fortuito: quando una settimana dopo sono stati pubblicati i dati rivisitati, gran parte di quel balzo nelle aspettative di inflazione era scomparso.
E per quello che vale, i mercati finanziari stanno adesso suonando il cessato allarme su una inflazione persistente. Il punto di pareggio nei cinque anni è il divario tra i tassi di interesse ordinari e i tassi di interesse sulle obbligazioni che sono protette dalla crescita dei prezzi; esso di conseguenza è una previsione implicita dell’inflazione futura. E uno sguardo ravvicinato ai mercati mostra che essi non solo si aspettano nel medio termine una inflazione relativamente bassa, ma che si aspettano anche che essa cali nettamente dopo l’anno prossimo o giù di lì, tornando di conseguenza ad un livello coerente con l’obbiettivo a lungo termine della Fed.
A dir la verità, coloro che scambiano obbligazioni non stabiliscono salari e prezzi, ed è possibile che l’inflazione stia mettendo radice nelle menti dei lavoratori e delle imprese anche se gli investitori decidono che è sotto controllo. Ma non è probabile.
Inoltre, in questo caso ci può essere un elemento di una profezia che si smentisce da sola, con gli investitori che abbassano le loro aspettative di inflazione futura perché si aspettano che la Fed inchiodi i freni esageratamente.
Eppure, è fastidioso leggere resoconti che indicano che la Fed sta diventando più interventista anche se l’economia si indebolisce e le prospettive di una inflazione perdurante stanno attenuandosi.
In questo caso, non so cosa stia esattamente accadendo. In parte può trattarsi della tendenza anche troppo diffusa delle autorità finanziarie a incaponirsi nel corso di una iniziativa anche quando i fatti cessano di sostenerla. In parte potrebbe trattarsi del fatto che i dirigenti della Fed, avendo inteso nel modo sbagliato l’inflazione passata, siano, forse inconsciamente, disposti a farsi intimidire dai personaggi di Wall Street disposti a farsi prendere dall’isteria sull’inflazione futura. E in parte essi potrebbero soltanto stare compensando in eccesso le loro precedenti sottostime dei rischi di inflazione.
In ogni caso, c’è una vecchia storiella dell’automobilista che schiaccia un pedone e poi cerca di rimediare allo sbaglio tornando indietro – e così facendo schiaccia il pedone una seconda volta. Ho il timore che qualcosa del genere stia per accadere nella politica economica.
By mm
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