BARRY EICHENGREEN, POONAM GUPTA
NEW DELHI – One country stands out from the gloomy overall tone of the International Monetary Fund’s recent update of its World Economic Outlook. Against the backdrop of tepid 3.2% global growth in 2022, the IMF expects India’s GDP to expand by 7.4%. This is the fastest growth of any large economy except Saudi Arabia, which is the incidental beneficiary of upward pressure on global oil prices from Russian President Vladimir Putin’s war against Ukraine. India may be buying Russian crude at a discount, but, as the world’s third largest oil importer, it is still burdened by high oil prices.
One might quibble that India had an exceptionally difficult pandemic, so it now has exceptional scope for bouncing back. But other countries hit hard by COVID-19, such as Mexico, are not doing nearly as well. One might also note that, with India’s still-rapid rate of population growth, per capita incomes are rising more slowly than the aggregate GDP figures. But a population growth rate of 1% doesn’t fundamentally change the story.
India’s annual GDP growth in excess of 7% is in fact the continuation of an ongoing acceleration, from roughly 5.7% in the 1990s, to 6.2% from the turn of the century to the 2008 global financial crisis, and then to 6.9% from the crisis to the eve of the pandemic. The country has benefited from a buoyant tech sector, surprisingly robust agricultural productivity gains, and decent manufacturing growth. With the worst of the pandemic now behind it, the economy is firing on all cylinders.
The question is whether this can last. Unfortunately, there are good reasons to believe that, given current policies, the answer is no.
To maintain its growth momentum, India needs to export more. The country has never been an export powerhouse, to put it mildly. Exports of services help, but the outsourcing of back-office and customer-facing services is now poised to slow, as firms “friend-shore” more of their operations. The current government’s commitment to investing in logistics seems promising, but only time will tell how investment projects pan out. Rupee depreciation can make merchandise exports more competitive and limit consumption of imports. But the Reserve Bank of India, treating exchange rate stability as an important totem, has been reluctant to let the rupee fall.
In the future, Indian exporters will face a less favorable external environment. China’s economy has slowed. The United States may not be able to avoid recession, and Europe is already in one. So it is not clear whence demand for India’s exports will come. Every Asian economy that has successfully expanded its manufacturing sector has scaled up by exporting, but this avenue may no longer be available to India.
The country can of course borrow abroad to finance its current-account deficit and domestic investment. But India continues to underperform as a destination for foreign direct investment, which is deterred by bureaucratic obstacles to doing business. Having discarded suggestions that it issue dollar bonds, the government now seeks to encourage foreign investors to purchase local currency bonds. But this revised strategy is no less risky. Foreign investors in local currency bonds tend to cut and run at the first sign of trouble, since they otherwise will be hit by the double whammy of falling bond prices and a falling exchange rate.
Nor does the government have space to borrow from residents to finance additional spending on the infrastructure, health care, and education needed to sustain long-term economic growth. General government debt is already 90% of GDP. The primary budget deficit, which excludes interest payments, is 3% of GDP. The government pays an average of 8% interest on its debt.
But the authorities are able to keep interest rates at that level, and maintain a veneer of debt sustainability, only by requiring banks and other institutional investors to hold government bonds. This in turn limits the banks’ ability to provide essential investment finance to the private sector. Meanwhile, much of what the government takes in as revenue goes to entitlements and interest payments. Additional capital spending will therefore have to come from the private sector. And private savings are low by international standards.
Most fundamentally, the government seems to have found it hard to implement structural reforms. Having experienced pushback from vested interests, it has basically taken significant reforms of labor and product markets off the table.
Given its favorable demography, democratic polity, and large and diversified economy, India can in principle grow at 7% or higher for years to come. But the only route to such growth that remains open runs through structural reforms that relax all of the aforementioned constraints at a stroke.
Come l’India può sostenere una rapida crescita economica,
di Barry Eichengreen e Poonam Gupta
NUOVA DELHI – Un paese spicca dal tono complessivamente cupo del recente aggiornamento del suo World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale. Sullo sfondo di una crescita globale del 3,2% nel 2022, il FMI si aspetta che il PIL dell’India si espanda del 7,4%. Questa è la crescita più veloce di ogni ampia economia ad eccezione dell’Arabia Saudita, che è la casuale beneficiaria della spinta verso l’alto dei prezzi globali del petrolio per la guerra contro l’Ucraina del Presidente russo Vladimir Putin. L’India può star acquistando il greggio russo a prezzi scontati, ma, in quanto terzo più grande paese importatore di petrolio, è comunque appesantita dagli alti prezzi del petrolio.
Si potrebbe discettare che l’India ha avuto una pandemia eccezionalmente difficile, dunque adesso ha un margine eccezionale di ripresa. Ma altri paesi colpiti duramente dal Covid-19, come il Messico, non stanno neanche lontanamente comportandosi altrettanto bene. Si potrebbe anche osservare che, con l’ancora rapido tasso di crescita della popolazione dell’India, i redditi procapite stanno crescendo più lentamente di quanto il PIL aggregato farebbe supporre. Ma un tasso di crescita della popolazione dell’1% fondamentalmente non cambia il racconto.
La crescita annuale del PIL superiore al 7% nei fatti è la continuazione di una perdurante accelerazione, da circa il 5,7% degli anni ’90, al 6,2% dal passaggio del secolo alla crisi finanziaria globale del 2008, e poi al 6,9% dalla crisi sino all’epoca della pandemia. Il paese ha beneficiato di un forte settore tecnologico, di aumenti della produttività in agricoltura sorprendentemente solidi, e di una dignitosa crescita manifatturiera. Con il peggio della pandemia ora alle spalle, l’economia sta andando a pieno regime.
La domanda è se questo può durare. Sfortunatamente, ci sono buone ragioni per ritenere che, date le politiche attuali, la risposta sia negativa.
Per sostenere lo slancio della crescita, l’India ha bisogno di esportare di più. Il paese non è mai stato una potenza esportatrice, per dirla in modo blando. L’esportazione di servizi aiuta, ma l’esternalizzazione dei servizi di amministrazione e a diretto contatto con la clientela adesso è destinata a rallentare, dal momento che le imprese prediligono maggiormente la loro operatività. L’attuale impegno del Governo a investire nella logistica sembra promettente, ma solo il tempo dirà quanti progetti di investimento avranno successo. La svalutazione della rupia può rendere l’esportazione delle merci più competitiva e limitare il consumo di beni importati. Ma la Reserve Bank dell’India, che tratta la stabilità del tasso di cambio alla stregua di un totem importante, è stata riluttante a consentire una caduta della rupia.
Nel futuro, gli esportatori indiani si troveranno dinanzi ad un contesto esterno meno favorevole. L’economia della Cina ha rallentato. Gli Stati Uniti possono non riuscire ad evitare una recessione, e l’Europa ne conosce già una. Dunque non è chiaro da dove verrà la domanda per le esportazioni dell’India. Ogni economia asiatica che ha ampliato con successo il suo settore manifatturiero ha ampliato le esportazioni, ma questa strada potrebbe non essere più disponibile per l’India.
Naturalmente il paese può indebitarsi all’estero per finanziare il suo deficit di conto corrente e gli investimenti interni. Ma l’India continua ad avere scarse prestazioni come destinatario di investimenti stranieri diretti, il che è scoraggiato da ostacoli burocratici all’imprenditoria. Avendo scartato i suggerimenti ad emettere obbligazioni in dollari, il Governo adesso cerca di incoraggiare gli investitori esteri ad acquistare obbligazioni in valuta locale. Ma questa modificata strategia non è meno rischiosa. Gli investitori stranieri in obbligazioni in valuta locale tendono a darsela a gambe al primo segno di difficoltà, dal momento che altrimenti sarebbero colpiti dalla doppia sfortuna della caduta del prezzo delle obbligazioni e del tasso di cambio in calo.
Il Governo non ha neppure spazio per indebitarsi dai residenti per finanziare le spese aggiuntive nelle infrastrutture, nell’assistenza sanitaria e nell’istruzione necessarie per sostenere una crescita economica a lungo termine. Il debito pubblico complessivo è già il 90% del PIL. Il deficit del bilancio primario, che esclude il pagamento degli interessi, è il 3% del PIL. Il Governo paga una media dell’8% di interessi sul suo debito.
Ma le autorità sono nelle condizioni di tenere i tassi di interesse a quel livello, e mantenere una patina di sostenibilità del debito, solo richiedendo alla banche e ad altri investitori istituzionali il possesso di obbligazioni governative. A sua volta, questo limita la capacità delle banche di fornire essenziale finanza di investimento al settore privato. Nel frattempo, una gran parte di quello che il Governo intasca come entrate se ne va in sussidi ed in pagamento degli interessi. Di conseguenza la spesa aggiuntiva del capitale dovrà provenire dal settore privato. E per gli standard internazionali, i risparmi privati sono bassi.
Soprattutto, il Governo sembra avere trovato difficile mettere in atto riforme strutturali. Avendo sperimentato resistenze da parte degli interessi costituiti, esso ha fondamentalmente tenuto sul tavolo riforme significative del lavoro e dei mercati dei prodotti.
Data la sua favorevole demografia, il sistema di governo democratico ed un’economia ampia e diversificata, in linea di principio l’India può crescere del 7% ed anche di più per gli anni avvenire. Ma l’unico indirizzo per tale crescita che resta aperto passa attraverso riforme strutturali che attenuino contemporaneamente tutte le limitazioni surricordate.
By mm
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