Aug. 1, 2022
By Paul Krugman
After all the false starts and dashed hopes of the past two years, I’m reluctant to count my chickens before they’ve actually been signed in the Oval Office. Still, it appears that Democrats have finally agreed on another major piece of legislation, the Inflation Reduction Act. And if it does become law, it will be a very big deal.
First, would the law, in fact, reduce inflation? Yes, probably — or at least it would reduce inflationary pressures. That’s because the legislation’s increased spending, mainly on clean energy but also on health care, would be more than offset through its tax provisions; so it would be a deficit reduction act, which other things being equal would make it disinflationary.
But you want to think of the Inflation Reduction Act as being like the National Interstate and Defense Highways Act of 1956, which probably did strengthen national defense a bit but mainly benefited America by investing in the nation’s future. This bill would do the same, and maybe even more so.
To understand why this bill inspires so much hope, it’s helpful to understand what has changed since Democrats’ last big effort to deal with climate change, the 2009 Waxman-Markey bill, which passed the House but died in the Senate.
The core of Waxman-Markey was a “cap and trade” system that would, in practice, have operated a lot like a carbon tax. There were and are good arguments for such a system, which would give companies and individuals an incentive to cut emissions in multiple ways. But politically, it was easy to portray it as an eat-your-spinach plan, one demanding sacrifices from ordinary workers.
With the failure of Waxman-Markey, the Obama administration was reduced to a much more limited agenda, one that relied on carrots rather than sticks — tax breaks for clean energy, loan guarantees for companies investing in renewables. I think it’s fair to say that most economists didn’t expect these measures to achieve much.
But a funny thing happened on the way to the climate apocalypse: There was revolutionary progress in renewable energy technology, probably jump-started, at least in part, by those Obama-era policies. In 2009, electricity generated by wind power was still more expensive than electricity generated by burning coal, and solar power was more expensive still. But over the next decade wind power costs fell 70 percent, solar costs 89 percent.
Add in plunging battery prices and it has become possible to see the outlines of an economy that achieves drastic reductions in carbon emissions with little if any sacrifice, using electricity generated by renewable energy — as opposed to burning fossil fuels — to heat and cool our buildings, run our factories, power our cars and more.
The climate portion of the Inflation Reduction Act is, for the most part, an attempt to accelerate that energy transition, mainly by offering tax credits for the adoption of low-emission technologies, including electric vehicles, but also by offering incentives to use less energy in general, notably by making buildings more energy efficient.
There’s every reason to believe that these measures would have large effects. Unlike fossil fuels, which have been around for a long time, renewable energy is still an “infant industry” with a steep learning curve: The more we use these technologies, the better we get at them. So providing incentives for clean energy now will make that energy a lot cheaper in the future.
And support for electric vehicles also helps solve a chicken-and-egg problem, in which drivers are reluctant to go electric because they aren’t sure they’ll find charging stations, and businesses don’t provide many charging stations because there aren’t yet that many electric cars.
The point is that while the climate and energy provisions in the Inflation Reduction Act — about $370 billion over the next decade — would be only about 0.1 percent of projected gross domestic product over the same period, they could well have a catalytic effect on the energy transition.
And they could also transform the political economy of climate policy.
For years, environmentalists have been arguing that transitioning to clean energy should be considered an opportunity rather than a burden — that in addition to saving the planet, the transition would create many jobs and new business opportunities. But that’s a hard point to get across without widespread concrete examples of success. As long as serious climate policy was a proposal, not a reality, it was vulnerable to attacks from right-wingers portraying it as a nefarious plan to undermine the American way of life.
But those attacks will become less effective once people start to see the real-world effects of climate action (which is why the right is so frantic about trying to block this legislation). If Democrats can pass this bill, the chances of additional action in the future will rise, perhaps sharply.
So let’s hope there aren’t any last-minute snags. The Inflation Reduction Act won’t deliver everything climate activists want. But if it happens, it will be a major step toward saving the planet.
La riduzione dell’inflazione può salvare il pianeta?
Di Paul Krugman
Dopo tutte le false partenze e le attese deluse degli ultimi due anni, sono un po’ riluttante a dire ‘gatto prima d’averlo nel sacco’ [1], ovvero prima che le proposte di legge siano firmate dall’inquilino della Stanza Ovale. Eppure, sembra che i democratici abbiano finalmente concordato un’altra parte importante di legislazione, la Proposta di legge [2] per la riduzione dell’inflazione. E se essa diventa davvero legge, sarà un fatto molto rilevante.
Anzitutto, la legge ridurrebbe nei fatti l’inflazione? Probabilmente sì – o almeno ridurrebbe le spinte inflazionistiche. Questo perché la spesa pubblica accresciuta dalla legge, principalmente sulle energie pulite ma anche sulla assistenza sanitaria, sarebbe molto più che compensata dalle sue disposizioni fiscali; dunque essa sarebbe una legge di riduzione del deficit, il che, a parità delle altre condizioni, la renderebbe disinflazionistica.
Ma potete pensare alla Proposta di legge per la riduzione dell’inflazione come qualcosa di simile alla Legge sulle autostrade nazionali interstatali e sulla difesa del 1956, che probabilmente rafforzò un po’ la difesa nazionale ma soprattutto avvantaggiò l’America, investendo sul futuro della nazione. Questa proposta di legge farebbe lo stesso, e forse anche maggiormente.
Per comprendere perché questa proposta susciti una speranza così grande, è utile capire cosa è cambiato dall’ultimo grande sforzo dei democratici di misurarsi con il cambiamento climatico, la proposta di legge Waxman-Markey del 2009, che venne approvata dalla Camera ma venne affossata al Senato.
Il centro della Waxman-Markey era un sistema “cap and trade” [3] che, in pratica, avrebbe operato in buona parte come una tassa sull’anidride carbonica. Per un tale sistema c’erano e ci sono buoni argomenti, che darebbero alle società ed alle persone singole un incentivo a tagliare le emissioni in vari modi. Ma politicamente fu semplice dipingerlo come un programma del tipo “arrangiati con quello che hai” [4], ovvero che chiedeva sacrifici ai lavoratori comuni.
Con il fallimento della Waxman-Markey, l’Amministrazione Obama si ridusse ad una agenda molto più limitata, qualcosa che si basava più sulle carote che sui bastoni – sgravi fiscali per le energie pulite, prestiti garantiti per le società che investivano nelle rinnovabili. Suppongo sia giusto dire che la maggior parte degli economisti non si aspettavano che queste misure realizzassero granché.
Ma, sulla strada dell’apocalisse climatica, accadde una cosa curiosa: avvenne un progresso rivoluzionario nella tecnologie delle energie rinnovabili, probabilmente innescato, almeno in parte, da quelle politiche dell’epoca di Obama. Nel 2009, l’elettricità generata dall’energia eolica era ancora più costosa di quella generata dalla combustione del carbone, e l’energia solare era ulteriormente più costosa. Ma nel decennio successivo i costi dell’energia eolica scesero del 70 per cento, i costi del solare dell’89 per cento.
Se si aggiunge il crollo dei prezzi delle batterie, diventa possibile vedere i contorni di un’economia che realizza drastiche riduzioni nelle emissioni di carbonio con poco o nessun sacrificio, utilizzando elettricità prodotta dalle energie rinnovabili – anziché dall’uso di combustibili fossili – per riscaldare o rinfrescare i nostri edifici, gestire le nostre fabbriche, dare energia alla nostre automobili ed altro.
La componente climatica della Proposta di legge per la riduzione dell’inflazione è, per la maggior parte, un tentativo di accelerare questa transizione energetica, principalmente offrendo crediti di imposta per l’adozione di tecnologie a basse emissioni, compresi i veicoli elettrici, ma anche offrendo incentivi per utilizzare in generale meno energia, in particolare rendendo gli edifici più efficienti.
Ci sono tutte le ragioni per credere che queste misure avrebbero grandi effetti. Diversamente dai combustibili fossili, che sono stati in funzione per un lungo tempo, le energie rinnovabili sono ancora una “industria nascente” con una ripida ‘curva di apprendimento’: più utilizziamo queste tecnologie, più diventano convenienti. Dunque, fornire adesso incentivi per le energie pulite le renderà molto più economiche nel futuro.
E dare un sostegno ai veicoli elettrici contribuisce anche a risolvere il problema dell’uovo e della gallina, per il quale gli automobilisti sono riluttanti ad andare con i mezzi elettrici perché non sono sicuri che troveranno stazioni di rifornimento, e le imprese non forniscono molte stazioni di rifornimento perché non ci sono ancora molti veicoli elettrici.
Il punto è che mentre le misure per il clima e l’energia nella Proposta di legge per la riduzione dell’inflazione – circa 370 miliardi di dollari nel prossimo decennio – costituirebbe soltanto lo 0,1 per cento del prodotto interno lordo previsto nello stesso periodo, esse potrebbero avere un effetto catalizzatore sulla transizione energetica.
Ed esse potrebbero anche trasformare l’economia politica della politica sul clima.
Per anni gli ambientalisti sono venuti sostenendo che la transizione alle energie pulite dovrebbe essere considerata una opportunità anziché un onere – che in aggiunta a salvare il pianeta, la transizione creerebbe molti posti di lavoro e nuove opportunità di impresa. Ma questo è un argomento difficile da sostenere senza generalizzati esempi concreti di successo. Finché una seria politica climatica è stata una proposta, non una realtà, essa era vulnerabile agli attacchi della destra che la dipingono come un programma per minare lo stile di vita americano.
Ma quegli attacchi diventeranno meno efficaci una volta che le persone vedranno gli effetti nel mondo reale dell’iniziativa climatica (che è la ragione per la quale la destra è così isterica nel cercar di bloccare questa legge). Se i democratici potranno approvarla, le possibilità di iniziative aggiuntive nel futuro cresceranno, forse bruscamente.
Speriamo dunque che non ci siano imprevisti dell’ultimo minuto. La Proposta di legge per la riduzione dell’inflazione non darà tutto quello che vogliono gli attivisti del clima. Ma se verrà approvata, sarà un passo importante verso la salvezza del pianeta.
[1] “To count my chickens before” – ovvero “contare in anticipo i miei polli” – è la frase idiomatica che in lingua inglese equivale a “non dire gatto prima di averlo nel sacco”, o a “fare i conti senza l’oste”, oppure a “vendere la pelle dell’orso prima di averlo ucciso” etc.
[2] Una “act” è precisamente una legge compiuta, ovvero approvata dal Congresso e firmata dal Presidente; finché non ha compiuto il suo iter è una “bill”, ovvero una proposta di legge. Ma nel linguaggio ordinario probabilmente questa distinzione talora si perde.
[3] Letteralmente, del “mettere un limite e consentire gli scambi” in materia di inquinamento ambientale – ovvero mettere un limite all’inquinamento (“cap”) e premiare chi sta sotto quel limite, anche permettendogli di ‘vendere’ (“trade”) il proprio comportamento virtuoso a chi resta provvisoriamente sopra i limiti, che dunque pagano obbligatoriamente un prezzo. L’acquisto di ‘punti’ dai più virtuosi – che detengono quei ‘punti’ per effetto delle loro tecnologie – essendo un modo provvisorio per i meno virtuosi per restare nella legalità.
[4] Letteralmente sarebbe “mangia i tuoi spinaci”, una espressione che derivava dal cartone animato di Braccio di Ferro, negli anni ’30. Da quanto capisco, l’espressione divenne popolare durante la grande crisi, per motivi sia salutistici che economici; era un buon alimento e non costava niente … Probabilmente, l’espressione veniva anche usata nel senso di fare qualcosa di semplice, senza troppe pretese …
By mm
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