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Per un’Europa autonoma e alterglobalista, di Thomas Piketty (dal blog di Piketty, 12 luglio 2022)

 

PUBLIÉ LE12 JUILLET 2022

For an autonomous and alterglobalist Europe

Thomas Piketty

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Will Europe manage to redefine its place in the world geopolitical order? With Russia’s invasion of the Ukraine and rising tensions with China, circumstances oblige it to do so, but hesitations are emerging.

Let’s say it from the outset: we must maintain the link with the United States, but on the condition that we gain autonomy and get away from the egoism and arrogance that too often characterise the Atlantic and Western discourse towards the rest of the world. Europe has never been so rich. It has more than ever the means and the historical duty to promote another model of development and wealth sharing, more democratic, more egalitarian and more sustainable. Otherwise, the new Western alliance will not convince anyone in its self-proclaimed crusade against autocracies and the reign of evil.

With the United States, Europe does indeed share a comparable experience of parliamentary democracy, electoral pluralism and a certain form of rule of law, which is no mean feat. This may justify remaining in NATO, insofar as the alliance helps to defend this model. In this case, electoral pluralism is much more firmly established in Ukraine than in Russia, and it is unacceptable to let a more powerful country invade its neighbour and destroy its state without reacting.

Discussion of borders should not be excluded a priori, but it should be done within the framework of the rule of law and on the basis of the dual principle of self-determination and the equitable and balanced development of the regions concerned (which may exclude the secession of the richest; this is not the case here). If NATO members stand for clear principles, then military support for the Ukrainians against invasion and destruction is justified, even more than at present.

It is also essential to explicitly recognise the limits of the Western democratic model and to work to overcome them. For example, it is necessary to fight for an international justice enabling to challenge the Russian military and their leaders for war crimes, provided that it is constantly recalled that the same rules should also apply to all countries, including of course the US military and its actions in Iraq and elsewhere. The principles of democracy and the rule of law must prevail everywhere and all the time.

Another example: the US Supreme Court has held for nearly two centuries that slavery and then racial discrimination were perfectly legal and constitutional, and has just ruled in its recent string of reactionary decisions that going out into the streets armed was also legal and constitutional. We must denounce the archaic institutions that abound in the United States and Europe and stop presenting ourselves to the world as a perfect and final version of the democratic model. For example, the ownership on both sides of the Atlantic of almost all the media by a few billionaires can hardly be considered the highest form of press freedom. More generally, the disproportionate hold of private money on political life is symptomatic of a low-intensity democratic model, and helps explain the lack of relevance of programmes and the record abstention of the poorest in elections. The Western countries will be in a better position to spread democratic principles if they set higher standards for themselves.

They will also be more credible if they stop pacting with the most disreputable regimes as long as this allows them to make a few more dollars. If no real sanctions have been taken against the Russian oligarchs, or indeed against the petro-monarchic fortunes guilty of the worst abuses, it is to defend the interests of the Western financial and real estate circuits that shelter these fortunes, in Paris or on the Côte d’Azur as much as in London, Switzerland or Luxembourg. It is also because this would require a transparency of assets that would risk turning against the Western fortunes. When the Chinese regime destroyed electoral pluralism in Hong Kong before our eyes in 2019, the only European reaction was to propose a new investment treaty in order to go even further in the free movement of capital, without control and without counterpart.

In general, the Western approach lacks a credible discourse on economic and social justice on a global scale. If India, South Africa, Senegal or Brazil need resources to develop, who is going to stop them from doing business with Russia? If the West does not propose a new sharing of wealth, then it is China that will manage to unite the South. It is time to move away from the logic of unfulfilled promises (in particular those made at the Paris summit in 2015 to help poor countries adapt to global warming) and move towards a logic of rights.

In concrete terms, each country must be able to have access to a share of the revenue from the world’s most prosperous economic actors (multinationals, billionaires, etc.), in proportion to its population. Firstly, because every human being should have an equal minimum right to health, education and development. Secondly, because the prosperity of the rich countries would not exist without the poor countries: Western enrichment in the past and Chinese enrichment today have always been based on the international division of labour and the unbridled exploitation of the planet’s natural and human resources. It is time to become aware of this historical legacy and to draw the consequences for the future.

 

Per un’Europa autonoma e alterglobalista,

di Thomas Piketty

 

L’Europa riuscirà a ridefinire il suo spazio nell’ordine geopolitico mondiale? Con l’invasione russa dell’Ucraina e le crescenti tensioni con la Cina, le circostanze obbligano a farlo, ma stanno emergendo esitazioni.

Diciamolo subito: dobbiamo mantenere il collegamento con gli Stati Uniti, ma alla condizione che conquistiamo autonomia e si esca dall’egoismo e dall’arroganza che troppo spesso caratterizza la narrazione atlantica e occidentale verso il resto del mondo. L’Europa non è mai stata così ricca. Essa ha più che mai i mezzi e il dovere storico di promuovere un altro modello di sviluppo e di condivisione della ricchezza, più democratico, più egualitario e più sostenibile. Altrimenti, la nuova alleanza occidentale, nella sua autoproclamata crociata contro le autocrazie e il regno del male, non convincerà nessuno.

Con gli Stati Uniti, l’Europa condivide in effetti una esperienza paragonabile di democrazia parlamentare, di pluralismo elettorale e una certa forma di stato di diritto, che non sono cose da poco. Questo può giustificare di rimanere nella NATO, finché l’alleanza contribuisce a difendere questo modello. Da questo punto di vista, il pluralismo elettorale è stabilito molto più solidamente in Ucraina che in Russia, ed è inaccettabile consentire che un paese più potente invada il suo vicino e distrugga il suo Stato senza reagire.

Un dibattito sui confini non dovrebbe essere escluso apriori, ma dovrebbe essere inquadrato nella cornice dello Stato di diritto e sulla base del duplice principio dell’autodeterminazione e dell’equo ed equilibrato sviluppo delle regioni coinvolte (che può escludere la secessione dei più ricchi, anche se questo non è il caso della situazione in questione). Se i membri della NATO  prendono posizione per principi chiari, allora il sostegno militare per gli ucraini contro l’invasione e la distruzione è giustificato, anche più che al presente.

È anche essenziale riconoscere esplicitamente i limiti del modello democratico occidentale e lavorare per superarli. Ad esempio, è necessario combattere per una giustizia internazionale che consenta di perseguire l’esercito russo ed i i suoi capi per crimini di guerra, ammesso che sia costantemente ribadito che le stesse regole dovrebbero applicarsi anche a tutti i paesi, compreso ovviamente l’esercito statunitense e le sue azioni in Iraq e altrove. I principi della democrazia e dello stato di diritto debbono prevalere in ogni luogo e sempre.

Un altro esempio: la Corte Suprema statunitense ha ritenuto per quasi due secoli che la schiavitù e dunque la discriminazione razziale fosse perfettamente legale e costituzionale. Ed ha appena stabilito nella sua serie di decisioni reazionarie, secondo le quali andare in strada armati è anch’esso legale e costituzionale. Dobbiamo denunciare gli istituti arcaici di cui gli Stati Uniti e l’Europa sono pieni e impedire che essi si presentino al mondo come una versione perfetta e definitiva del modello democratico. Ad esempio, su entrambi i versanti dell’Atlantico la proprietà di quasi tutti i media da parte di pochi miliardari difficilmente può essere considerata come la più alta forma della libertà di stampa. Più in generale, la presa sproporzionata del capitale privato sulla vita politica è un sintomo di un modello democratico a bassa intensità, e contribuisce a spiegare l’irrilevanza dei programmi e il record di astensioni nelle elezioni da parte dei più poveri. I paesi occidentali saranno in una condizione migliore nella diffusione dei principi democratici se stabiliranno per se stessi standard più elevati.

Saranno anche più credibili se smetteranno di venire a patti con i regimi più malfamati finché essi permettono loro di fare un po’ di dollari in più. Se nessuna sanzione reale è stata presa contro gli oligarchi russi, o in effetti contro le fortune delle monarchie del petrolio responsabili dei peggiori abusi, è stato per difendere gli interessi dei circuiti finanziari e patrimoniali occidentali che ospitano queste fortune, a Parigi o nella Costa Azzurra altrettanto che a Londra, in Svizzera o in Lussemburgo. È anche perché questo richiederebbe una trasparenza degli asset che rischierebbe di rivolgersi contro le fortune occidentali Quando il regime cinese ha distrutto davanti ai nostri occhi il pluralismo elettorale ad Hong Kong nel 2019, la sola reazione europea fu di proporre un nuovo trattato per gli investimenti allo scopo di andare persino oltre nel libero movimento dei capitali, senza controlli e senza niente in cambio.

In generale, l’approccio occidentale manca di un credibile ragionamento sulla giustizia economica e sociale su scala globale. Se l’India, il Sudafrica, il Senegal o il Brasile hanno bisogno di risorse per svilupparsi, chi li fermerà dal fare affari con la Russia? Se l’Occidente non propone una nuova condivisione della ricchezza, allora sarà la Cina che riuscirà ad unire il Sud. È tempo di uscire dalla logica delle promesse che non si mantengono (in particolare quelle che furono fatte nel summit di Parigi nel 2015 per aiutare i paesi poveri ad adattarsi al riscaldamento globale) e di muoversi verso una logica di diritti.

In termini concreti, ogni paese deve poter avere accesso ad una suddivisione delle entrate dai protagonisti economici più prosperi del mondo (multinazionali, miliardari etc.), in proporzione alla sua popolazione. Anzitutto perché ogni essere umano dovrebbe avere un eguale diritto minimo alla salute, all’istruzione e allo sviluppo. In secondo luogo perché la prosperità dei paesi ricchi non esisterebbe senza i paesi poveri: l’arricchimento occidentale nel passato e quello cinese di oggi si sono sempre basati sulla divisione internazionale del lavoro e sullo sfruttamento sfrenato delle risorse naturali ed umane del pianeta. È tempo di diventare consapevoli di questa eredità storica e di trarne le conseguenze per il futuro.

 

 

 

 

 

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