Sept. 29, 2022
By Paul Krugman
If you’ve ever found yourself driving in stop-and-go traffic, you know that there’s a strong temptation to overreact to changes in the flow. When the cars in front of you finally start moving, you floor the gas pedal, then you slam on the brakes when traffic slows down again, and if you’re a normal human being, you probably do this over and over.
Overreacting to traffic conditions wastes fuel and annoys your passengers. More important, it creates real dangers: Accelerate too fast and you may rear-end the car in front of you; brake too hard and you may be hit by the car behind you.
Well, setting economic policy in difficult times can be a lot like driving on a congested road. And I’m hearing growing buzz, both from economists and from businesspeople, to the effect that the Federal Reserve — which clearly kept its foot on the gas too long last year — is now braking too hard in compensation. And the risks of an accident are growing.
The story so far: Last year, as inflation began to accelerate, many people — myself included — wrongly minimized the risks, asserting that much of the inflation was transitory, the result of temporary kinks (such as disrupted supply chains) as we emerged from a pandemic economy. Over time, alas, inflation didn’t just rise; it broadened, spreading from a relatively narrow range of goods to much of the economy. It was hard to avoid the conclusion that the U.S. economy was running significantly too hot.
So the Fed began hitting the brakes. It didn’t start raising the interest rates it controls until March, but long-term interest rates — which are what matter for the real economy and reflect not just current Fed actions but expectations of Fed actions — have been rising since the beginning of the year. They’re now up about two and a half percentage points, which is a lot by historical standards and well above the levels that prevailed on the eve of the pandemic; mortgage rates are higher than they’ve been since the 2008 financial crisis.
These rate rises will surely cause a major economic slowdown, quite possibly a recession. True, for the moment, the U.S. labor market is still running hot, with low unemployment and high levels of job vacancies and quits. (Workers are more willing to quit when jobs are abundant.) But there are well-known lags in the effects of monetary policy. It takes time for higher interest rates to reduce investment and for this investment downturn to spread to declines in consumer spending. And let’s not forget that government spending is no longer boosting the economy. Outlays from the American Rescue Plan, which was enacted early last year, are receding in the rearview mirror.
Now, the U.S. economy did need to cool off, so the coming slowdown doesn’t necessarily mean that the Fed is overdoing it. As I said, however, there is growing buzz to the effect that the Fed is braking too hard. As far as I can tell, this buzz reflects three main observations.
First, the Fed’s urgency in tightening largely reflects concerns that inflation might become entrenched — that people might begin expecting high inflation to persist for years and might build those expectations into price and wage setting. That’s what happened in the 1970s, and squeezing out those expectations was extremely painful.
But every indicator I know about shows expected inflation falling; the risk of a rerun of “That ’70s Show” now seems remote.
What about actual inflation? There are many private sector indicators of price movements, which often show breaks in trends well before they’re reflected in official statistics. And many of these indicators, from shipping costs to rents on newly leased apartments, seem to show inflation abating.
In an ironic role reversal, many of the people who correctly warned about inflation risks last year are now insisting that the recent good news is transitory, and some of it probably is. But a rapid decline in inflation looks more likely than it did a few months ago.
Finally, there’s growing risk that monetary tightening will produce not just a slowdown but an economic crisis — a crisis that would have a strong international dimension. For one thing, the fact that central banks are raising interest rates almost everywhere creates the danger of destructive synergy.
Also, Fed tightening has led to a large rise in the value of the dollar — a currency that still plays a special role in the world economy. And because of that role, a rising dollar often creates financial problems for other nations, which can blow back on the United States.
Do we know for sure that the Fed is braking too hard? No. The current economic situation is full of uncertainty, and any policy decision involves making trade-offs among various risks. What we can say is that the risk that the Fed is moving too slowly to contain inflation has declined, while the risk that high interest rates will cause severe economic damage has gone up — a lot.
Right now the Fed seems set to pursue further big rate hikes in the coming months. I would urge it to look hard at what’s happening and think twice.
La Fed sta frenando con troppa forza?
Di Paul Krugman
Se vi siete mai trovati a guidare in un traffico che procede a singhiozzo, sapete che c’è la forte tentazione di esagerare nelle reazioni ai cambiamenti nel flusso dei veicoli. Quando le macchine di fronte a voi cominciano finalmente a muoversi, schiacciate l’acceleratore, poi tirate i freni quando il traffico di nuovo rallenta, e se siete un essere umano normale, probabilmente le fate più volte.
Esagerare nelle reazioni alle condizioni del traffico comporta una spreco di carburante e disturba i vostri passeggeri. Ancora più importante, crea pericoli reali: accelerate troppo velocemente e potete tamponare la macchina di fronte; frenate con troppa energia e potete essere investito dalla macchina dietro.
Ebbene, fissare la politica economica in tempi difficili può somigliare molto a guidare in una strada congestionata. E sto sentendo un crescente chiacchiericcio, sia tra gli economisti che tra gli uomini d’affari, sul fatto che la Federal Reserve – che chiaramente aveva premuto troppo a fondo il suo piede sull’acceleratore l’anno passato – adesso per compensare sta frenando con troppa forza. E i rischi di un incidente sono crescenti.
La storia, sino a questo punto: quando l’anno scorso l’inflazione ebbe inizio, molte persone – incluso il sottoscritto – minimizzarono erroneamente i rischi, ritenendo che gran parte dell’inflazione fosse transitoria, il risultato di inconvenienti temporanei (come le interrotte catene dell’offerta) mentre venivamo fuori da un’economia pandemica. Nel corso del tempo, ahimè, l’inflazione non è solo cresciuta; si è allargata, diffondendosi da una gamma relativamente ristretta di beni a buona parte dell’economia. Era difficile non arrivare alla conclusione che l’economia statunitense stava procedendo in modo significativamente surriscaldato.
Dunque la Fed cominciò a tirare i freni. Non cominciò a elevare i tassi di interesse che essa controlla fino a marzo, ma i tassi di interesse a lungo termine – che sono quelli che contano per l’economia reale e che riflettono non solo le iniziative del momento della Fed ma le aspettative sulle sue iniziative – sono venuti salendo dall’inizio dell’anno. Essi adesso sono saliti circa di due punti e messo in percentuale, che per le serie storiche è molto e ben al di sopra dei livelli che prevalevano durante la pandemia; i tassi sui mutui sono più alti di quanto erano stati dell’inizio della crisi finanziaria del 2008.
Queste crescite dei tassi sicuramente provocheranno un importante rallentamento, abbastanza probabilmente una recessione. È vero, per il momento il mercato del lavoro statunitense è ancora surriscaldato, con una bassa disoccupazione ed alti livelli di posti disponibili e di abbandoni (i lavoratori sono più disponibili a lasciare i posti di lavoro quando essi abbondano). Ma negli effetti della politica monetaria ci sono ben noti sfasamenti. Ci vuole tempo perché i più alti tassi di interesse riducano gli investimenti e perché questi cali negli investimenti si traducano in cali nella spesa per i consumi. E non si deve dimenticare che la spesa pubblica non sta più incoraggiando l’economia. Gli esborsi del Piano Americano di Salvataggi, che vennero varati agli inizi dell’anno passato, stanno ritirandosi nello specchietto retrovisore.
Ora, l’economia statunitense aveva davvero bisogno di raffreddarsi, cosicché il rallentamento in arrivo non significa necessariamente che la Fed stia esagerando. Come ho detto, tuttavia, c’è un crescente chiacchiericcio sul fatto che la Fed stia frenando troppo duramente. Da quanto posso capire, questo chiacchiericcio riflette tre principali osservazioni.
La prima, l’urgenza della Fed nelle restrizioni riflette in buona parte le preoccupazioni che l’inflazione possa mettere radici – che le persone possano cominciare ad aspettarsi che l’alta inflazione persista per anni e possano trasferire quelle aspettative nella fissazione dei prezzi e dei salari. Ciò è quanto accadde negli anni ’70, e cacciare quelle aspettative fu estremamente doloroso.
Ma ogni indicatore che conosco mostra l’inflazione attesa in caduta; il rischio di una riedizione di “Quello spettacolo degli anni ‘70” adesso sembra remoto.
Che dire dell’inflazione effettiva? Esistono molti indicatori dei movimenti dei prezzi del settore privato, che spesso mostrano pause nelle loro tendenze ben prima che esse si riflettano nelle statistiche ufficiali. E molti di questi indicatori, dai costi delle spedizioni navali agli affitti sugli appartamenti di nuova locazione, sembrano mostrare un abbattimento dell’inflazione.
In una ironica inversione di ruoli, molte delle persone che l’anno scorso correttamente mettevano in guardia su rischi di inflazione, adesso stanno insistendo che le buone notizie recenti potrebbero essere transitorie, e molte di esse probabilmente lo sono. Ma un rapido declino dell’inflazione sembra più probabile di pochi mesi orsono.
Infine, c’è il rischio crescente che la restrizione monetaria produca non solo un rallentamento ma una crisi economica – una crisi che avrebbe una forte dimensione internazionale. Da una parte, il fatto che le banche centrali stiano alzando i tassi di interesse quasi dappertutto crea il pericolo di una sinergia distruttiva.
Inoltre, la restrizione della Fed ha portato ad un’ampia crescita del valore del dollaro – una valuta che ancora gioca un ruolo particolare nell’economia mondiale. E a causa di quel ruolo, un dollaro che sale spesso crea problemi finanziari per altre nazioni, il che può ripercuotersi sugli Stati Uniti.
Siamo sicuri che la Fed stia tirando i freni con troppa energia? No. L’attuale situazione economica è piena di incertezze, ed ogni decisione politica comporta fare compromessi tra vari rischi. Quello che possiamo dire è che il rischio che la Fed si stia muovendo troppo lentamente per contenere l’inflazione si è ridotto, mentre il rischio che alti tassi di interesse provochino gravi danni economici è salito – di molto.
In questo momento, sembra che la Fed sia disposta a perseguire ulteriori grandi rialzi del tasso nel prossimi mesi. Io suggerirei di guardare attentamente cosa sta accadendo e di pensarci due volte.
By mm
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