PUBLIÉ LE08 NOVEMBRE 2022
Let’s say it straight out: it is impossible to seriously fight global warming without a profound redistribution of wealth, both within countries and internationally. Those who claim otherwise are lying to the world. And those who claim that redistribution is certainly desirable, sympathetic, etc., but unfortunately technically or politically impossible, are lying just as much. They would be better off defending what they believe in (if they still believe in anything) rather than getting lost in conservative posturing.
Lula’s victory over the agribusiness camp certainly gives some hope. But it should not obscure the fact that so many voters remain sceptical of the social-ecological left and prefer to rely on the nationalist, anti-migrant right, both in the South and in the North, as the elections in Sweden and Italy have shown. For one simple reason: without a fundamental transformation of the economic system and the distribution of wealth, the social-ecological programme risks turning against the middle and working classes. The good news (so to speak) is that wealth is so concentrated at the top that it is possible to improve the living conditions of the vast majority of the population while combating climate change, provided that we give ourselves the means for an ambitious redistribution. In other words, everyone will naturally have to change their lifestyle profoundly, but the fact is that it is possible to compensate the working and middle classes for these changes, both financially and by giving access to goods and services that are less energy-consuming and more compatible with the survival of the planet (education, health, housing, transport, etc.). This requires a drastic reduction in the level of wealth and income of the richest, and this is the only way to build political majorities to save the planet.
The facts and figures are stubborn. The world’s billionaires have continued their stratospheric rise since the 2008 crisis and during Covid and have reached unprecedented levels. As the Global Inequality Report 2022 has shown, the richest 0.1% of the world’s population now own some €80 trillion in financial and real estate assets, or more than 19% of the world’s wealth (equivalent to one year of global GDP). The share of the world’s wealth held by the richest 10% accounts for 77% of the total, compared to only 2% for the poorest 50%. In Europe, which the economic elites like to present as a haven of equality, the share of the richest 10% is 61% of total wealth, compared to 4% for the poorest 50%.
In France, the 500 richest people alone have increased between 2010 and 2022 from 200 billion to 1000 billion, i.e. from 10% of GDP to almost 50% of GDP (i.e. twice as much as the poorest 50%). According to the available data, the total income tax paid by these 500 wealthy individuals over this period was equivalent to less than 5% of this 800 billion enrichment. This is consistent with the tax returns of US billionaires revealed last year by ProPublica, which show an average tax rate in the same range. By instituting a one-off 50% tax on this enrichment, which would not be excessive at a time when small, hard-earned savings are paying an inflationary tax of 10% per year, the French government could raise 400 billion Euros. One can imagine other formulas, but the fact is that the amounts are dizzying: those who claim that there is nothing substantial to be recovered from this simply cannot count. For the record, the governement just vetoed this week a decision by the National Assembly to increase investment in the thermal renovation of buildings (12 billion euros) and in the rail networks (3 billion), explaining that we could not afford such largesse. This begs the question: does the government know how to count, or is it putting the interests of a small class ahead of those of the planet and the population, which is in dire need of renovated housing and trains that arrive on time?
Beyond this exceptional taxation of the 500 largest fortunes, it is obviously the entire tax system that needs to be reviewed, in France as in all countries of the world. During the 20th century, progressive income tax was a huge historical success. The 80-90% tax rates applied to the highest incomes under Roosevelt and for half a century (81% on average from 1930 to 1980) coincided with the period of maximum prosperity, innovation and growth in the US. For a simple reason: prosperity depends first and foremost on education (and the US was far ahead of the world at that time) and has no need for stratospheric inequality. In the 21st century, we need to extend this legacy to a progressive wealth tax, with rates of 80-90% on billionaires, and put the top 10% of wealth on the tax rolls. Above all, a substantial part of the revenue from the richest should be paid directly to the poorest countries, in proportion to their population and their exposure to climate change. The countries of the South can no longer wait each year for the North to deign to meet its commitments. It is time to think of the world in the making, or it will be a nightmare.
Redistribuire la ricchezza per salvare il pianeta,
di Thomas Piketty
Diciamolo chiaramente: è impossibile combettare seriamente il riscaldamento globale senza una profonda redistribuzione della ricchezza, sia all’interno dei paesi che internazionalmente. Coloro che sostengono una cosa diversa stanno mentendo al mondo. E coloro che sostengono che la redistribuzione è certamente desiderabile, umana e via dicendo, ma sfortunatamente tecnicamente o politicamente impossibile, stanno altrettanto mentendo. Farebbero meglio a difendere ciò in cui credono (se ancora credono in qualcosa), piuttosto che perdersi in atteggiamenti conservatori.
La vittoria di Lula sullo schieramento delle imprese agrarie dà certamente qualche speranza. Ma non dovrebbe mettere in ombra il fatto che tanti elettori restano scettici sulla sinistra social-ecologica e preferiscono basarsi sulla destra nazionalista e contro gli immigrati, sia nel Sud che nel Nord, come hanno dimostrato le elezioni in Svezia e in Italia. Per una ragione semplice: senza una trasformazione fondamentale del sistema economico e della distribuzione della ricchezza, il programma social-ecologico rischia di rivolgersi contro le classi medie e lavoratrici. La buona notizia (diciamo così) è che la ricchezza è talmente concentrata al vertice che è possibile migliorare le condizioni di vita della grande maggioranza della popolazione mentre si combatte il cambiamento climatico, ammesso che ci diamo i mezzi per una redistribuzione ambiziosa. In altre parole, tutti dovranno cambiare profondamente i loro stili di vita, ma sarà possibile compensare le classi lavoratrici e medie per questi cambiamenti, sia finanziariamente che dando accesso a beni e servizi che sono meno energivori e più compatibili con la sopravvivenza del pianeta (istruzione, salute, alloggi, trasporti pubblici etc.). Questo richiede una drastica riduzione del livello di ricchezza e di reddito dei più ricchi, e questo è l’unico modo per costruire maggioranze politiche par salvare il pianeta.
I fatti e i dati sono testardi. I miliardari del mondo hanno proseguito la loro stratosferica crescita dopo la crisi del 2008 e durante il Covid ed hanno raggiunto livelli senza precedenti. Come il Rapporto sull’Ineguaglianza Globale del 2022 ha dimostrato, lo 0,1% più ricco della popolazione mondiale adesso possiede qualcosa come 80 mila miliardi di euro di asset finanziari e patrimoniali, ovvero più del 19% della ricchezza mondiale (equivalenti ad un anno del PIL globale). La quota della ricchezza globale detenuta dal 10% dei più ricchi equivale al 77% del totale, contro il solo 2% per il 50% dei più poveri. In Europa, che le classi dirigenti economiche amano presentare come un paradiso di eguaglianza, la quota del 10% dei più ricchi ha il 61% della ricchezza globale, contro il 4% del 50% dei più poveri.
In Francia, le 500 persone più ricche hanno da sole aumentato la loro ricchezza dal 2010 al 2022 da 200 miliardi a 1000 miliardi, ovvero dal 10% a quasi il 50% del PIL (pari al doppio della crescita del 50% dei più poveri). Secondo i dati disponibili, il reddito totale delle tasse pagate da questi individui ricchi è stato equivalente a meno del 5% di quegli 800 miliardi di arricchimento. Questo è coerente con i rendimenti fiscali dei miliardari statunitensi rivelati l’anno passato da ProPubblica, il che mostra una aliquota fiscale media delle stesse dimensioni. Istituendo una tassa non ripetibile del 50% su quell’arricchimento, il Governo francese potrebbe raccogliere 400 miliardi di euro. Si potrebbero immaginare altre formule, ma il fatto è che quelle quantità sono vertiginose: coloro che sostengono che da esse non può essere recuperato niente di sostanziale, semplicemente non fanno i conti. Per la cronaca, il Governo questa settimana ha appena messo un veto su una decisione dell’Assemblea Nazionale di accrescere gli investimenti nel risanamento termico degli edifici (12 miliardi di euro) sulle reti delle ferrovie (3 miliardi), spiegando di non poter permettersi tale generosità. Questo solleva la questione: il Governo sa come fare i conti, oppure colloca gli interessi di una piccola categoria sopra quelli del pianeta e della popolazione, che ha un bisogno urgente di rinnovare le abitazioni e di treni che arrivino in orario?
Oltre questa tassazione eccezionale delle 500 più grandi fortune, è ovviamente l’intero sistema fiscale che ha necessità di essere rivisto, in Francia come in tutti i paesi del mondo. Nel corso del ventesimo secolo, la tassazione progressiva sui redditi fu un grande successo storico. Le aliquote fiscali dell’80-90% applicate ai redditi più elevati sotto Roosevelt e in vigore per mezzo secolo (in media l’81% dal 1930 al 1980) coincisero con il periodo di massima prosperità, innovazione e crescita negli Stati Uniti. La ragione era semplice: la prosperità dipende in primo luogo e soprattutto dall’istruzione (e a quel tempo gli Stati Uniti erano in testa al mondo) e non ha alcun bisogno di ineguaglianze stratosferiche. Nel ventunesimo secolo, abbiamo bisogno di portare avanti questa eredità verso una tassazione progressiva della ricchezza, con aliquote dell’80-90% sui miliardari, e di mettere il 10% dei più ricchi nei registri fiscali. Più di ogni altra cosa, una parte delle entrate dai più ricchi dovrebbe essere pagata direttamente ai paesi più poveri, in proporzione alla loro popolazione e alla loro esposizione al cambiamento climatico. I paesi del Sud non possono più aspettare un anno dopo l’altro che il Nord abbia la compiacenza di venire incontro ai loro bisogni. È tempo di pensare al mondo che si sta formando, oppure sarà un incubo.
By mm
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